Stella alpina, Parco Nazionale della Maiella - Foto Tatiana Marras
Stella alpina e sullo sfondo il Cervino - Foto Thomas Mathis - Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0
Stella alpina sui Tatra - Foto Agnieszka Kwiecień - Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0
Dettaglio stella alpina in Maiella - Foto Andrea Massagli - Wikimedia Commons, CC BY 4.0
Stelle alpine sulle Alpi - Foto di ralfheine da Pixabay
Stella alpina, Svizzera - Foto Chme82 - Wikimedia Commons, CC BY-SA 4.0
Stella alpina - Foto di Hans da PixabayLa stella alpina è una delle piante più affascinanti in cui è possibile imbattersi, con un po’ di fortuna, nei mesi estivi in alta quota. Facilmente riconoscibile per la forma stellata e l’aspetto soffice della infiorescenza di colore bianco, si può incontrare sia sulle Alpi che sugli Appennini.
L’aggettivo “alpina” che caratterizza il nome comune della pianta, non è da considerarsi quale stretto riferimento geografico all’arco alpino, ma come indicazione degli ambienti in cui trova le condizioni idonee alla propria sopravvivenza, ovvero zone di pascolo e pendii rocciosi, generalmente al di sopra del limite della vegetazione arborea. Il range di distribuzione è abbastanza ampio, spaziando dai 1.500 m ai 3.000 metri circa.
Se “alpina” non fa riferimento in maniera specifica alle Alpi, si potrebbe ipotizzare che le stelle alpine presenti lungo l’arco alpino e quelle che crescono nell’Appennino Centrale siano tutte uguali. La botanica, ma anche un occhio attento, ci dicono “no”. E si tratta di un “no” abbastanza articolato.
Stelle alpine d’Alpi e d’Appennino
La classificazione scientifica della stella alpina europea è stata oggetto di dibattito. A uno sguardo attento, effettivamente, le stelle alpine delle Alpi e quelle dell’Appennino mostrano delle differenze morfologiche: le appenniniche appaiono più piccole e caratterizzate da una peluria più densa.
Queste discrepanze macroscopiche si accompagnano a differenze su base genetica che, nel corso dei decenni, hanno portato a una duplice interpretazione da parte della tassonomia.
Secondo la prima interpretazione, ci troveremmo di fronte a due specie distinte: Leontopodium alpinum sulle Alpi e Leontopodium nivale nell’Appennino.
La seconda, le riconosce come due sottospecie della medesima specie, identificata come Leontopodium nivale. La sottospecie alpina (Leontopodium nivale subsp. alpinum) è distribuita tra Alpi, Pirenei e Carpazi. Quella appenninica (Leontopodium nivale subsp. nivale), spesso indicata semplicemente come Leontopodium nivale, è un endemismo dell'Appennino centrale. Questa seconda interpretazione è supportata dal fatto che le differenze genetiche non siano sufficienti a identificarle come due specie distinte e che le differenze morfologiche rappresentino una conseguenza dell’isolamento geografico.
Oggi l'interpretazione più accreditata identifica la stella alpina dell’Appennino come Leontopodium nivale subsp. nivale e quella delle Alpi come Leontopodium nivale subsp. alpinum. Ma molti testi, articoli, e anche il linguaggio comune, continuano a usare Leontopodium alpinum come denominazione per la stella alpina alpina, a riprova della complessità e delicatezza dell'argomento.
La particolare distribuzione, che vede un isolamento tra le popolazioni del Nord e del Centro Italia, deriva dal fatto che le stelle alpine rappresentano un relitto della flora preglaciale. Durante l'ultima era glaciale, gran parte dell'Europa dobbiamo immaginare fosse ricoperta da ghiacciai. Le piante adattate al freddo, come la stella alpina, si diffusero a quote e latitudini più basse, spinte proprio dall’avanzata dei ghiacci. Quando questi si ritirarono, il clima iniziò a riscaldarsi, con conseguente estinzione o migrazione di molte specie. Le stelle alpine sono da considerarsi esempi di specie “in fuga”, che riuscirono a trovare nuovi habitat, spostandosi in alta quota.
Accanto alle stelle alpine europee, all’interno del genere Leontopodium, sono riconosciute decine di specie diverse, la maggior parte delle quali si trovano in Asia, in particolare nelle regioni dell'Himalaya e dell'Asia centrale, tutte accomunate dall’aspetto stellato e vellutato. Un adattamento non tanto ai climi freddi, come si potrebbe facilmente ipotizzare, ma ai climi aridi, finalizzato dunque a offrire protezione dalla eccessiva perdita di acqua per traspirazione.
Sembra fiore ma non è
Quello che ci appare come fiore bianco e soffice, in realtà fiore non è. Si tratta di una infiorescenza, composta da brattee, ovvero foglie modificate, di colore bianco, che racchiudono i piccoli veri fiori, che corrispondono ai capolini gialli osservabili al centro della infiorescenza. Osservandoli attentamente, è possibile notare che i capolini ricordino la zampa di un leone, da cui il nome attribuito al genere Leontopodium (piedino di leone). I “fiori” spuntano, come premesso, nella stagione estiva, e seccano nella stagione autunnale. In questo periodo è dunque possibile incontrare le stelle alpine lungo i sentieri in quota, ma sia le foglie che i fiori risultano essere in fase di disseccamento. La pianta si prepara così al riposo invernale.
Sulle Alpi sono diffusi dei nomi comuni che fanno riferimento ad altre caratteristiche della pianta, come il tedesco Edelweiss, che si può tradurre con "bianco nobile" o il francese Immortelle des Alpes ("immortale delle Alpi"), nome che ne evidenzia la resistenza e la capacità di conservarsi a lungo una volta recisa.
Ma immortale, la stella alpina non è. E la sua raccolta indiscriminata nel passato, legata oltre che alla sua bellezza, anche alle numerose proprietà officinali (antiossidante, antinfiammatoria, antibatterica…) che caratterizzano la pianta, ha portato la specie a essere considerata a rischio di estinzione. Nella lista rossa IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) la specie Leontopodium nivale è riconosciuta come vulnerabile.
La raccolta è severamente vietata in Italia e in molti altri Paesi europei. L'unico modo legale per possedere o utilizzare la stella alpina, per scopi industriali, soprattutto cosmetici, è che provenga da coltivazioni autorizzate.