Luca Mercalli.Qual è l’anno peggiore in cui aver vissuto, guardando al clima? Il 536 d.C. senza dubbio. Siamo nella Piccola Età Glaciale della Tarda Antichità e allora l’estate non ci fu proprio: quel che restava dei fasti imperiali romani fu sconvolto da gelo e alluvioni, con il loro portato ferale di epidemie e carestie, preludio alla peste di Giustiniano. Brutti tempi. Gli antichi non seppero spiegarsi tanto accanimento divino, che sarebbe durato diversi anni, a noi oggi invece l’ha rivelato il ghiaccio dei carotaggi svolti in Groenlandia e al Colle Gnifetti. Fu per colpa di una serie di eruzioni vulcaniche in tre diversi punti della Terra, così enormi e devastanti da riempire l’aria di polveri in grado di oscurare la luce solare, come nei peggiori scenari distopici di certa fantascienza catastrofista. Invece fu tutto terribilmente vero e il cielo per oltre un anno rimase torbido e velato: ci volle parecchio perché tornasse blu camicia.
Lo si apprende leggendo l’ultimo libro di Luca Mercalli, Breve storia del clima in Italia (pp. 256, 18 euro, Einaudi 2025), che è breve solo per noi che oggi lo abbiamo a disposizione, visto che il noto meteorologo torinese ha iniziato a raccogliere dati ben 40 anni fa, prendendo appunti su semplici foglietti di carta ordinatamente riposti in specifiche cartellette. Solo l’avvento di internet e degli archivi digitali online messi a disposizione dalle biblioteche di tutto il mondo (biblioteche finanziate da fondi pubblici e risorse open source è il tema in filigrana) ha però potuto farlo giungere a maturazione.
L’intento è quello di fornire un’opera che mancava, nel panorama delle pubblicazioni scientifiche di ambito divulgativo circa la storia del clima. “Uno dei miei libri meno militanti” confessa lui, perché lo sconvolgimento che il cambiamento climatico sta apportando in ogni ambito fa discutere solo di recente, ma quelli come lui ne parlano fin dagli anni ’90 e allora non c’è bisogno di ripetersi. Meglio andarsi a leggere questa sorta di Bignami di 24mila anni di storia del clima italiano, utile a fornire a chi vuole gli strumenti per comprendere i fenomeni climatici anche oltre l’attualità. Perché, come balza subito all’occhio al primo capitolo, la “storia del clima” è anche la “storia dell’umanità”: con la differenza che il clima si muove in ere geologiche, mentre l’uomo non è programmato per pensare fenomeni di così lunga portata.
Del resto, come rileva nella prefazione Christian Rohr, professore di Storia del Clima e dell’ambiente all’Università di Berna, “l’Italia ha avuto un ruolo centrale nello studio del tempo e del clima fin dalle prime fasi, dall’invenzione del termometro da parte di Galileo Galilei (1597) e del barometro da parte di Evangelista Torricelli (intorno al 1643) alla prima rete di misurazione strumentale del tempo dell’Accademia del Cimento alla corte del granduca Ferdinando de’ Medici”. È in quella tradizione che si inserisce Luca Mercalli, ma anche i ricercatori che in Antartide hanno appena condotto il progetto internazionale Beyond EPICA - Oldest Ice, guidato dall’Istituto di scienze polari del Consiglio Nazionale delle Ricerche e coordinato dal professor Carlo Barbante.
La copertina del libro.Ma torniamo ai contenuti. Con un salto di parecchi secoli, si scopre che scricchiola anche il mito del Mediterraneo come terra baciata dal sole, quella “dove fioriscono i limoni”: quando nel Settecento Goethe scrisse quel verso, prendendo il bell’agrume come simbolo dell’astro maggiore per consonanza cromatica, e mettendoci insieme arance, mirto, alloro e il gradevole tepore che spira dal cielo azzurro, imperversava in realtà la Piccola Età Glaciale più recente dell’Olocene, prossima a giungere al culmine nel 1850. E allora, scrive Mercalli, ci stava che un tedesco apprezzasse il calore mediterraneo, perché in Germania, che sta molto più a nord, faceva decisamente più freddo. Nessuno all’epoca conosceva le Maldive, dove soffiano costanti 28 gradi tutto l’anno, e il Mediterraneo era il meglio che si potesse avere all’epoca: il meglio “per contrasto” però e per il bisogno “romantico” di far grande ogni manifestazione estetica dell'animo umano.
Per venire a tempi più recenti, è nel 2003 che succede qualcosa di diverso: a Torino, Milano, Bologna si toccano i 40 gradi. È stata la prima volta in oltre 250 anni di rilevazioni, ma da allora capita ogni due anni circa. Il caldo, di cui purtroppo molti ogni estate muoiono nella sostanziale indifferenza, ha però iniziato a uscire “dal rumore di fondo dei dati della variabilità naturale” dagli anni ’90. Quelli in cui l’economia girava così bene che ci si poteva permettere ogni sorta di spreco, vivendo come cicale nel giorno della marmotta. Risale non a caso al 1991, che allora fu l’estate più calda di sempre, l’affioramento della mummia di Ötzi al Passo del Similaun, in Val Senales, sopra Merano. 5.300 anni dopo che ci era finita a morire.
E veniamo allora alla montagna, alle Alpi, ai ghiacciai che oggi sono così attenzionati quando si parla di cambiamento climatico.
Professor Mercalli, che ruolo ha la montagna nella storia del clima italiano?
La montagna è uno straordinario laboratorio scientifico per il clima, perché conserva tantissime testimonianze non scritte, anche arcaiche, che troviamo nei ghiacciai, nel fango dei laghi alpini, negli anelli degli alberi, sia ancora vivi, sia sepolti dentro le morene, che ci permettono di ricostruire decine di migliaia di anni di clima. Le Alpi sono sempre state il mio luogo di elezione della ricerca climatica e dentro questo libro ci sono tantissimi esempi proprio tratti dal clima alpino.
Può farci qualcuno di questi esempi?
Penso per esempio alla mummia Ötzi emersa sopra Merano, sul Similaun, al ghiacciaio del Rutor con le sue torbe di 5.000 anni fa, più o meno coeve di Ötzi, oppure alle morene dei grandi ghiacciai dell’ultima glaciazione che arrivano fino alla Pianura Padana. Partendo dalle Alpi si può già ricostruire la carta d’identità del clima italiano, in cui ovviamente confluiscono poi anche tanti altri fatti nelle zone dove le montagne non ci sono, ma direi che proprio grazie alle Alpi, rispetto ad altri territori del pianeta, l’Italia può dire qualcosa di più sulla storia del clima.
Cosa ci insegnano le Alpi?
Ci insegnano che il clima ha sempre subito variazioni in passato, ma per cause diverse da quelle che abbiamo oggi, e queste variazioni volgevano prevalentemente verso il freddo. I nostri predecessori hanno quasi sempre dovuto confrontarsi con un clima più freddo, non più caldo, mentre noi oggi per la prima volta vediamo i nostri ghiacciai che ci stanno scomparendo sotto i piedi. Quindi sappiamo che c’è qualcosa di nuovo sotto il sole. I ghiacciai alpini saranno completamente consumati alla fine di questo secolo. Guardiamoli oggi, perché fra un po’ saranno soltanto delle fotografie.