Un esempio di “alga della neve” della famiglia delle Chlamydomonadaceae, responsabile della colorazione rossastra che conferisce a neve e ghiaccio su cui cresce. Foto Dick Culbert.
Insieme di crioconiti scavate dal riscaldamento di polveri scure, al cui interno vivono complesse comunità microbiche. Foto J. Alean.
Giovani aree proglaciali di fronte al Ghiacciaio Gosauer, Austria. Le zone recentemente scoperte dal ritiro glaciale offrono nuovi habitat per la colonizzazione di licheni, muschi e piante. Foto Christian Hecht.
Ghiacciaio Forni - Parco nazionale dello Stelvio. Foto vilandre/Wikipedia
Tardigradi (a–f) e Rotiferi (g–i) dei ghiacciai. Foto K. Zawierucha et al (2020).
Pulce dei ghiacciai (Vertagopus glacialis). Foto B. Valle/ Piemonte ParchiI ghiacciai alpini non sono soltanto masse di ghiaccio che si ritirano: sono veri e propri ecosistemi, tra i più estremi e affascinanti del pianeta. Al loro interno convivono organismi capaci di sopravvivere in condizioni di freddo, buio e scarsità di nutrienti che per molti altri esseri viventi sarebbero proibitive. Dalle alghe ai batteri, dai tardigradi ai piccoli predatori che cacciano sulla superficie, ogni componente svolge un ruolo preciso nel mantenere attivo il metabolismo del ghiacciaio. Ciò che rende questi ambienti così straordinari è l’interconnessione tra i diversi strati: la superficie produce energia tramite la fotosintesi, l’acqua di fusione trasporta carbonio e nutrienti verso gli strati interni, la base del ghiacciaio attiva processi chimici che alimentano comunità microbiche specializzate, e infine i torrenti proglaciali esportano materia organica verso gli ecosistemi alpini circostanti. È una rete interconnessa, in cui ogni flusso di luce, acqua, sedimenti e microrganismi permette al ghiacciaio di funzionare. Comprendere queste connessioni significa riconoscere il valore di un patrimonio biologico unico, oggi messo a rischio dalla rapida perdita dei ghiacciai di montagna.
Gli habitat nascosti dei ghiacciai alpini
Sebbene possano sembrare deserti di ghiaccio, i ghiacciai alpini ospitano una sorprendente varietà di organismi distribuiti lungo quattro grandi zone ecologiche, ciascuna con condizioni e comunità biologiche differenti. Secondo la suddivisione proposta da Hotaling e colleghi nella loro pubblicazione del 2017, la vita sui ghiacciai si organizza in supraglaciale, englaciale, subglaciale e in ambienti proglaciali.
La superficie del ghiacciaio (zona supraglaciale) è la parte illuminata dal sole, dove vivono alghe, cianobatteri, organismi eucarioti come protozoi, diatomee, rotiferi e funghi, fino a piccoli invertebrati come gli anellidi chiamati in gergo “vermi del ghiaccio”. Appartenenti al genere Mesenchytraeus, questi anellidi sono lunghi diversi centimetri e passano gran parte del tempo all’interno del ghiaccio, emergendo solo nelle ore notturne. Non è noto come questi organismi riescano a scavare gallerie nel ghiaccio: si ipotizza che viaggino attraverso microscopiche fessure nelle calotte glaciali, o che possano secernere sostanze chimiche in grado di sciogliere il ghiaccio.
Nelle crioconiti, piccole pozze scavate dal riscaldamento di polveri scure che si depositano sul ghiacciaio e assorbono maggiormente il calore rispetto al ghiaccio circostante, si sviluppano comunità prevalentemente batteriche in grado di riciclare e sfruttare carbonio e nutrienti alloctoni, cioè provenienti dall’esterno del ghiacciaio e trasportati in loco dal vento.
Sulla superficie del ghiacciaio, quindi, nasce la maggior parte dell’energia biologica del ghiacciaio, infatti, la fotosintesi delle alghe e dei cianobatteri fornisce il carbonio organico che alimenta il resto del sistema, guidando la maggior parte della produttività primaria della zona supraglaciale. La produttività primaria è l’energia che gli organismi fotosintetici ricavano dalla luce trasformandola in materia organica: rappresenta il primo passo che permette a tutto l’ecosistema glaciale di funzionare.
L’interno del ghiacciaio (zona englaciale) è una regione fredda, buia e povera di risorse, dove la vita è molto scarsa. Il suo ruolo principale non è ecologico, ma logistico: attraverso crepacci, fratture e canali, l’acqua superficiale scende verso il basso portando con sé ossigeno, nutrienti e cellule vive. È il “sistema circolatorio” del ghiacciaio.
La base del ghiacciaio (zona subglaciale) è caratterizzata dalla totale assenza di luce, qui la fotosintesi non può avvenire e la vita si basa su un altro tipo di metabolismo: la chemioautotrofia, cioè la capacità di ricavare energia da reazioni chimiche anziché dalla luce.Sotto il ghiacciaio, batteri e archea riescono comunque a fissare CO₂ sfruttando l’energia liberata da reazioni che coinvolgono minerali e composti inorganici presenti nella roccia triturata dal ghiaccio. Alcuni microrganismi ossidano ferro o zolfo (come la pirite), altri utilizzano l’idrogeno prodotto dalle reazioni tra acqua e minerali: in questo modo ottengono l’energia necessaria per trasformare CO₂ in materia organica. Grazie a questi processi, anche un ambiente buio e ostile come la base del ghiacciaio può sostenere una forma di produttività primaria senza luce.
Infine, l’acqua che esce dal ghiacciaio porta con sé sedimenti, nutrienti e organismi influenzando profondamente la biodiversità degli ambienti proglaciali come i torrenti alpini. Inoltre, nelle aree recentemente liberate dal ghiaccio (forefields), i primi colonizzatori sono batteri e funghi provenienti dagli habitat glaciali stessi, che avviano la formazione del suolo su cui in seguito arriveranno muschi, licheni e piante. In questo modo, il ritiro dei ghiacci non modifica solo la forma delle montagne, ma genera anche nuovi habitat che evolvono e maturano nel tempo.
Cosa rivela il Ghiacciaio dei Forni sulle interazioni ecologiche dei ghiacciai alpini
Il recente lavoro di Crosta e colleghi (2025) offre per la prima volta una sintesi completa delle interazioni ecologiche su un ghiacciaio alpino, utilizzando il Ghiacciaio dei Forni (Alpi Centrali italiane) come modello. Il Forni è uno dei pochi ghiacciai al mondo in cui quasi tutte le componenti biologiche, dai batteri ai predatori apicali, sono state studiate a lungo termine, permettendo di ricostruire un quadro dettagliato del funzionamento dell’intero ecosistema glaciale. Dallo studio emerge una rete trofica corta ma altamente interconnessa. Una rete trofica è l’insieme delle relazioni alimentari che collegano tra loro gli organismi di un ecosistema, mostrando chi mangia cosa. In pratica, rappresenta il flusso di energia e nutrienti dalla produzione primaria fino ai consumatori e ai predatori apicali, rivelando come ogni specie dipenda dalle altre per sopravvivere. Sul Ghiacciaio dei Forni, alla base troviamo microbi fotosintetici e chemiosintetici che producono la materia organica necessaria a sostenere l’intero sistema; sopra di loro agiscono decompositori, soprattutto funghi affiancati da numerosi protisti che consumano batteri e alghe. Dentro le crioconiti, i piccoli pozzi d’acqua scura che punteggiano la superficie del ghiacciaio, domina il tardigrado Cryobiotus klebelsbergi, identificato come il consumatore delle comunità microbiche all’apice della rete trofica acquatica del ghiacciaio. Sulla superficie ghiacciata, invece, si trovano le popolazioni della “pulce dei ghiacciai” Vertagopus glacialis, che costituiscono la risorsa principale per i due predatori apicali: il carabide Nebria castanea e il ragno Pardosa saturatior.
Nel complesso, il lavoro dimostra che anche un ghiacciaio alpino, apparentemente semplice, è in realtà un ecosistema ricchissimo di interazioni. Questa rete, tuttavia, è fragile: molte specie sono endemiche, poco mobili e altamente specializzate, quindi particolarmente vulnerabili alla scomparsa accelerata dei ghiacciai alpini.
Ecosistemi difficili da studiare
Nonostante la ricchezza di relazioni ecologiche che li caratterizza, gli ecosistemi glaciali restano tra i più difficili da studiare: sono remoti, spesso inaccessibili e richiedono metodologie complesse per campionare organismi minuscoli e altamente adattati. Proprio questa difficoltà ha portato a lungo a considerarli ambienti “abiotici”, marginali, con una biodiversità trascurabile. In realtà, i ghiacciai ospitano comunità uniche, metaboliche attive e fortemente connesse con gli ecosistemi alpini circostanti, influenzando nutrienti, cicli biogeochimici e persino le reti alimentari a valle. La loro perdita implicherebbe anche la scomparsa di interi habitat che sostengono specie specializzate, molte ancora sconosciute. È quindi fondamentale che la ricerca rivolga maggiore attenzione a questi ambienti estremamente vulnerabili: solo comprendendone la biodiversità e le interazioni potremo valutare appieno l’impatto della rapida scomparsa dei ghiacciai alpini e il ruolo insostituibile che svolgono nel mosaico degli ecosistemi montani.
Riferimenti bibliografici
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