La montagna nel Sesto Rapporto sul Capitale Naturale: un patrimonio da proteggere

Il Sesto Rapporto sullo Stato del Capitale Naturale in Italia conferma che il futuro economico del nostro Paese è legato a doppio filo alla tutela degli ecosistemi, tra cui i sempre più fragili ambienti montani, e fornisce raccomandazioni per "essere la prima generazione che lascia i sistemi naturali e la biodiversità in uno stato migliore di quello che ha ereditato”.

Il 28 agosto scorso, il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase) ha reso disponibile, per la pubblica consultazione, il Sesto Rapporto sul Capitale Naturale. 

Curato dal Comitato per il Capitale Naturale del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, il Rapport si basa su un'analisi approfondita di dati e indicatori per valutare la condizione del patrimonio naturale italiano, ovvero l’insieme di risorse naturali (aria, acqua, suolo e risorse geologiche), ecosistemi e biodiversità, che forniscono beni e servizi essenziali per il benessere umano. Non solo, ma come evidenziato dal MISE, il Rapporto si propone di fornire raccomandazioni ed impegni per la tutela del Capitale Naturale che si ritiene debbano essere messi in atto con maggiore impellenza, considerata la recente introduzione dei principi inerenti la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, in quelli fondamentali della Costituzione”.

Il riferimento è all’introduzione, nel 2022, nella Costituzione italiana, del riconoscimento del valore fondamentale della natura per la salute sociale ed economica della Nazione. Nel dettaglio il riferimento è all’articolo 9 della Costituzione, in cui si sancisce che “la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”, e all'articolo 41 che stabilisce che l'iniziativa economica privata non debba arrecare danno alla salute e all'ambiente e che le attività economiche debbano essere indirizzate e coordinate anche per il raggiungimento di fini ambientali, oltre che sociali.

Il documento offre dunque una base scientifica per la implementazione di strategie volte a proteggere e valorizzare gli ecosistemi. Per facilitare la comprensione e l’utilizzo dei dati raccolti ed elaborati, il Rapporto è corredato da una serie di infografiche. Obiettivo alla base della produzione, come evidenziato dal Comitato Capitale Naturale, è che “la nostra deve essere la prima generazione che lascia i sistemi naturali e la biodiversità in uno stato migliore di quello che ha ereditato”.

 

Un territorio fragile e prezioso, anche per l’economia

Secondo i dati forniti dal Rapporto, lo stato di salute del capitale naturale in Italia risulta preoccupante. Su un totale di 58 ecosistemi terrestri a rischio, ben 7 si trovano in condizioni critiche, 22 in pericolo e 29 sono classificati come vulnerabili. Questa situazione di forte degrado, che coinvolge quasi il 20% del territorio nazionale ed è particolarmente evidente negli ambienti di alta quota. Le montagne, infatti, sono tra gli ecosistemi più sensibili e vulnerabili, e necessitano di un'attenzione prioritaria per la loro conservazione.

La protezione di questi ambienti non è solo un imperativo ecologico, ma anche una scelta economicamente vantaggiosa. Il ripristino della natura, secondo quanto dichiarato dalla Commissione europea, offre un ritorno sull'investimento notevole, da 4 a 38 euro di valore economico per ogni euro speso. In Italia si stima che i benefici economici possano arrivare a 2,4 miliardi di euro a fronte di costi di 261 milioni. Un rapporto molto vantaggioso e superiore a quello medio europeo.

Come evidenziato da una analisi a cura della Banca Mondiale, la perdita di servizi ecosistemici ha dirette ricadute sul PIL nazionale e globale. In riferimento a 3 servizi - impollinazione selvatica, disponibilità di cibo proveniente dalle attività di pesca in mare e fornitura di legname proveniente dalle foreste - si stima che il loro declino possa portare a una riduzione del PIL globale di circa 2,7 trilioni di dollari entro il 2030. 

Per questo, risulta urgente una transizione verso un modello di “economia decarbonizzata, circolare, rigenerativa e conservativa nei confronti del capitale naturale”. Il nostro sistema economico dipende in gran parte dai servizi che la natura offre: circa il 72% di 4,2 milioni di aziende non finanziarie nei 20 Paesi dell’Unione Europea risultano essere strettamente dipendenti da almeno un servizio ecosistemico e quasi il 75% dei prestiti bancari a imprese non finanziarie vengono concessi ad aziende fortemente legate ad almeno un servizio ecosistemico.

La perdita di capitale naturale, dunque, rappresenta una minaccia diretta alla stabilità finanziaria. Abbandonare la logica del profitto a breve termine a favore di una redditività di lungo periodo, basata sulla conservazione del capitale naturale, è la via da percorrere.

 

Cosa si può fare di meglio in Italia

L’Italia è tra i 196 Paesi che hanno aderito all'Accordo Quadro Globale per la Biodiversità post-2020 (Global Biodiversity Framework, GBF), con 3 obiettivi chiari: perdita netta zero di natura entro il 2020, bilancio netto positivo entro il 2030 e pieno recupero entro il 2050. 

Il 3 agosto 2023 è stato inoltre firmato il Decreto Ministeriale di adozione della nuova Strategia Nazionale per la Biodiversità al 2030. Sia Il GBF che la nuova Strategia Nazionale sostengono il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e l’accordo di Parigi sulla crisi climatica.

Per raggiungere questi traguardi, il sesto Rapporto propone una serie di raccomandazioni, in primis l'adeguamento delle normative e una maggiore coerenza politica, specialmente dopo le riforme degli articoli 9 e 41 della Costituzione italiana, per rafforzare le esigenze di tutela della natura e del capitale naturale. Risulta inoltre necessario che l'Italia dia attuazione agli impegni globali e europei per la biodiversità, in particolare puntando sul ripristino degli ecosistemi degradati. Per fare ciò, è necessario migliorare gli strumenti di gestione e monitoraggio dei programmi per la biodiversità e potenziare la contabilità ambientale con nuove fonti di dati. Le aziende e il mondo economico devono essere coinvolti, riconoscendo le opportunità di profitto a lungo termine che derivano dalla conservazione della natura. Infine, si deve estendere il principio del "Non arrecare danno significativo" (DNSH) oltre i soli progetti previsti dal PNRR, a tutti i progetti che presentino un impatto ambientale rilevante.

L'impegno nella tutela del capitale naturale deve andare oltre la mera valutazione monetaria, includendo anche i benefici non quantificabili, come quelli ricreativi e culturali, essenziali per garantire il benessere della popolazione, migliorando la qualità della vita.

“Una corretta gestione del capitale naturale passa anche per un buon bilanciamento tra le variegate esigenze di tipo culturale-ricreativo e funzionale regolativo - si legge nel Rapporto - , significando ampi benefici sotto il profilo cognitivo, estetico, spirituale, turistico, economico ed etico, con ricadute positive anche in termini di stimolo al senso civico, al rispetto del patrimonio naturale e del bene pubblico e, non ultimi, ai sentimenti di convivenza interspecifica, altruismo e giustizia ambientale.”

 È fondamentale agire con urgenza per proteggere gli ecosistemi italiani, prestando particolare attenzione a quelli più fragili e minacciati, come le nostre montagne.