La traversata integrale delle creste Valchiusellesi: dal sogno alla realtà

Un sogno coltivato per oltre quindici anni, sospeso tra successi sportivi e momenti bui. Dopo l’“anno delle due rotture” e una lenta rinascita, l’autore racconta la sua impresa: la prima traversata integrale in giornata delle creste Valchiusellesi. Un viaggio di 53,6 km e 6200 metri di dislivello.

Articolo a cura di Andrea Biffi - Socio della Sezione di Courgnè.
Andrea ci aveva proposto questo articolo lo scorso luglio. Purtroppo la sua pubblicazione arriva solo ora. Andrea è infatti scomparso lo scorso 17 agosto salendo in solitaria la cresta Berhault nel gruppo del Monviso.

La traversata delle creste valchiusellesi è stata la sua impresa, il suo riscatto e il suo sogno. Abbiamo scelto di condividere comunque questo racconto, che trasmette tutta la passione, la determinazione e l’amore per la montagna e la vita di un giovane alpinista scomparso troppo presto.

La traversata integrale delle creste Valchiusellesi è un sogno che avevo da molti anni, e che finalmente posso dire di aver realizzato.

La Valchiusella è stata per me casa a lungo: qui ho trascorso gran parte della mia vita e, anche se oggi vivo a Borgiallo, a circa 25 chilometri, continuo a considerarla casa.

Le montagne sono sempre state il mio luogo naturale, il posto dove mi sento più a mio agio. Fin da bambino, i miei genitori mi hanno trasmesso questa passione, e oggi amo la montagna in tutte le sue forme: dall’escursionismo all’alpinismo, dal trail running allo scialpinismo, fino alle cascate di ghiaccio.

Le montagne della Valchiusella hanno per me qualcosa di unico: selvagge, con versanti impervi di roccia ed erba olina, trasmettono un’energia speciale e offrono quel senso di pace e solitudine che oggi è sempre più raro.

In inverno si tingono di bianco e, per chi coglie l’attimo, regalano gite di scialpinismo magnifiche. Una delle discese più belle della mia vita è stata quest’anno, quando con il mio amico Leonardo abbiamo sciato la parete del Monfandì, con una neve eccezionale.

 

L’idea della traversata

L’idea della traversata integrale delle creste Valchiusellesi iniziò a farsi strada nella mia mente quando avevo circa diciannove anni. A quell’età, però, non avevo nemmeno gli strumenti per comprendere davvero cosa significasse. Era più un sogno, un’immagine vaga che riaffiorava ogni tanto, per poi svanire.

Per diversi anni smisi quasi di pensarci. Tra i venti e i venticinque anni vissi in Sudafrica, dove lo sport prese una direzione diversa: l’agonismo. Lì imparai la disciplina, la dedizione, la capacità di spingere i miei limiti. Dall’arrampicata sportiva – con la vittoria ai nazionali di lead climbing a Città del Capo nel 2014 e la salita, il giorno di Natale dello stesso anno, della via più difficile della mia carriera, un 8c – al trail running, che mi regalò negli anni numerosi successi nelle ultra. L’ultimo, tra i più importanti, arrivò proprio nel 2025: la vittoria al MUT by UTMB in Sudafrica, 165 km con 8000 metri di dislivello.

Quando tornai in Italia, il pensiero della traversata riaffiorò. Si ripresentava come un’ossessione silenziosa, un tarlo che ogni tanto bussava alla porta della mia mente. Ma per un motivo o per l’altro non ero mai nella giusta condizione fisica e mentale per provarci davvero.

A gennaio del 2019 tentai un primo approccio. Fu un tentativo improvvisato, privo della preparazione necessaria: partii da Brosso e arrivai fino a Cima Bonze. Le condizioni non permettevano certo di andare oltre, ma quell’esperienza rimase comunque preziosa. Una splendida alba vista da Cima Vallone e un allenamento che, seppur incompleto, mi fece capire quanto fosse affascinante l’idea di percorrere in continuità quelle creste.

Negli anni successivi la traversata rimase sospesa, un progetto che continuava a fluttuare nei miei pensieri. Non sempre ci pensavo attivamente, ma ogni volta che alzavo lo sguardo verso la Valchiusella, le sue creste impervie mi restituivano la stessa domanda silenziosa: “E se ci provassi davvero?”

 

L’anno delle “due rotture”

Il 2023 non fu un anno qualsiasi, ma l’anno che avrei poi ricordato come quello delle due rotture: una fisica, l’altra emotiva.

Durante l’estate avevo ripreso a pensare con serietà al progetto della traversata, ma il destino aveva in serbo ben altro. A ottobre, nel Vallone del Bourcet, mentre arrampicavo su una via chiamata “Sussurri e grida”, accadde l’imprevisto: un movimento sbagliato, una caduta rovinosa, e il tendine d’Achille sinistro che si spezzò. Il dolore fu acuto, lancinante. E mai come in quel momento il nome della via si rivelò profetico: i sussurri lasciarono spazio alle grida, vere, forti, che squarciarono il silenzio della montagna.

Ma quella non fu l’unica ferita. A luglio, pochi mesi prima, la relazione con la mia ex compagna era finita. Con due figli piccoli da crescere, affrontare quella separazione fu devastante. Due crolli in rapida successione: uno del corpo, uno del cuore.

E così chiamai quell’anno "l’anno delle due rotture".

Bloccato a casa, senza più la libertà di muovermi in montagna, sprofondai in una depressione nera. Ogni giorno era un peso. A dicembre finii al centro di salute mentale, seduto davanti a medici e psichiatri che mi visitarono e mi rimandarono a casa con una lunga lista di pillole da prendere. Avevo davvero toccato il fondo.

Quelle settimane furono le più dure. La sensazione era di aver perso tutto: il corpo che non rispondeva, la mente ingabbiata, il cuore spezzato. Non vedevo via d’uscita, solo una lunga ombra che oscurava ogni cosa.

Eppure, anche in quell’oscurità, un seme stava già germogliando.

 

Rinascita

Un giorno, qualcosa scattò. Presi tutte quelle pillole e le buttai via. Non era la prassi, non era consigliabile, ma io lo sentivo chiaramente: dovevo rialzarmi con le mie sole forze.

Così, ad aprile, ricominciai da zero. Prima con la bici, solo indoor, pedalate lente e controllate. Poi, via via, tornai in forma. Dopo due mesi mi sentivo già diverso, più forte, e iniziai a spingere di più. A settembre ripresi a correre in modo continuativo. Era un traguardo enorme, anche se solo un punto di partenza.

Dentro di me qualcosa era cambiato. Non ero più la stessa persona: corpo, mente e spirito sembravano finalmente allineati. Sentivo di capire meglio chi ero e cosa volevo. Era come una nuova rinascita.

Una rinascita che si concretizzò pienamente all’inizio del 2025, quando vissi una vera e profonda trasformazione spirituale. Da quel momento in poi, ogni passo, ogni salita e ogni discesa non furono più soltanto allenamento, ma parte di un cammino più grande: quello per ritrovare me stesso.

 

Preparazione

La prima cosa che feci fu parlare con amici e conoscenti del posto, persone che conoscevano bene quei tratti di montagna. Alcuni di loro ci avevano già provato, in diversi modi, senza riuscire a completare la traversata.

Secondo molti, era un’impresa impossibile: troppo lunga, troppo tecnica, con passaggi che avrebbero richiesto calate in corda doppia. Inoltre, la maggior parte delle persone intendeva la “traversata delle creste” come il tratto dal Monte Cavallaria alla Cima Bossola, ignorando del tutto le sezioni iniziali e finali. Io invece volevo partire da Brosso e arrivare fino a Inverso, aggiungendo quasi dieci chilometri e ottocento metri di dislivello in più.

Ogni volta che ne parlavo mi sentivo ripetere le stesse frasi: “È troppo lunga!”; “Impossibile farla in giornata!”; “Toglitelo dalla testa!”; 

Ma io non volevo togliermelo dalla testa. Volevo almeno provarci, con le mie gambe e con la mia tenacia.

Così iniziai le ricognizioni, una dopo l’altra, come tessere di un puzzle da ricomporre.

  • 28 settembre 2024 – Bocchetta delle Oche - Punta Bordevolo
    Un tratto tecnico ma fattibile fino al Monfandì. Da lì in avanti iniziarono le vere difficoltà: terreno delicato, arrampicata esposta, discese impegnative fino al IV+. Ricordo bene l’attenzione che richiedeva ogni singolo movimento.

  • 9 novembre 2024 – Pian Spergiurati - Mont Vailet
    Qui trovai le prime difficoltà già tra Cima Bonze e Bech del Steje. Un passaggio ostico da disarrampicare, sul IV+/V, mi costrinse a ragionare con calma. Più avanti, al Ponton del Camoscio, scelsi una linea ottimale che mi permise di scendere in sicurezza: quel momento fu come aprire una porta che credevo chiusa.

  • Inverno 2024 – Brosso - Pian Spergiurati
    Durante l’inverno completai la prima parte della traversata. Fu la sezione più semplice: divertente, tecnica solo a tratti, un buon modo per consolidare fiducia.

  • 30 giugno 2025 – Mont Vailet - Bocchetta delle Oche
    Terreno molto tecnico, alternanza di nubi e sole, ma il meteo peggiorò e dovetti interrompere. La montagna sapeva ricordarmi che non era lei a seguire i miei tempi, ma io i suoi.

  • 7 luglio 2025 – Mont Arbeuil - Bocchetta delle Oche
    Il tratto più ostico di tutti. Lì la montagna mostrava il suo volto più severo: arrampicata continua, tratti di IV grado, passaggi estremamente esposti. Alla fine lo completai, stremato ma con una certezza nuova: era difficile, sì, ma possibile.

Ricognizione dopo ricognizione, stavo componendo il mosaico. Ogni sezione conosciuta diventava un tassello di sicurezza, un’informazione preziosa da portare con me il giorno della grande avventura. E con ogni passo, la convinzione cresceva: la traversata integrale non era più un sogno vago, stava diventando un obiettivo reale.

 

La decisione

Una volta completate tutte le ricognizioni, dentro di me non avevo più dubbi: era arrivato il momento di tentare la traversata integrale.

Inizialmente avevo pensato al 12 luglio 2025 come data ideale, ma non riuscii a trovare il supporto necessario. Per qualche giorno rimasi sospeso, diviso tra la voglia di partire e la consapevolezza che un’avventura simile richiedeva organizzazione e compagni affidabili.

Poi arrivarono le previsioni del tempo, ed erano chiare: giovedì 10 luglio sarebbe stata una giornata perfetta. Non solo bel tempo, ma anche luna piena. Non avrei potuto chiedere di meglio. Sentii che quello era il segnale che aspettavo.

Presi il telefono e scrissi al gruppo di amici: avrei tentato la traversata partendo a mezzanotte da Brosso. Pochi minuti dopo arrivò la risposta di Leonardo: ci sarebbe stato. Quel “sì” sciolse ogni esitazione e diede concretezza al sogno.

Da lì in avanti fu un turbine di preparativi. Controllai più volte i tempi e i dislivelli, ricalcolando mentalmente ogni sezione. Preparami con cura l’alimentazione, dividendo i rifornimenti in pacchetti precisi, e studiai i punti in cui avrei incontrato supporto. Stimai che la traversata sarebbe stata di circa 54 km, con 6000 metri di dislivello positivo, e che mi avrebbe richiesto attorno alle 20 ore di cammino e arrampicata.

Ogni dettaglio prendeva forma: il percorso non era più solo una linea tracciata nella mente, ma un progetto reale, con orari, tappe e strategie. Sentivo crescere dentro di me una tensione elettrica, la stessa che precede i grandi momenti della vita.

Era deciso: nella notte tra il 9 e il 10 luglio, a mezzanotte, sarei partito.

 

La traversata

La sera del 9 luglio non riuscii quasi a chiudere occhio. L’adrenalina e l’attesa mi tenevano sveglio: sapevo che di lì a poche ore avrei affrontato quello che per anni era stato solo un sogno. Alle 23.30 raggiunsi la piazza di Brosso, il cuore del paese da cui tutto sarebbe iniziato. La luna piena illuminava i tetti e le creste lontane: sembrava un segno. Con me c’era Valerio, che mi avrebbe accompagnato fino al Cavallaria.

A mezzanotte in punto partimmo. I primi passi furono un misto di eccitazione e concentrazione. La salita nel buio era silenziosa, interrotta solo dal rumore regolare del respiro e dal fruscio dei nostri passi. Quando giungemmo sul Cavallaria, il primo vero spartiacque della giornata, mi sentii scaldare dentro: era l’inizio di una lunga cavalcata, e già lì percepivo che nulla mi avrebbe fermato.

Il primo rifornimento fu al Mont Vailet, dove arrivai alle 5.18 del mattino. L’alba stava esplodendo in un tripudio di colori, tingendo di rosa e oro le montagne: un regalo che cancellava per un attimo ogni fatica. Il morale era altissimo.

Dal Vailet fino alla Bocchetta delle Oche affrontai la sezione più tecnica. Tratti di arrampicata e disarrampicata si alternavano, le rocce erano esposte e richiedevano attenzione millimetrica. Alcuni passaggi mi costrinsero a fermarmi, respirare e valutare ogni movimento. Dopo circa sei ore di sforzo ininterrotto, arrivai al secondo rifornimento, esausto ma soddisfatto. I dolori alle ginocchia e al tendine iniziavano a farsi sentire, ma la mente era lucida e determinata.

L’intaglio del Monfandì fu un banco di prova: un punto ostico, in cui la montagna pretendeva rispetto assoluto. Anche la Costiera Lesiney mise a dura prova la mia concentrazione: roccia affilata, tratti esposti, e quel senso costante di camminare sul filo di un rasoio. Ogni passo, ogni presa era un dialogo silenzioso con la montagna: “Posso passare?” – “Sì, ma con rispetto”.

Il terzo rifornimento fu al Monte Lion. Qui mi aspettavano Leonardo e altri amici: la loro presenza fu un’iniezione di energia, un abbraccio che mi ricordava perché stavo facendo tutto questo. Ero stanco, disidratato, ma il cuore correva più veloce delle gambe.

L’ultima parte verso la Cima Bossola fu un crescendo di emozioni. Nonostante la fatica, le gambe rispondevano. L’idea che la fine fosse vicina mi dava una spinta nuova. Quando raggiunsi la cima, mi fermai un attimo a guardare indietro: tutte quelle montagne, una dopo l’altra, erano ormai alle mie spalle.

La discesa verso Inverso fu una corsa liberatoria, quasi un volo. Non contava più la stanchezza, né i dolori: contava solo l’arrivo, la consapevolezza che stavo scrivendo la mia pagina di storia.

Alle 17.48, dopo 17 ore e 48 minuti, 53,6 km e 6200 metri di dislivello positivo, entrai nel cortile della trattoria l’Mulin. Amici e prosecco mi accolsero in festa. Fermando il cronometro, sentii un’ondata di emozioni: ce l’avevo fatta.

Un amico mi disse: “Oggi una nuova pagina di storia della Valchiusella è stata scritta.”
Io dentro di me pensai: “Sto ancora realizzando cosa sono riuscito a fare oggi. La traversata integrale delle creste Valchiusellesi in giornata non è più un’utopia: è realtà.”