La spedizione del 1975 © Mario Conti - Archivio Ragni della GrignettaNel 1975 tutte le vette più alte del Pianeta sono già state salite. Anche in Himalaya il capitolo dell'alpinismo di "conquista" è chiuso e si sta aprendo quello della ricerca delle difficoltà, dei "problemi" da risolvere. E se c'è qualcuno che può bussare alle porte della storia esibendo un biglietto da visita su cui si legge "Risolvo problemi", quello è il grande vecchio Riccardo Cassin.
Il tempo della sua vita da capocordata è ormai tramontato, ma la sua tenacia e la sua proverbiale resistenza fisica sono ancora quelle dei ruggenti anni Trenta. Nel dopoguerra ha continuato a scalare sempre ad ottimi livelli ed è divenuto il capospedizione che ha condotto i nuovi talenti dell'alpinismo al raggiungimento di risultati straordinari: nel 1958 la prima ascensione assoluta del Gasherbrum IV, nel 1961 la prima salita dello sperone sud del McKinley, nel 1969 la spedizione dei Ragni allo Jirishanca.
Ora, alla bella età di 66 anni, Cassin si appresta a fare i conti con un progetto a lungo cullato: una spedizione all'inviolata parete sud del Lhotse, una muraglia di roccia e ghiaccio di più di 3000 metri di dislivello che culmina a 8516 metri.
La marcia di avvicinamento è già cominciata due anni prima, nel maggio del 1973, quando il CAI Centrale fa proprio il progetto e gli conferisce l'incarico per dirigere la Spedizione nazionale al Lhotse. I membri della squadra vengono scelti fra i più forti alpinisti italiani: Ignazio Piussi, Sereno Barbacetto, Aldo Leviti, Mario Curnis, Franco Gugiatti, Fausto Lorenzi, Alessandro Gogna e il fuoriclasse Reinhold Messner. Vista la provenienza del leader, il gruppo è completato da un nutrito manipolo di scalatori “made in Grigna”. Cassin convoca, infatti, Gigi Alippi, Mariolino Conti, il Det Giuseppe Alippi e Aldo Anghileri. Insomma, uno squadrone da campionato del mondo dell'alpinismo, ma le cose cominciano a girare per il verso sbagliato sin dall'inizio.
I primi segnali di un anno difficile
Prima di tutto si scopre che l’obiettivo prescelto (una via diretta lungo lo sperone centrale) è tutt’altro che sicuro: la parete è percorsa continuamente da slavine di neve e scariche di sassi. Occorre rivedere i piani, dunque, e per questo si punta alla linea di cresta a sinistra dello sperone, più sicura e abbordabile. Poi il medico Franco Chierego si ammala gravemente e deve essere evacuato d'urgenza.
Il Lhotse, però, ha appena cominciato a pronunciare il suo "no". Prima lo manda a dire come un avvertimento: gli inglesi sul vicino Nuptse hanno perso quattro alpinisti sotto a una slavina. Poi lo urla con la potenza del boato della valanga che si abbatte sul campo base nella notte fra il 19 e il 20 aprile: diverse tende vengono spazzate via dallo spostamento d’aria, ma tutti per fortuna sono illesi. All'alba accade l'impossibile: il campo base letteralmente esplode! Una seconda valanga, ancora più grande, viene giù dalla parete. Anche questa volta non ci sono vittime, ma attrezzature e viveri sono disseminati ovunque nel raggio di centinaia di metri.
Il campo distrutto dopo una valanga © Mario Conti - Archivio Ragni della GrignettaIl no definitivo
Ci vogliono giorni, ma alla fine il gruppo si riorganizza e si continua a salire, arrivando a piazzare il campo 3. Gogna e Barbacetto arrivano fino ai 7500 metri, riaccendendo un barlume di speranza. Ma la risposta è ancora un "no", quello definitivo. Il 7 maggio una nuova valanga passa sopra al campo 3, risparmiando per puro miracolo la tenda dove Barbacetto e Leviti (che aveva dato il cambio a Gogna) stanno cenando.
A questo punto è il capo spedizione a rinunciare. Ha giocato tutte le sue carte e ha perso tutto quello che era lecito perdere. Neppure il fallimento alpinistico può convincere Cassin a varcare la linea sottile che separa l'audacia dall'ossessione. Il “Grande Risolutore” questa volta, proprio con la spedizione destinata a concludere la sua carriera, torna a casa senza avere raggiunto l’obiettivo, ma con tutti gli uomini sani e salvi.
Aldo Anghileri
C'è però una vicenda legata a questa spedizione, apparentemente marginale, che svela però come in quegli anni si stessero mettendo in movimento idee e fatti che avrebbero cambiato la storia dell'alpinismo. Prima ancora che la montagna cominciasse a pronunciare i suoi “no”, c'è nel team qualcuno che già a quell’impresa non crede più: è Aldo Anghileri, il giovane talento dei Ragni. È proprio lui a pronunciare il “gran rifiuto”, ad affrontare il maestro Cassin e dirgli che ha deciso di abbandonare la spedizione anzitempo.
Non è una questione di scarso feeling con la montagna. Aldo non è mai stato prima in spedizione, è vero, ma si è formato sulle Alpi negli anni delle grandi prime invernali: conosce cosa siano il rischio, la sofferenza e la sopportazione della fatica. Non è neppure un problema di rapporti col gruppo, anzi, il suo feeling, in particolare con Gogna e Messner è davvero speciale. È proprio a loro che confessa i propri dubbi. Dice di sentirsi inutile essere utile fra gli ingranaggi di quella macchina da spedizione così complicata, così distante nuovo alpinismo leggero e veloce che ha imparato a coltivare, ma che lì, non su quel mostro che è la sud del Lhotse, ancora non è concepibile.
Non lì, certo. Non tutti gli Ottomila però sono il Lhotse, ce n’è di meno terribili e per quelli i tempi sono maturi. Infatti, solo tre mesi dopo la disfatta del Lhotse, proprio Reinhold Messner sarà di nuovo in Himalaya. Questa volta niente ingranaggi complicati, niente chilometriche corde fisse, niente squadre con decine di alpinisti; solo due, lui e il compagno Peter Habeler… Due e un Ottomila… Prenderanno di mira l’Hidden Peak (o Gasherbrum I), con i suoi 8068 metri l'undicesima cima della terra per altezza, e lo saliranno leggeri e veloci, in perfetto stile alpino!