Versante est del Manaslu
Versante ovest del Manaslu
Versante est del Manaslu
Carlos Soria in vetta al Manaslu
L'ombra del Manaslu
L'alba sul Manaslu
Bartek Ziemski in cima al Manaslu
Anna Tybor durante la salitaLocalizzato nell’Himalaya nepalese, il Manaslu, con i suoi 8163 metri, è l’ottava montagna più alta della Terra. Pur non presentando difficoltà tecniche estreme, rappresenta una sfida significativa per alpinisti e trekker: la sua prima ascensione fu compiuta da una spedizione giapponese, da cui il soprannome di “Ottomila nipponico”.
Il nome della montagna deriva dal sanscrito “manasa”, che significa “anima”: da qui il nome Manaslu, ovvero “Montagna dello Spirito”. Dal 1997, il massiccio fa parte della Manaslu Conservation Area, un’area protetta di 1663 chilometri quadrati destinata a tutelare l’ambiente naturale, la fauna e il patrimonio culturale locale.
Sul Manaslu si sono scritte importanti pagine di storia. Dalla prima ascensione giapponese alla prima invernale polacca e ancora oggi. Tra le imprese più recenti spiccano la prima discesa in snowboard di Marco Galliano e quella sugli sci di Cala Cimenti (2011), il record di velocità di François Cazzanelli nel 2019, il primato femminile di Tsang Yin Hung (Ada) nel 2025 e l’impresa di Carlos Soria, che a 86 anni, nel settembre 2025, è diventato la persona più anziana al mondo a raggiungere la vetta di un Ottomila.
La storia del Manaslu
Il primo a osservare il Manaslu fu il maggiore inglese Harold William Tilman, già noto per aver partecipato a due spedizioni all’Everest negli anni Trenta. Nel 1950 si recò in Nepal con una piccola squadra di cinque uomini: risalirono la valle di Kathmandu fino all’Annapurna, dove completarono un’esplorazione della zona. Durante quel periodo raggiunsero le alture del Dudh Khola e da lì poterono distinguere chiaramente la sagoma del Manaslu.
Qualche mese più tardi, Tilman e il tenente colonnello James Owen Merion Roberts giunsero al passo Larkya, da cui si apre la vista sull’altopiano dominato dal Manaslu. I due studiarono a distanza la montagna e Tilman concluse che la vetta sarebbe stata raggiungibile, anche se non intraprese alcun tentativo.
Se gli inglesi furono i primi a osservarla, i giapponesi furono invece i primi a sceglierla come obiettivo alpinistico. Negli anni successivi al primo avvistamento occidentale, infatti, furono loro a organizzare una serie di spedizioni dirette alla cima. Nel 1952 raggiunsero il Manaslu in autunno, con una ricognizione mirata a individuare punti deboli e possibili vie di salita. L’anno seguente tornarono con una spedizione ben più numerosa - quindici alpinisti - tentando l’ascensione lungo il versante nord-est (l'attuale via normale). Riuscirono a salire fino a 7750 metri, ma furono costretti a rinunciare.
Un nuovo tentativo era previsto per il 1954, ma venne bloccato ancora prima dell’approccio alla montagna. Le precedenti spedizioni avevano attirato l’attenzione dei locali, soprattutto per il campo base allestito nel villaggio di Samagaon. L’ostilità nei confronti degli alpinisti si intensificò dopo la distruzione del monastero di Pung-gyen e la morte di 28 persone, travolte da una valanga. Per gli abitanti non si trattò di un caso: attribuirono infatti la tragedia ai giapponesi, colpevoli di aver disturbato gli dei della montagna. In un clima di tensione così forte, gli alpinisti dovettero ritirarsi senza tentare la salita.
Il problema venne risolto con una donazione destinata alla ricostruzione del monastero, grazie alla quale i giapponesi ottennero due nuovi permessi di salita: uno per l’autunno 1955 e l’altro per la primavera 1956. La prima spedizione ebbe carattere esplorativo, volta a verificare nuovamente le possibilità sul versante nord-est. La seconda, invece, fu quella decisiva.
Nel gruppo figuravano dodici alpinisti e venti sherpa. Raggiunsero il campo base a fine marzo e trascorsero circa un mese ad acclimatarsi, fissare corde e allestire campi in quota. Tutto procedette senza intoppi, fino al momento opportuno per tentare la vetta. Il 9 maggio 1956 il giapponese Toshio Imanishi e il nepalese Gyaltsen Norbu toccarono la cima del Manaslu. Nei giorni seguenti riuscirono a raggiungerla anche Kiichiro Kato e Minora Higeta.
La prima salita invernale
La prima salita invernale del Manaslu fu compiuta il 12 gennaio 1984 dai polacchi Maciej Berbeka e Ryszard Gajewski, componenti di una spedizione guidata da Lech Korniszewski che comprendeva un gruppo relativamente giovane, con un'età media attorno ai 30 anni. Si trattò di una spedizione “classica”, con un grande impiego di materiali e un gran lavoro di attrezzatura della montagna. Gli alpinisti partirono dalla Polonia a metà novembre 1983 mentre il campo base venne stabilito il 2 dicembre a circa 4000 metri di quota. Posizionate le tende, negli ultimi giorni dell’autunno astronomico, gli alpinisti iniziarono a lavorara sulla montagna. Il 21 dicembre, primo giorno d’inverno, avevano già raggiunto i 7100 metri di quota, stabilendo campo 3. Dopo altre settimane di acclimatazione e di sistemazione dei campi alti e delle corde, l'11 gennaio Berbeka e Gajewski salirono al campo 4, a circa 7750 metri. Il giorno seguente toccarono la vetta del Manaslu realizzando non solo la prima salita invernale del Manaslu, ma anche la prima salita invernale di un Ottomila senza l’uso di bombole di ossigeno.
Durante la discesa sopportarono venti da uragano e temperature al di sotto dei –30 °C, riportando congelamenti lievi. Gajewski ebbe problemi ad alcune dita delle mani mentre Berbeka a quelle dei piedi.
Geografia del Manaslu
Il Manaslu si trova in Nepal, a circa 64 chilometri in linea d’aria dall’Annapurna. La struttura della montagna si presenta come un massiccio delimitato a est dal Ganesh Himal e dalla gola del fiume Buri Gandaki, mentre a ovest è chiuso dai profondi canyon del Marysyangdi Khola.
La montagna presenta tre cime principali: il Manaslu (8163 m), il Manaslu Est (7992 m) e il Manaslu Nord (7157 m). La sua conformazione, con ampie valli glaciali e lunghe creste eleganti, conferisce al massiccio un aspetto insieme fragile e affascinante, che lo rende unico nel panorama himalayano.
Oltre alle vette principali, nell’area circostante si trovano numerose montagne minori ma di grande interesse alpinistico: la Punta Himalchuli (7893 m), il Ngadi Chuli (7871 m), lo Shringi (7187 m), il Langpo (6668 m) e il Saula (6235 m).
Percorsi e vie alpinistiche
La principale via di salita al Manaslu è quella che corre lungo la parete nord-est, lo stesso tracciato seguito dai primi salitori nel 1956. Si tratta di un itinerario che non presenta particolari difficoltà tecniche, ma che nasconde insidie oggettive: a livello statistico, infatti, il Manaslu figura al quarto posto tra gli Ottomila più rischiosi.
Con il passare degli anni, diverse spedizioni hanno cercato nuove linee di salita, contribuendo ad arricchire la storia alpinistica della montagna. Nel 1971 i giapponesi Kazuharu Kohara e Motoyoshi Tanaka aprirono una via inedita lungo lo sperone nord-ovest, raggiungendo la vetta il 17 maggio. L’anno successivo, nel 1972, una spedizione italo-austriaca guidata da Wolfgang Nairz affrontò invece la difficilissima parete sud, la più impegnativa del Manaslu. In quell’occasione Reinhold Messner divenne il primo italiano a mettere piede sulla cima.
Un altro contributo importante giunse nel 1981, quando i francesi Pierre Béghin e Bernard Muller tracciarono una nuova via sul versante ovest, raggiungendo la vetta il 7 ottobre.
Salite significative
Il Manaslu ha continuato a essere teatro di imprese significative anche dopo le prime grandi ascensioni. Nel 1993, il 2 maggio, Sepp Brunner, Gerhard Floßmann, Sepp Hinding e Michael Leuprecht, una volta raggiunta la vetta, calzarono gli sci a circa 7000 metri e scesero fino al campo base, firmando una delle prime grandi discese integrali con gli sci da un Ottomila. Nel 2008 furono Nives Meroi e Romano Benet, accompagnati da Luca Vuerich, a raggiungere la cima, aggiungendo un’altra tappa importante al percorso alpinistico della coppia friulana.
Nel 2011 i piemontesi Marco Galliano e Cala Cimenti segnarono un altro primato: Galliano realizzò la prima discesa assoluta in snowboard, mentre Cimenti completò la prima discesa italiana con gli sci dal Manaslu. Pochi anni più tardi, nel 2019, la guida alpina del Cervino François Cazzanelli stabilì un nuovo record di velocità, salendo e scendendo dalla montagna in sole 17 ore e 43 minuti.
Le performance si sono ulteriormente evolute: nel settembre 2023 il nepalese Pemba Gelje Sherpa ha migliorato il record di salita, raggiungendo la cima in sole 12 ore da campo base, mentre nel 2025 la climber di Hong Kong Tsang Yin Hung (Ada) ha firmato il record femminile con una salita in 18 ore e 53 minuti.
Sempre nel 2025, il 26 settembre, lo spagnolo Carlos Soria, all’età di 86 anni, è diventato la persona più anziana al mondo a raggiungere la cima di un Ottomila.
Raggiungere il Manaslu
Il Manaslu è oggi una delle mete più amate dai trekker di tutto il mondo, secondo per popolarità soltanto al celebre circuito dell’Annapurna. L’area è stata aperta ai turisti solo nel 1991, una scelta che ha permesso di preservare intatta un’autentica testimonianza di vita rurale ai piedi di alcune delle montagne più alte della Terra.
Il viaggio inizia con un volo per Kathmandu, da cui si prosegue via terra fino ad Arughat, la porta d’ingresso della valle del Budhi Gandaki. Da qui ha inizio il trekking vero e proprio: lo zaino in spalla e si segue per diversi giorni il corso del fiume che dà il nome alla valle. In circa cinque giorni di cammino, tra villaggi tradizionali e suggestivi ponti sospesi, si raggiunge Samagaon, il villaggio più vicino al campo base del Manaslu, raggiungibile con un ripido sentiero.
Per accedere all’area è indispensabile ottenere il permesso di trekking, poiché il Manaslu rimane un territorio a ingressi regolamentati. Questo garantisce un’esperienza lontana dalle grandi folle che affollano altri itinerari himalayani: spesso i viaggiatori si ritrovano immersi in una natura incontaminata e silenziosa.
Per chi invece desidera affrontare la scalata del Manaslu, oltre al permesso di trekking è necessario richiedere uno specifico permesso di salita, rilasciato dalle autorità nepalesi.