Lycaena dispar. Foto S. Gautero - Aree Protette Alpi Marittime
Aglais io. foto S. Gautero - Aree Protette Alpi Marittime
Anthocaris cardamines. Foto S. Gautero - Aree Protette Alpi Marittime
Brentis daphne. Foto S. Gautero - Aree Protette Alpi Marittime
Iphiclides podalirio. Foto S. Gautero - Aree Protette Alpi MarittimeL’Italia è uno dei Paesi europei con la maggiore biodiversità di farfalle: circa 290 specie di lepidotteri diurni popolano la nostra penisola, di cui molte con distribuzioni specifiche legate ai diversi ambienti naturali, dal mare alle alte quote montane.
Ogni anno l’Italian Butterfly Monitoring Scheme (ITBMS), parte della rete europea eBMS (European Butterfly Monitoring Scheme), raccoglie i dati del monitoraggio volontario su tutta la Penisola. Il report più recente (2023, con estensione dei dati al 2024) è appena uscito e riassume l’attività di migliaia di rilevatori: volontari, guardiaparco e naturalisti contano le farfalle lungo percorsi prestabiliti, percorrendo centinaia di chilometri per osservare specie, abbondanza e trend.
La ricchezza di specie che si osserva nel nostro Paese è dovuta a diversi fattori. Primo tra tutti la nostra ampia estensione climatica, dall’arco alpino alle regioni mediterranee, passando per la dorsale appenninica; le altitudini variabili, si va dal livello del mare fino alle cime alpine oltre i 4000 metri; la combinazione di habitat, prati montani, boschi, ambienti umidi e aree calcaree.
Le farfalle nelle zone alpine
Secondo quanto indicato nel report, le Alpi sono fra le aree più ricche d’Italia per varietà di specie: grazie alla grande varietà di microhabitat (dalle praterie alpine alle zone rocciose) qui vengono osservati numeri significativi di farfalle rispetto ad altri ambienti.
I dati del report mostrano che:
Alcuni dei transetti con il maggior numero di specie si trovano proprio in zone alpine.
Alcune specie tipiche delle altitudini elevate (ad esempio generi come Erebia, Parnassius e specie specializzate di pascoli e pietraie) sono caratteristiche delle Alpi.
Queste aree sono fondamentali non solo per la ricchezza specifica, ma anche perchè le farfalle alpine rispondono rapidamente ai cambiamenti climatici: spostamenti di altitudine o variazioni nelle stagioni di volo possono fornire segnali precoci di cambiamenti ambientali più ampi.
Le farfalle negli Appennini
Anche l’Appennino, pur essendo geograficamente meno elevato rispetto alle Alpi, ospita una sostanziale gamma di specie:
Qui si trovano transetti monitorati in ambienti di pascoli montani, boschi e prati d’altitudine media, con gruppi di farfalle spesso diversi rispetto alle zone alpine più alte.
Alcune specie hanno adattamenti specifici agli habitat appenninici, che non necessariamente coincidono con le specie più diffuse nelle Alpi.
Questo rende la dorsale appenninica un elemento chiave per comprendere la distribuzione altitudinale e geografica delle farfalle italiane.
Dati chiave dal monitoraggio
Se il report 2023 riportava numeri significativi sul monitoraggio. Erano infatti stati monitorati 75 transetti su tutto il territorio nazionale, con più di 28mila individui contati e 166 specie osservate in quell’anno. Nel report 2024, la rete si è ulteriormente ampliata con 86 transetti attivi e oltre 26300 avvistamenti di farfalle di 173 specie osservate. Numeri che evidenziano non solo la ricchezza globale delle farfalle in Italia, ma anche la crescente partecipazione dei volontari e delle aree protette al monitoraggio scientifico. Un segnale importante quest'ultimo, perché monitorare le farfalle ha una sua importanza, non solo per la conservazione delle specie. Le farfalle sono infatti dei bioindicatori ecologici eccellenti, cioè organismi la cui presenza, abbondanza o assenza può segnalare cambiamenti negli habitat naturali.
In particolare aree alpine e appenniniche mostrano trend diversi rispetto alle regioni di pianura o mediterranee, fornendo informazioni importanti sulla salute dei diversi ecosistemi. E i dati raccolti permettono di valutare trend di popolazione, confrontare differenti gruppi di habitat e supportare politiche di conservazione. Specialmente i dati raccolti nelle aree montane alpine e appenniniche diventano sensori naturali dei cambiamenti ambientali, utili per comprendere gli effetti del clima, dell’uso del suolo e dell’impatto umano sui nostri ecosistemi.