"La vita che verrà", nuova via sulla Brenta Bassa per Galizzi e Nicolini

L'tinerario di 350 metri, con difficoltà fino al 7b è il primo che supera interamente la parete. "L'abbiamo aperta cercando di tornare a un alpinismo più tradizionale"

 

Davide Galizzi e Franco Franz Nicolini hanno aperto una nuova via sulla Brenta Bassa. L'itinerario, di 350 metri per 10 tiri, con difficoltà proposte tra il 5c e il 7b (obbligatorio), ha il pregio di correre su tutta la parete e porta un nome evocativo: La vita che verrà. “La dedico a mia figlia Elena, che è anche la moglie di Davide e per ora non voglio dire altro”.

 

La guida alpina trentina ci ha invece spiegato il motivo per cui non c'era ancora alcun itinerario che solcasse per intero la parete. “Tutta la sud ovest della Brenta Bassa è stata vista da moltissimi alpinisti, da sempre. Se torniamo indietro ci sono anche delle foto del Cesare [Maestri, ndr] su quella roccia, ma ai tempi non era una salita possibile, se non ricorrendo a un uso ingente di mezzi artificiali. Gli strapiombi iniziali sono importanti, c'è una fessura camino che supera brillantemente la prima fascia, ma c'è un tiro che esce di una decina di metri rispetto alla base. Poi c'è da dire che la dolomia aiuta più del calcare, è molto appigliata, comunque è una via impegnativa. Più in alto segue un pilastro e gli ultimi tre tiri portano in cima. L'abbiamo salita in libera alternandoci, Davide ha scalato il tiro più duro”.

 

Durante l'apertura, Galizzi e Nicolini hanno cercato di tenere uno stile rispettoso di una linea tanto preziosa. “Non abbiamo usato molti spit e ci siamo protetti più che altro con protezioni veloci, poi ne abbiamo aggiunto qualcuno quando l'abbiamo liberata”. Tutte le soste sono con uno spit e un chiodo, a parte due che sono solo su spit. La discesa avviene per la normale della Brenta Bassa, sul versante nord est, con due corde doppie e per sentiero.

La via rappresenta una svolta per Nicolini, un ritorno a un alpinismo più tradizionale. “Fin dalla gioventù ho assimilato la filosofia dello Stenghel [Luciano, ndr], che come ben sai di chiodi dietro ne aveva sempre pochi. Ma soprattuto lui cercava sempre una linea logica per salire in cima alla montagna. Io ho sempre aperto nel pieno rispetto del passato, senza incrociare altre vie e non amo fermarmi a metà di una parete. Poi ho aperto anche una quarantina di vie vicino al rifugio che sono plaisir e aiutano chi è un po' meno alpinista e non c'è niente di male, ma credo che anche per noi alpinisti in certe situazioni è forse tornato il tempo di fare un passettino indietro”.

 

Insomma, il concetto è adattare lo stile di apertura a seconda del contesto in cui ci si trova. A fine settembre, tra l'altro, Nicolini è stato al 18esimo raduno dei gruppi alpinistici delle Dolomiti che si è tenuto a San Martino di Castrozza e che ha posto l'accento sulla necessità “di fare un po' di ordine, più che altro di ragionare su cosa sia opportuno fare, anche e soprattutto sulle vie che ci sono già. Non vogliamo riattrezzare a spit le vie, ma magari qualche sosta la si può mettere, anche per non vedere le cordate finire giù. Così come si può pensare di sostituire qualche vecchio chiodo con qualche chiodo nuovo, ma sempre con rispetto”.

 

La vita che verrà non è ancora stata ripetuta, essendo stata liberata solo il 31 ottobre. L'apertura invece ha richiesto un po' più di tempo, in quanto Nicolini e Galizzi ci si sono dedicati nel tempo libero lasciato dalla ristrutturazione del rifugio Tosa-Pedrotti. Lavori che si sono conclusi dopo due anni, tanto che l'anno prossimo la struttura – che la SAT ha dato in gestione per altri 10 anni alla famiglia Nicolini- riaprirà a giugno, con l'inizio dell'estate.