Una Malga tra le Dolomiti. Foto Pixabay
Malga. Foto Pixabay
Malga. Foto Pixabay
Malga in Valtellina. Foto Filippo Del Vecchio
Malga Moschwald. Foto Filippo Del VecchioIl primo segnale non è visivo ma sonoro. Un rintocco ovattato di campanacci si diffonde nell’aria fresca della valle alpina e annuncia che una malga è vicina. Generalmente situata sui pendii soleggiati della montagna, dove erba e fiori crescono rigogliosi, la malga con la sua struttura in legno e in pietra è il cuore pulsante dell’alpeggio estivo. Su tutto l’arco alpino assume nomi diversi: “casera” in Trentino, “gias” in Piemonte, “alm” in Alto Adige. Qualunque sia la parola per identificarla, la malga racconta sempre e comunque la storia di un legame antico e vitale tra uomo, animali e montagna.
La malga è il fulcro dell’alpeggio e della vita del malgaro tradizionalmente con la sua famiglia, che ancora oggi portano avanti l’attività casearia e l’antica pratica dello spostamento del bestiame dal fondovalle ai pascoli in quota durante l’estate, la cosiddetta monticazione. Lontano dal caldo e dalla siccità della pianura, tra i 1600 e i 2200 metri i prati per il pascolo estivo restano verdi e nutrienti, garantendo foraggio fresco a mucche, capre, pecore e cavalli. Questo spostamento stagionale, apparentemente semplice, è in realtà un meccanismo raffinato di gestione del territorio che da secoli scandisce i ritmi delle comunità alpine.
Basti pensare che alcune attività di alpeggio d’alta quota sono state datate intorno al 1700 a.C. nella Stiria austriaca e ancora l’Altopiano dei Sette Comuni, che contando oltre cento malghe, rappresenta il più importante sistema d’alpeggio dell’intero arco alpino, sia per numero che per estensione. È quindi evidente l’importanza della malga, soprattutto per il ruolo che svolge nelle terre alte ovvero luogo di produzione ma anche di cura e gestione della montagna.
Formaggio, cura del territorio e tradizione
La malga è la casa del malgaro, custode della struttura e centro dell’attività produttiva legata al latte. Anche se oggi, con tecniche più moderne, il malgaro continua a vivere secondo tradizione non limitandosi ad accudire gli animali, lasciati al pascolo libero durante il giorno ma lavorando il latte sul posto, trasformandolo quotidianamente in burro e formaggi d’alpeggio.
La malga è dunque al tempo stesso abitazione, stalla e laboratorio artigianale; un piccolo mondo che si anima solo nei mesi estivi, quando gli animali salgono ai pascoli e che invece per il resto dell’anno rimane silenzioso nella valle, in attesa del ritorno della stagione calda.
Il ruolo della malga, così come il ruolo del maso, situato ad altitudini inferiori, non si esaurisce nell’allevamento e nella produzione casearia. La presenza delle malghe, del malgaro e del bestiame sono infatti elementi fondamentali per il mantenimento dell’equilibrio ecologico, paesaggistico, nonché culturale delle Alpi. In un mondo che affida tutto alla tecnologia, il pascolo d’alta quota è ancora un esempio concreto di cura del territorio ecosostenibile dove il bestiame, brucando l’erba, mantiene aperti i prati, contrasta l’avanzata del bosco e favorisce la biodiversità.
Molti paesaggi che oggi consideriamo “naturali” – ampi prati verdi punteggiati di fiori, panorami aperti e luminosi – sono in realtà il risultato di secoli di attività pastorale che renderebbero le montagne più chiuse, meno accessibili e più povere dal punto di vista naturalistico.
In questo senso, la malga e le sue attività connesse sono un presidio ambientale. Il suo abbandono avrebbe effetti preoccupanti, come la perdita di biodiversità, rischio di incendi per l’accumulo di vegetazione secca, maggiori frane e smottamenti sui versanti non più mantenuti dal pascolo. A scomparire, però, sarebbero anche tradizioni radicate, come quella della desmontegada in Trentino e la désarpa in Valle d’Aosta, feste che celebrano il rientro delle mandrie in fondovalle; feste popolari che trasformano la fine dell’alpeggio estivo in un evento di comunità, testimonianza di un legame ancora vivo tra persone e montagne.
Mantenere attive le malghe significa quindi non solo salvaguardare un patrimonio culturale ma anche rafforzare la resilienza del territorio di fronte ai cambiamenti climatici.
Per l’escursionista, la malga è molto più di una semplice tappa lungo il sentiero; è un luogo dove il paesaggio prende forma, dove tradizioni secolari si trasformano in sapori e dove si tocca con mano il legame profondo tra uomo e montagna. Le malghe non sono “baite” ma parte integrante dell’identità alpina che raccontano un lavoro antico, un sapere che si rinnova ogni estate e un paesaggio che esiste solo grazie a quell’equilibrio delicato tra natura e attività umana. Che questa sia ancora in attività o convertita in rifugio o agriturismo, non si incontra soltanto un luogo di ristoro ma un elemento vivente di cultura alpina e di cura del territorio. Ogni forma di formaggio, ogni prato mantenuto dal pascolo, ogni rintocco di campanaccio racconta secoli di equilibrio tra uomo e montagna. È l’eco delle Alpi, che ci ricorda quanto sia importante sostenere chi tiene vive le malghe, poiché oggi, più che mai, rappresentano un piccolo tassello indispensabile per il futuro delle nostre montagne.