© L. MassarottoLorenzo Massarotto è sicuramente una stella nel firmamento dell'alpinismo italiano. Forse non una delle più conosciute, ma proprio come per alcuni astri solitari che brillano lontano dalle costellazioni più note, non si può certo dire che non ci sia grandezza nel suo alpinismo. La sua attività si è interrotta prematuramente venti anni fa, per via di un fulmine che lo ha colpito il 10 luglio sulle Piccole Dolomiti, le sue montagne di casa.
In occasione del ventennale della scomparsa del Mass, un gruppo di amici e compagni di cordata si è dato da fare con una serie di iniziative in suo ricordo che culmineranno il 5 ottobre, con l'evento al teatro comunale di Belluno, all'interno della manifestazione Oltre le vette, con Alberto Peruffo che guiderà la serata. Nel frattempo è stato ristampato il suo libro Le vie, 500 pagine che contengono storie, relazioni, schizzi di vie, il tutto corredato da una nuova prefazione a firma di Alessandro Gogna. Tra le sue parole che qui vale la pena prendere alcune di quelle che tratteggiano il lato umano di Lorenzo: "Se non cerchi le prime, se non cerchi il palcoscenico, neppure la videoripresa e ti accontenti di scattare le tue foto, vuole dire che accetti come grande, bello e per unica cosa che conta il tuo amore per la montagna, rinunciando quindi all'alpinismo per gli altri. Continui la tua attività con entusiasmo, senza mai desiderare d'essere altrove, quando ogni giornata è così ugualmente importante che potrebbe essere la tua ultima".
Sulla nord-est dell'Agner, all'uscita della via Luciano Cergol, salita con Rebeschini, nel 1987 © G. RebeschiniMassarotto ha compiuto più di cento nuove ascensioni e una ventina abbondante di solitarie di grande rilievo, tra estive e invernali. Le Dolomiti erano il suo giardino, ma il Mass è stato capace pure di approcci audaci - per il tempo- anche in ambito himalayano. Nel 1979 insieme a Manolo e altri partì per una una spedizione al Manaslu (obiettivo una nuova via per la cresta est) con pochi soldi e l'idea nobile di salire senza ossigeno supplementare. Nonostante la pressoché nulla esperienza del gruppo in quell'ambiente, Massarotto - con Ang Dorje- arrivò a quota 8mila, prima di rinunciare.
Ma sono le montagne di casa il terreno su cui Massarotto si è indubbiamente espresso meglio. Come ci racconta Paola Favero, del gruppo italiano scrittori di montagna "Lorenzo è stato uno dei più grandi alpinisti in Dolomiti, in assoluto, ha aperto una quantità incredibile di vie e ha fatto tante cose che la gente manco conosce. Ci sono imprese poco note ma notevolissime come la Carlesso con variante Hasse alla Torre Trieste in solitaria [1978, ndr], la prima invernale del diedro Philipp-Flamm [alla Punta Tissi, dicembre 1988, in tre giorni] e poi in Marmolada la via Canna d'Organo, ancora in inverno [1983] e l'Ideale [nel 1980, due anni prima dell'apertura da parte di Mariacher e Iovane di Tempi moderni]...ma ci sarebbe davvero una montagna di cose da raccontare. All'inizio della sua attività aveva raccontato che in un certo modo veniva scoraggiato, si sentiva dire che alcune cose erano impossibili. Ma lui andò oltre. Per esempio, alla Philipp Flamm con Giorgio Poletto dimostrò che certe salite si potevano fare. Lo mise anche in un suo scritto, dal titolo La caduta del mito".
Lorenzo sul Campanile dei Camosci, sud della seconda pala di san Lucano, via degli antichi, 1981 © E. de BiasioAl di là della grandezza delle sue imprese, oggi è ugualmente importante ricordare il suo approccio alla montagna. "Io con lui ho fatto alcune delle sue ultime vie, mi ricordo per esempio la Cassin alla Trieste nell'ultimo periodo. Come scalava? Era elegante e preciso. In quell'ultimo periodo, quando abbiamo arrampicato insieme, era anche molto attento a proteggersi. Era contrario ai mezzi artificiali e agli spit, mi ricordo che una volta, dove vicino a una bella clessidra c'era uno spit inutile, lo aveva tolto. Aveva un'etica rigorosa".
Montagna e lato umano si intersecavano in Massarotto in una personalità che dal rapporto con la natura aveva preso tratti e convinzioni ben definiti, vissuti però con discrezione. "Non metteva in luce le cose che faceva. Si prendeva il tempo che serviva per vivere la montagna in pieno. Non aveva impegni di famiglia, a parte la mamma e la sorella di ci si prendeva cura e non voleva un lavoro che lo occupasse troppo. Per lui in montagna non puoi fare le cose in base al tempo che hai...se aveva solo un giorno non cercava di farci stare dentro le cose a forza. Nell'anno prima di morire aveva in progetto di concatenare tutte le cime dell'Agner in inverno, ma non era ossessionato dalla velocità, sapeva che era qualcosa che avrebbe richiesto tempo, sia come progetto che come realizzazione. Niente era fine a sé stesso…per dire: anche la scelta del bivacco…mi ricordo una volta che andammo insieme, doveva trovare un posto bello dove vedeva le stelle, non la solita cengia rocciosa. Aveva questa convinzione: tutti noi siamo una forma che prende l'energia che c'è in circolo, nel nostro corpo l'energia prende le nostre sembianze. E così io credo - questa è una mia convinzione del tutto personale- che ancora possiamo trovare Lorenzo nei posti dove andiamo: credo che lui in qualche modo sia presente, non solo un ricordo. Anche il modo con cui se ne è andato, in qualche modo sento che fa parte del suo approccio filosofico alla vita".