Lorenzo Mazzoleni
Lorenzo Mazzolnei in cima all'Everest
Lorenzo MazzoleniNell’estate del 2024, tra i ghiacci del K2, è tornato alla luce uno zaino colmo di ricordi, emozioni e anche di dolore… Apparteneva a Lorenzo Mazzoleni, giovane e amatissimo talento dei Ragni di Lecco, scomparso proprio sulla seconda montagna della Terra il 29 luglio del 1996, durante le delicate fasi della discesa dalla vetta da lui raggiunta quello stesso giorno.
Sono passati esattamente ventinove anni da allora. Ventinove anni da quel sogno realizzato e subito perduto. Un sogno che Lorenzo inseguiva da tempo, da quando ragazzino aveva iniziato a muovere i primi passi sulle montagne con le escursioni dell’alpinismo giovanile del CAI di Lecco. Proprio lì era sbocciato l’amore per la montagna.
Dopo le prime gite erano arrivate le arrampicate, poi le salite più impegnative. E Lorenzo, fin da subito, aveva dimostrato qualcosa di speciale: un talento fuori dal comune, che gli aveva aperto, da giovanissimo, le porte del prestigioso gruppo dei Maglioni Rossi.
Nel 1986, a soli 18 anni, era già parte di una spedizione extraeuropea, alla conquista del Monte Sarmiento Ovest, in Terra del Fuoco. Una cima allora ancora inviolata. Quella spedizione segnò l’inizio di un percorso segnato da tante altre avventure straordinarie.
Non era solo il talento la caratteristica peculiare di Lorenzo. Ciò che lo rendeva speciale era soprattutto l’entusiasmo contagioso, la sua umanità limpida, che ne avevano presto fatto il fulcro attorno a cui ruotava il gruppo dei giovani rampanti dell’alpinismo made in Grigna di quegli anni: ragazzi del sodalizio dei Ragni e di quello “rivale” dei Gamma, che scalano assieme e, uniti da amicizia e passione, mettono a segno splendide salite un po’ ovunque nelle Alpi, in particolare sulle amate Dolomiti.
Verso le grandi montagne
Ma Lorenzo guarda oltre. I suoi occhi cercano montagne più lontane, più alte, più selvagge. Nel 1988 sale il suo primo Ottomila, il Cho Oyu. Poi arrivano i tentativi all’Everest e, nel 1991, l’ambiziosa spedizione alla parete Ovest del Makalu, sotto la guida di Casimiro Ferrari.
Nel 1992 ecco la grande occasione: la vetta dell’Everest, raggiunta lungo la via normale nepalese, con la spedizione alpinistico-scientifica del CNR, coordinata da Agostino Da Polenza. E subito dopo, l’invernale all’Aconcagua in cordata con un giovane Simone Moro.
Nel 1996 è lui uno più entusiasti promotori della spedizione celebrativa per i 50 anni dei Ragni di Lecco. Ancora una volta sotto la guida di Da Polenza, l’obiettivo è salire il K2 per lo Sperone Abruzzi, senza ossigeno supplementare né portatori d’alta quota.
Il K2 è la montagna che Lorenzo sogna da sempre. Per lui la più bella, la più difficile, la più desiderata. Ed è proprio lui, insieme a Giulio Maggioni e ai fratelli Mario e Salvatore Panzeri, a calcarne finalmente la cima.
Lassù, a 8611 metri, si compie il sogno di una vita. E da quella vetta arriva la voce di Lorenzo, terribilmente stanca ma piena, comunque, di esultanza e pura gioia: “Il K2 è meraviglioso!” dice via radio, racchiudendo in poche parole tutto il suo mondo.
L’addio
Ma quel sogno, così a lungo inseguito, si spezza poche ore dopo. Il rientro dalla vetta è per tutti e quattro un calvario di fatica e sfinimento. Uno dopo l’altro i compagni arrivano alle tende installate sulla Spalla del K2… tutti in salvo finalmente, tranne Lorenzo.
Le ore che seguirono furono tutto un rimbalzare via radio di messaggi sempre più angosciati e allarmanti: “Lorenzo non arriva… non è rientrato!”.
I soccorsi si attivano immediatamente. A muoversi sono Aldo Verzaroli e Gianpietro Verza, che il giorno seguente avrebbero dovuto tentare anche loro l’assalto alla vetta. Verzaroli inizia a pattugliare la grande spalla del K2, mentre Verza risale verso l’alto, ormai avvolto dall’oscurità.
Gianpietro percorre l’intero Collo di Bottiglia, chiamando Lorenzo a gran voce. Ma tutto resta muto. Nessun segno, nessuna risposta. Quando le forze lo abbandonano, è costretto a rientrare al campo, con la speranza di riprendere le ricerche all’alba.
Il mattino dopo, Verza e Verzaroli decidono di scendere lungo la via Cesen, che si ricollega allo Sperone Abruzzi, proprio nei pressi del Collo di Bottiglia. Dal campo base, qualcuno ha notato qualcosa attraverso il teleobiettivo: una piccola macchia colorata sul pendio innevato.
Le corde fisse posizionate nei giorni precedenti dalla squadra giapponese impegnata sulla via agevolano la discesa. E a poco a poco, quella macchia prende forma. Si avvicinano. È un corpo. Immobile. Una tuta d’alta quota gialla e rossa, identica a quella di Lorenzo.
È lui. Non c’è più alcun dubbio. E nella luce abbagliante dei ghiacci del K2, anche l’ultima, fragile speranza si dissolve per sempre.