La zona del distaccoTre anni fa, il 3 luglio 2022, alle 13:43, una porzione di ghiaccio alta circa 25 metri e larga 80, per un volume stimato di 65mila metri cubi, si è staccato dalla calotta della Marmolada precipitando per oltre un chilometro nel tratto che collega Pian dei Fiacconi e Punta Penia. Una massa di ghiaccio e detriti che scivolava, attratta dalla forza di gravità, a oltre 300 chilometri orari.
La giornata era apparentemente perfetta, fino a quel momento. In cielo non c’era una nuvola e nemmeno un filo di vento. Così la via normale di salita alla “Regina delle Dolomiti” era particolarmente affollata. Quando il rumore assordante della massa di ghiaccio e roccia ha svuotato l’aria il bilancio è stato durissimo: 11 morti e 8 feriti.
In quella giornata perfetta la temperatura sul ghiacciaio aveva raggiunto i 10 gradi sopra lo zero e l’acqua di fusione, penetrando all’interno dei crepacci, ne aveva compromesso la stabilità. Non era prevedibile, spiegarono gli esperti. Non c’erano segnali visibili né indicatori strumentali che potessero far presagire l’imminente distacco: nessun movimento evidente, nessun rumore anomalo. Le temperature elevate dei giorni precedenti, pur fuori dalla norma, non costituivano da sole un elemento sufficiente per lanciare un allarme.
Le undici vittime della Marmolada, nove italiani e due cechi, non stavano sfidando la montagna. La stavano vivendo. Alcuni erano alpinisti esperti, altri semplici appassionati, in cammino lungo una delle vie più frequentate e amate delle Dolomiti. Era una domenica d’estate calda e loro stavano facendo ciò che molti di noi fanno da sempre: salire, esplorare, restare a contatto con la montagna. Conoscevano la fatica della salita, le sveglie prima dell’alba.
Da allora qualcosa è cambiato?
L’area trentina della Marmolada è stata chiusa e poi riaperta più volte nei periodi immediatamente successivi il disastro. Nel frattempo è aumentata la consapevolezza, come sempre accade dopo una grande tragedia. Non basta conoscere una via o sapere usare i ramponi: serve comprendere anche come sta cambiando la montagna sotto i nostri piedi.
A tre anni da quel giorno, la Marmolada continua a essere ciò che è sempre stata: fragile e grandiosa, bella. Testimone di un mondo che cambia, e che inevitabilmente modifica anche il modo in cui lo attraversiamo. Le vie che un tempo venivano considerate “classiche” oggi non lo sono più, o lo sono solo in parte. L’ambiente si è trasformato: i ghiacciai si ritirano, il permafrost si degrada, le stagioni diventano imprevedibili, e con esse cambiano anche le condizioni di sicurezza.
La montagna non è diventata più pericolosa, è semplicemente diversa. E richiede uno sguardo nuovo. Non più tecnico o più prudente, ma più consapevole. Le conoscenze che abbiamo oggi ci permettono di leggere meglio quello che accade in alto. E se scegliamo di andare, possiamo farlo con strumenti diversi rispetto a ieri.
Forse è questo che bisogna imparare? Accettare che qualcosa è cambiato. Non per paura, ma per rispetto. Della montagna, della vita, del tempo che passa e lascia segni anche sulla roccia.