Marmolada, Regina contesa delle Alpi

Dal 1972 al 2002 la Marmolada è stata al centro di una disputa tra le province di Trento e Belluno. Un protocollo d’intesa ha poi trasformato il conflitto in un esempio di cooperazione tra comunità alpine e a vent’anni di distanza è una vicenda che invita ancora a riflettere.
La Marmolada al tramonto: da sinistra Punta Penia, la cima più elevata, e il Gran Vernel. © Wikimedia Commons

Aldilà degli scenari legati alla storia e all’identità alpina, la Marmolada, nella seconda metà del Novecento, è diventata anche teatro di una vera e propria contesa giuridica e geografica. Una “guerra di confini”, come l’hanno spesso definita con titoli pittoreschi i giornali locali, combattuta tra le province di Trento e Belluno. Una questione durata trent’anni, dal 1972 al 2002.

L’origine della questione affonda le radici nel secondo dopoguerra, in un momento in cui la Marmolada cominciava a trasformarsi da regno esclusivo di alpinisti e pastori in alpeggio a luogo di ambizioni turistiche e grandi progetti. È il 1946 quando l’ingegnere trentino Giovanni Graffer costruisce la prima seggiovia della Marmolada, nonché una delle prime in Italia, un’opera pionieristica, che rivoluziona l’accesso alla montagna, che permetteva in pochi minuti di salire al Rifugio Pian dei Fiacconi (2626 m) da Fedaia. La Marmolada, quindi, diventa presto un mito dello sci, infatti a partire dal 1947, lo Slalom Gigante, Punta Rocca-Fedaia, trasforma la montagna in appuntamento internazionale e cresce anche l’attrattiva del lunedì di Pasqua, con la tradizionale salita con le pelli, diventando una sorta di rito iniziatico per molti giovani trentini e veneti. Era un’epoca in cui una sola giornata sulla Marmolada sembrava valere più di un’intera settimana nel moderno Sella Ronda. Un luogo di incontro, di amicizie rinnovate e di passioni che nascevano all’ombra di questa montagna unica.

Con la magia però, arrivano anche le prime ombre. L’incanto della Marmolada attira presto un’imprenditorialità nascente, affascinata dalla possibilità di “sfruttare” la montagna come se fosse un giacimento da scavare. Si comincia a parlare di uno “sci continuo a portata di mano”, anche se in cambio – si mormora – la montagna potrebbe perdere la propria anima. Gli impianti moltiplicano le emozioni, sì, ma spianano anche piste, cancellano dislivelli e omogeneizzano l’esperienza ed il vero spirito della montagna, cede il passo a un’idea più commerciale.

Dal versante Bellunese, la Marmolada era, dagli anni Cinquanta, più facilmente accessibile, lungo una mulattiera costellata di abeti e larici che da Caprile portava al Rifugio Castiglioni. In quegli anni, anche un altro grande progetto stava andando in porto, la costruzione della diga ai piedi del ghiacciaio, trasformando per sempre l’altopiano alpino un tempo puntellato di fienili e larici. 

Nel frattempo, mentre il popolo bellunese imperterrito proseguiva la sua “conquista”, il versante Trentino premeva per avere un accesso più diretto alla montagna. I veneti nel 1965 fondano la società che rappresenta il primo tentativo concreto di portare i turisti da quota 1450 metri di Malga Ciapèla fino a Punta Rocca, a 3309 metri, aprendo alla pratica dello sci estivo e primaverile.

È il popolo Bellunese ad imprimere una forte accelerazione allo sviluppo della Marmolada, realizzando nel 1968, la funivia da Malga Ciapèla fino a Piz Serauta, che diventa un asse strategico per il turismo. Dall’altra parte della montagna, a Canazei e tutti i fassani, dal canto loro, iniziano a sentirsi scavalcati, in qualche modo depredati della “loro” montagna, la tensione aumenta e si chiedono chi possieda veramente la Marmolada? A chi spetta la gestione degli impianti, la riscossione delle imposte, la tutela del territorio? Purtroppo, non riescono ad agire uniti e compatti come gli avversari bellunesi, non riescono a collaborare con il loro compaesano Graffer che, preferisce agire da solo e non vuole saperne di collaborare con i suoi vicini oltre confine, come invece già ventilavano gli altri. Nell’ottobre del ’72 una deflagrazione intimidatoria (illegale) colpì la bidonovia di Graffer, seguita pochi mesi dopo da un’altra, questa volta legale, che diede inizio a questa famosa “guerra di confine”.

 

La guerra di confine

Il 9 febbraio 1973 un gruppo di Carabinieri, su mandato della pretura di Agordo, salì fin sul ghiacciaio per far brillare con l’esplosivo l’ancoraggio abusivo di uno skilift installato dai maestri di sci di Canazei. Una dinamite “legale”, messa al servizio della geografia che per soli ottanta metri fece diventare la Regina delle Dolomiti, teatro di una delle più clamorose contese di confine delle Alpi.

Questi pochi metri di sconfinamento dello skilift bastarono a far scattare la reazione del Comune di Rocca Pietore, che denunciò l’intervento trentino come un’invasione. La sentenza fu netta, dichiarando che quell’impianto violava i confini segnati dalle carte topografiche ufficiali, che dividevano in due il ghiacciaio lungo la linea Belluno-Trento.

La questione scatenò un effetto valanga che aprì un lungo contenzioso fatto di mappe contrastanti, carte austroungariche, sentenze e memorie locali. Da semplice disputa tra comuni si passò a una vera guerra dei confini alpini, alimentata da interpretazioni divergenti e rivendicazioni identitarie.

Così, a partire dagli anni ’70, prende forma un conflitto amministrativo che durerà tre decenni; una montagna che era sempre stata di tutti rischiava di diventare motivo di divisione e mentre i tribunali discutevano, la Marmolada continuava a vivere la propria doppia identità, il ponte tra le due province, due culture, due visioni di sviluppo.

La “pace” arrivò solo vent’anni dopo quando il 13 maggio 2002, a Malga Ciapèla, fu firmato un protocollo d’intesa tra la provincia di Trento, la regione Veneto, la provincia di Belluno e i sindaci di Canazei e Rocca Pietore. Il documento richiamava i precedenti giuridici affermando il confine sulla cresta Serauta, ma soprattutto – e qui stava la vera svolta – apriva una nuova fase di collaborazione tra le comunità. La montagna tornava a essere ponte.

In quell’anno si celebrava l’Anno Internazionale delle Montagne e non poteva esserci occasione migliore per chiudere una ferita che aveva diviso due valli che la natura e questa montagna avevano sempre unito e accomunato; la Marmolada, come ogni grande vetta, non nasce per separare, non distingue, non delimita ma accoglie e avvicina.

Oggi, a distanza di oltre vent’anni dal protocollo d’intesa, la Marmolada affronta nuove sfide. Non è più un territorio di contesa tra amministrazioni ma un luogo in cui la serenità della natura si intreccia con il dinamismo delle attività umane, mentre la sua bellezza continua a convivere con i cambiamenti climatici e lo sviluppo del turismo montano

Torna attuale, dunque, una riflessione che nasce proprio dal caso della Marmolada: cosa rappresenta davvero la montagna per noi? Una risorsa da spremere o un luogo da ascoltare?

Le carte, le sentenze, i protocolli ci hanno detto dove passa il confine ma non ci dicono se abbiamo imparato a rispettare la montagna. Forse il vero punto è che, quando l’uomo vuole la fetta migliore, spesso tradisce l’essenza della montagna. La Marmolada ci ricorda che non basta “vincerla” sul piano legale ma serve ripensarla nel suo insieme. Tornare a considerare la montagna non come un oggetto da conquistare, ma come un soggetto da custodire perché le montagne uniscono e l’uomo, quando non capisce, le divide. 

Oggi non possiamo più permettercelo. La montagna ha bisogno di essere rispettata, compresa e difesa per il bene di chi la abita, di chi la ama.