Articolo a cura di Gian Paolo Boscariol (Sezione CAI di Roma)
Vista sul Passo Cento Croci © Wikimedia CommonsA 30 anni dall’approvazione della legge 31 gennaio 1994, n. 97 (Nuove disposizioni per le zone montane), il Parlamento ha approvato definitivamente (Assemblea del Senato, seduta del 10 settembre 2025) una nuova legge sul riconoscimento e la promozione delle zone montane.
Va ricordato che anche nei decenni precedenti gli interventi legislativi hanno avuto una cadenza più o meno ventennale (legge n. 991 del 1952, legge n. 1102 del 1971, e quindi la legge n. 97 del 1994).
Riuscirà quanto contenuto nella nuova legge sulle aree montane a portare reali benefici alle popolazioni montane, a contrastare il rischio dello spopolamento e della desertificazione delle attività commerciali e produttive nei territori montani?
Inizialmente costituito da 23 articoli, il testo approvato dal Parlamento vede la presenza di 35 articoli.
Bisogna preliminarmente fare una precisazione: lo sviluppo delle aree montane (o della montagna, per dirla più semplicemente) è - sul piano delle competenze legislative indicate dall’articolo 117 della Costituzione - una “materia residuale” di competenza delle regioni a statuto ordinario. Ovviamente, l’articolo 44, secondo comma, della Costituzione afferma che “la legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”. Tuttavia, la riforma costituzionale del 2001 ha modificato il regime delle competenze legislative, indicando al comma 2 dell’articolo 117 Cost. le materie di competenza esclusiva dello Stato, al comma 3 le materie di “legislazione concorrente tra Stato e Regioni” e al comma 4 la c.d. “potestà legislativa residuale” spettante alle Regioni per ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato o a quella concorrente.
Sul piano generale (legislazione statale), pertanto, il Parlamento può disciplinare i principi generali, quali la definizione di comune montano, autorizzare spese per la montagna (poi ripartite in sede di Conferenza Stato-Regioni ai singoli territori regionali), ma non può intervenire su specifiche questioni, in quanto di competenza delle singole Regioni.
Infatti, in numerosi punti della nuova legge è presente la formula “Lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano stabiliscono, ciascuno in base alle rispettive competenze,…” che ribadisce la ripartizione di competenze legislative, al fine di evitare ricorsi alla Corte costituzionale qualora un ente dovesse invadere le competenze legislative altrui.
Il contenuto della nuova legge in generale
Analizzando il contenuto della nuova legge sulle zone montane, i capi I (articoli 1 e 2) e II (articoli da 3 a 6) recano norme di carattere generale e di programmazione strategica.
Nello specifico, all’articolo 1, si precisa che la legge reca misure per il riconoscimento e la promozione delle zone montane e delle loro popolazioni e afferma che la crescita economica e sociale delle zone montane costituisce un obiettivo di interesse nazionale in ragione della loro importanza strategica ai fini della tutela e della valorizzazione dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi, della tutela del suolo e delle relative funzioni ecosistemiche, delle risorse naturali, del paesaggio, del territorio e delle risorse idriche e forestali, della salute, delle attività sportive, del turismo e delle loro peculiarità storiche, artistiche, culturali e linguistiche, dell’identità e della coesione delle comunità locali, anche ai fini del contrasto della crisi climatica e demografica e nell’interesse delle future generazioni e della sostenibilità degli interventi economici. A tal fine lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, ciascuno in base alle rispettive competenze, adottano gli interventi necessari per lo sviluppo socio-economico, la tutela e la valorizzazione delle specificità delle zone montane, al fine di promuovere processi di sviluppo coerenti con le caratteristiche e le peculiarità di tali zone, limitando gli squilibri economici e sociali rispetto ai territori non montani, di favorirne il ripopolamento, di garantire a coloro che vi risiedono l’effettivo esercizio dei diritti civili e sociali e il pieno e agevole accesso ai servizi pubblici essenziali, in particolare nei settori della sanità, dell’istruzione, della formazione superiore, della cultura, della connessione e della mobilità, anche mediante strumenti e servizi di facilitazione e semplificazione per favorire l’accessibilità degli stessi per le persone con disabilità, di promuovere, in maniera sostenibile, l’agricoltura e la gestione forestale, l’industria, il commercio, l’artigianato e il turismo, nonché di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale e ambientale montano, anche mediante misure finalizzate alla riduzione del consumo di nuovo suolo in coerenza con le direttive adottate in materia dall’Unione europea e alla promozione della rigenerazione urbana.
Si tratta delle c.d. finalità della legge stessa. Sarà compito del legislatore rendere tali principi operativi, soprattutto in sede di emanazione dei decreti attuativi e nella speranza che nel corso dei prossimi anni vengano destinate maggiori risorse finanziarie alle zone montane.
Sicuramente la maggiore novità legislativa è contenuta all’articolo 2 sulla classificazione dei comuni montani. La normativa previgente faceva riferimento a due tipologie: comuni montani e comuni parzialmente montani, richiamando disposizioni legislative vecchie di oltre 70 anni, peraltro anche formalmente abrogate, ma che riconducevano ad un elenco di comuni predisposto dall’ISTAT.
La nuova legge prevede l’emanazione - entro 90 giorni dalla pubblicazione della legge - di un decreto del Presidente del Consiglio con cui sono definiti i criteri per la classificazione dei comuni montani che costituiscono le zone montane e ai quali si applicano le disposizioni della presente legge, in base ai parametri altimetrico e della pendenza. Contestualmente il decreto definisce l’elenco dei comuni montani.
Ad esso seguiranno ulteriori decreti del Presidente del Consiglio che definiranno i criteri per l’individuazione, nell’ambito dell’elenco dei comuni montani precedentemente individuati, dei comuni montani destinatari delle misure di sostegno previste dai capi III, IV e V della nuova legge, sulla base dell’adeguata ponderazione dei parametri geomorfologici (altimetrico e pendenza) e di parametri socioeconomici, che tengano conto delle specificità e finalità delle suddette misure.
Quali sono pertanto le novità rispetto alla normativa previgente? Sicuramente due: il primo, nell’individuazione dei comuni montani viene considerato anche il criterio della pendenza (oltre che quello altimetrico): rispetto all’individuazione dei comuni definiti montani nell’elenco “generale”, la seconda novità sta negli ulteriori elenchi di comuni montani che potranno beneficiare delle disposizioni contenute ai capi III (Servizi pubblici, artt. 6-11), IV (Tutela del territorio, artt. 12-22) e V (artt. 23-30) e delle relative agevolazioni.
L’articolo 2 reca, inoltre, una delega al Governo per il riordino delle agevolazioni in favore dei comuni montani, da esercitare entro dodici mesi.
La programmazione (statale) degli interventi nelle zone montane è affidata, dall’articolo 3, alla “Strategia per la montagna italiana (SMI)”, che dovrà individuare per linee strategiche, nell’ambito delle disponibilità del Fondo per la montagna, le priorità e le direttive delle politiche per le zone montane.
Il ricorso allo strumento della “strategia” è assai utilizzato dal Governo per definire le modalità operative in un determinato settore, come è già avvenuto per la “Strategia per le aree interne - SNAI” (che interessa sicuramente i comuni montani) o per il Piano strategico della Zona economica speciale per il Mezzogiorno (che interessa i comuni montani del Mezzogiorno).
Si tratta di documenti programmatori, spesso muniti di buone intenzioni, che tuttavia devono fare i conti con le risorse di bilancio disponibili.
L’articolo 4 riguarda la “cassaforte per la montagna”: il Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane (FOSMIT), per il quale vengono ridefinite le modalità operative (quota da assegnare alle Regioni e quota di competenza statale). Il FOSMIT è stato istituito dalla legge di bilancio per il 2022 con una dotazione di 100 milioni per il 2022 e di 200 milioni a decorrere dal 2023, facendovi confluire le residuali scarse risorse del Fondo nazionale per la montagna di cui alla legge n. 97 del 1994 (20 milioni per il solo 2022) e del Fondo integrativo per i comuni montani (9,5 milioni a regime, poi ridotti da numerosi interventi di spending review). Nella legge di bilancio 2025-2027 la dotazione del FOSMIT è attorno ai 196 milioni annui.
Il problema sta nel fatto che le agevolazioni previste dalla nuova legge sulla montagna sono definite nella forma del “credito di imposta”. Non potendo attribuire direttamente risorse ai singoli soggetti (perché di competenza delle Regioni), lo Stato centrale può utilizzare solo lo strumento del credito di imposta, cioè rinunciare ad incassare direttamente parte del debito del contribuente (tasse) verso lo Stato, al fine di generare in vario modo effetti positivi sul territorio.
Infatti sono previsti crediti di imposta per il personale della sanità (art. 6) e per il personale scolastico (art. 7) che si trasferisce in un comune montano beneficiario delle misure di sostegno, nonché per gli agricoltori e i silvicoltori di montagna per gli investimenti e le attività diversificate (art. 19) e per le imprese montane esercitate da giovani (art. 25). Viene inoltre concesso un esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per dipendenti che svolgano stabilmente la prestazione lavorativa in modalità di lavoro agile in un comune montano con popolazione inferiore a 5000 abitanti, e trasferiscano la propria abitazione principale e domicilio stabile da un comune non montano al medesimo comune montano (art. 26). Al fine di contenere il calo demografico, è inoltre previsto un credito di imposta per l’acquisto e la ristrutturazione di abitazioni principali in montagna (art. 27), nonché un contributo una tantum per la natalità nei comuni montani (art. 29).
Tutte queste agevolazioni sono poste a carico del FOSMIT, la cui dotazione finanziaria residuale disponibile verrebbe sensibilmente ridotta, scendendo a 92 milioni nel 2025, a 73 milioni nel 2026 e a 77 milioni nel 2027.
Le risorse del FOSMIT potranno essere utilizzate anche per finanziare progetti innovativi volti allo sviluppo di un sistema integrato di servizi educativi per l'infanzia e alla costituzione di poli per l'infanzia (art. 8), all’erogazione di borse di studio a favore degli studenti iscritti ai corsi di studio accreditati nei territori dei comuni montani (art. 10) e a interventi di carattere straordinario, da attuare da parte delle regioni, per la prevenzione e la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico e per far fronte alle criticità relative alla disponibilità di risorse idriche nelle zone montane (art. 16).
Per il personale della sanità (art. 6) e il personale scolastico (art.7) sono altresì previsti punteggi aggiuntivi per le attività prestate nelle strutture sanitarie e nelle scuole di montagna, con la possibilità per le scuole di derogare al numero minimo di alunni per classe.
La nuova legge sulla montagna contiene alcune disposizioni nel settore ambientale: oltre all’articolo 16 precedentemente richiamato, l’articolo 13 riguarda gli ecosistemi montani, con il riconoscimento delle zone montane quali zone floro-faunistiche a sé, in quanto caratterizzate dalla consistente presenza della tipica flora e fauna montana, stabilendo che Stato e regioni, nell'ambito delle rispettive competenze e nel rispetto della normativa europea in materia, vigilino affinché le misure di valorizzazione dei predetti ecosistemi, in relazione ai grandi animali carnivori, non pregiudichino le finalità della stessa legge. Nello specifico va ricordato che una modifica del marzo 2025 alla Convenzione di Berna sulla conservazione della fauna selvatica e degli habitat naturali europei e una direttiva UE del giugno 2025 hanno ora classificato il lupo tra le specie “protette” (tutelate) e non più tra quelle “strettamente protette” (rigorosamente tutelata). Inoltre il comma 3 dell’articolo 13 ha esteso ai corpi della Polizia locale e della Protezione civile - operanti nella regione Friuli-Venezia Giulia e nelle province autonome di Trento e Bolzano - la facoltà di dotare il proprio personale di nebulizzatori a base di peperoncino quale strumento di autodifesa da utilizzare in caso di incontri con degli orsi.
Inoltre, l’articolo 12 reca disposizioni in materia di adozione di linee guida volte all’individuazione, recupero, utilizzazione razionale e valorizzazione dei sistemi agro-silvo-pastorali montani, della promozione della certificazione delle foreste nonché delle produzioni agroalimentari; l’articolo 17 reca modifiche al Testo unico forestale, relativamente ai cantieri temporanei forestali o di utilizzazione boschiva, mentre l’articolo 18 riguarda gli alberi monumentali e i boschi monumentali. L’articolo 20 prevede l'istituzione di un tavolo tecnico per individuare misure volte a facilitare la compravendita e gli atti di ricomposizione fondiaria di piccoli terreni agricoli nei comuni montani, mentre l’articolo 30 istituisce il Registro nazionale dei terreni silenti nell’ambito del sistema informativo forestale nazionale del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN).
Va, tuttavia segnalato, che nel corso dell’esame alla Camera è stato introdotto un articolo aggiuntivo (articolo 15) che, attraverso una modifica alla legge n. 157 del 1992, consente l’attività venatoria su determinati valichi montani attraversati dalle rotte di migrazione dell'avifauna in misura rilevante, facendo riferimento a parametri altimetrici e rinviando ad un successivo decreto ministeriale di istituzione di “zone di protezione speciale”.
Va precisato che ai sensi della normativa previgente (art. 21, co. 3, legge n. 157/1992) “la caccia è vietata su tutti i valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna, per una distanza di mille metri dagli stessi”.
Specifiche disposizioni che riguardano il CAI
Per gli alpinisti ed escursionisti sono sicuramente interessanti gli articoli 19 (Incentivi agli investimenti e alle attività diversificate degli agricoltori e dei silvicoltori di montagna), 21 (Rifugi di montagna), 22 (Attività escursionistica) e 24 (Professioni di montagna).
I rifugi di montagna
Nello specifico l’articolo 21 reca una definizione dei rifugi di montagna, ribadendo tuttavia che lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano stabiliscono, ciascuno in base alle rispettive competenze, le caratteristiche funzionali dei rifugi.
Sono considerati rifugi di montagna le strutture ricettive ubicate in zone di montagna, finalizzate alla pratica dell’alpinismo e dell’escursionismo, organizzate per dare ospitalità e possibilità di sosta, ristoro, pernottamento e servizi connessi. Vengono fatte salve le specifiche definizioni contenute nelle leggi regionali.
Va segnalato che nel luglio 2024 il CAI aveva presentato nel corso dell’esame al Senato un proprio documento nel quale proponeva di definire rifugi di montagna “i presidi di sicurezza e di ospitalità, non raggiungibili da rotabili aperte al pubblico o da impianti di risalita né prossimi a tali vie di comunicazione. Essi consistono in strutture di pubblico interesse, normalmente ubicate in zone disagiate o isolate, a supporto della pratica dell’alpinismo, dell’escursionismo, dello sci alpinismo, del soccorso alpino e delle altre attività di fruizione sostenibile dell’ambiente montano che assicurano servizi di pernottamento, ristoro e affini”. Come dire, una visione di rifugio più restrittiva, dovendo essere “non raggiungibili da rotabili aperte al pubblico o da impianti di risalita né prossimi a tali vie di comunicazione”.
Importante è quanto contenuto al comma 2 dell’articolo 21, con cui si ribadisce che le disposizioni concernenti le caratteristiche funzionali dei rifugi sono stabilite sia dalla normativa dello Stato che da quella delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, in base alle rispettive competenze. Tra le caratteristiche funzionali dei rifugi rientrano quelle relative agli scarichi e agli impianti di smaltimento, con possibilità di prevedere requisiti igienico-sanitari minimi anche in deroga rispetto alla normativa statale, in proporzione alla capacità ricettiva e alla condizione dei luoghi, fatto comunque salvo il rispetto della normativa a tutela dell'ambiente. In sostanza, la norma “statale” prevede che le normative regionali possono derogare alla legislazione statale per quanto riguarda i requisiti igienico-sanitari minimi dei rifugi.
Infine, il comma 3 dispone che i rifugi di montagna di proprietà pubblica possono essere concessi in locazione a persone fisiche o giuridiche o a enti non aventi scopo di lucro ai sensi della normativa vigente, fatte salve le prioritarie esigenze operative e addestrative del Ministero della difesa.
Le professioni di montagna
L’articolo 24 reca, al comma 1, una norma di principio finalizzata a riconoscere le professioni della montagna quali presìdi per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale delle zone montane. Ferme restando le professioni di guida alpina, aspirante guida alpina, accompagnatore di media montagna e guida vulcanologica (disciplinate dalla legge 2 gennaio 1989, n. 6), e di maestro di sci (disciplinata dalla legge 8 marzo 1991, n. 81), nonché la professione di gestore di rifugio (disciplinata da leggi regionali), il comma 2 prevede che la Strategia nazionale per la montagna (SMI) può individuare ulteriori professioni di montagna, ai fini della previsione, in armonia con le potestà legislative regionali, di specifiche misure per la valorizzazione e la tutela delle professioni della montagna esercitate nelle zone montane.
L’attività escursionistica
Sicuramente le disposizioni che interessano maggiormente i soci CAI sono quelle contenute all’articolo 22 sulla attività escursionistica.
Non presente nel testo iniziale, la materia era stata attenzionata dal CAI nella memoria depositata per l’esame al Senato (giugno 2024) con il seguente testo:
“Una sincera preoccupazione del CAI riguarda non solo l’etica nell’andare in montagna nelle sue più svariate forme, ma anche le eventuali responsabilità – civili e penali - conseguenti a incidenti occorsi lungo la rete sentieristica. In taluni casi la Magistratura è stata assai severa nei confronti degli amministratori locali e dei gestori delle aree naturali protette (parchi nazionali e regionali, in primis), tanto da paventare, da parte di questi, l’adozione di ordinanze di chiusura dei sentieri. La effettiva responsabilità dovrebbe sussistere solo in casi di dissesto idrogeologico o di conclamata (cioè più volte conosciuta) caduta di sassi sul sentiero.
Alcune leggi regionali (P.A di Trento, Lombardia, Abruzzo, Sardegna) prevedono una disposizione di salvaguardia, che sarebbe opportuno estendere a tutto il territorio nazionale, la cui formulazione potrebbe essere del seguente tenore:
Art. XX (Principio di autoresponsabilità nelle attività in ambiente montano).
1. Chiunque pratica attività sportive e ricreative in ambiente montano lo fa sotto la propria responsabilità e si assume i rischi connessi alla pratica di tali attività, con esclusione di responsabilità civile da parte di soggetti pubblici o privati, fatti salvi i casi previsti da norme di legge. L'esercizio dell'attività di controllo e manutenzione dei tracciati non escludono i rischi connessi alla frequentazione dell'ambiente montano”.
Nel corso dell’esame in Commissione al Senato è stato approvato un articolo aggiuntivo, poi corretto in sede di esame alla Camera dei deputati, che tuttavia rimane molto lontano dal testo proposto dal CAI.
In sintesi, l’articolo 22 reca disposizioni in merito alle attività escursionistiche al fine di promuoverne la fruizione consapevole e informata dei percorsi escursionistici, la sicurezza e l'incolumità dei fruitori dei percorsi escursionistici; riporta una definizione di percorso escursionistico, rinviando ad un decreto ministeriale per l’individuazione dei criteri per la classificazione dei percorsi escursionistici nonché delle modalità con cui sono fornite ai fruitori dei percorsi escursionistici le informazioni necessarie per la loro fruizione in sicurezza anche mediante apposita segnaletica. Viene inoltre esclusa la possibilità di risarcimento per danni in caso di incidente su un percorso escursionistico, sulle strade poderali e sulle strade e piste forestali e silvo-pastorali, pubbliche e private, site nei comuni montani, in conseguenza di un comportamento colposo dell’escursionista stesso (caso fortuito).
Analizzando nel dettaglio, il comma 1 riconosce il ruolo dell'attività escursionistica quale strumento fondamentale per la tutela e la promozione del patrimonio ambientale, paesaggistico e storico-culturale dei territori in cui si svolge, nonché per la diffusione di un turismo sostenibile. Conseguentemente, promuove la fruizione consapevole e informata dei percorsi escursionistici, al fine di garantire la sicurezza e l'incolumità dei fruitori dei percorsi escursionistici.
Anche in questo caso, siamo in presenza di dichiarazione di norme di principio, ma il principio di autoresponsabilità non viene dichiarato palesemente, come proposto dal CAI. Si parla di “fruizione consapevole e informata dei percorsi escursionistici”, che verrà realizzata ai sensi del successivo comma 3.
Il comma 2 - in pieno stile giuridico - provvede alla definizione di percorso escursionistico: si tratta di un tracciato “prevalentemente” a fondo naturale, visibile e permanente, che si forma per effetto del passaggio dell'uomo o degli animali.
In sostanza, un percorso escursionistico si sviluppa su fondo naturale, deve essere chiaramente visibile ed avere un carattere permanente, anche perché conseguenza del passaggio “più volte ripetuto” dell'uomo o degli animali.
Il comma 3 rinvia all’emanazione di un decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro del turismo e il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, da adottarsi entro 180 giorni dall'entrata in vigore della legge, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, per l’individuazione dei criteri per l’individuazione e la classificazione dei percorsi escursionistici e i relativi codici di identificazione, avuto riguardo al grado di difficoltà del singolo percorso, nonché le modalità con cui sono fornite ai fruitori dei percorsi escursionistici le informazioni necessarie per la loro fruizione in sicurezza anche mediante apposita segnaletica.
Leggendo questa norma, il socio CAI si pone una domanda: “Ma il CAI non svolge già questa attività ai sensi della legge n. 91 del 1963? Chi mette lungo i sentieri tutti quei segni bianchi e rossi e magari anche le tabelle?“
La novità è sicuramente contenuta al comma 4 che interviene in merito alla responsabilità del fruitore del percorso escursionistico (riferimento così modificato dalla Camera in luogo del termine più restrittivo “escursionista”) per danni cagionati a sé stesso nel corso dell’attività escursionistica.
La disposizione è stata formulata attraverso il richiamo di quanto contenuto all’articolo 1227 del Codice civile.
Nello specifico, il comma 4 precisa che, se un escursionista nella fruizione del percorso escursionistico commette per propria colpa un evento (siamo quindi in presenza di un fatto colposo) in conseguenza del quale lo stesso escursionista cagiona dei danni a se stesso, non può esserci responsabilità di “altri soggetti” per tali danni, essendo il tutto considerato “caso fortuito”. Sintesi: si è fatto male da solo!
Tale principio è precisato nel secondo periodo del comma 4, attraverso il richiamo all’articolo 1227 del Codice civile. Nello specifico il primo comma dell’art. 1227 prevede la diminuzione del risarcimento qualora il creditore abbia concorso – per sua colpa – a cagionare il danno; il secondo comma dell’art. 1227 esclude il risarcimento per i danni che il “creditore” avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
In sintesi, il comma 4 si limita sostanzialmente a prevedere l’esclusione della possibilità di citare in giudizio per un risarcimento il soggetto proprietario del percorso escursionistico o il soggetto a cui ne è eventualmente affidata la manutenzione per i danni che un escursionista cagiona a sé stesso nella fruizione del percorso escursionistico per un fatto colposo conseguente ad una mancanza di diligenza da parte dell’escursionista stesso. Un tipico caso può essere ravvisato in una frattura del piede conseguente ad un avvallamento del fondo (sedime) o ad una radice che l’escursionista non aveva notato. In questo caso si tratterebbe di un caso fortuito dovuto ad una distrazione o superficialità dell’escursionista.
Speriamo che, al richiamo operato dal legislatore per dare vita al “principio dell’autoresponsabilità” a livello di normativa statale, segua anche una buona pratica applicativa da parte della Magistratura se un domani coinvolta.
Si tratta comunque già di un primo risultato, trattandosi di una disposizione di legge applicabile su tutto il territorio nazionale!
Infine, il comma 5 stabilisce che le disposizioni del comma 4 in tema di esclusione di responsabilità civile si applicano, in quanto compatibili, anche alle strade poderali definite dall'articolo 3, comma 1, n. 52, del Codice della strada (D.Lgs. n. 285 del 1992) “strada privata fuori dai centri abitati ad uso pubblico” site nei comuni montani, nonché alle strade e piste forestali e silvo-pastorali, pubbliche e private (indicati dall'articolo 3, comma 2, lettera f), del Testo unico in materia di foreste e filiere forestali, di cui al D.Lgs. n. 34 del 2018), site nei comuni montani.
In sostanza, l’esclusione di responsabilità civile vale anche nelle strade poderali e nelle strade e piste forestali e silvo-pastorali, pubbliche e private site nei comuni montani. Tale norma sembra destinata soprattutto ai praticanti della mountain bike.
La manutenzione della rete sentieristica
Anche il comma 7 dell’articolo 19 interessa – indirettamente – il CAI, in quanto stabilisce che i comuni montani e le loro forme associative possono affidare, ai sensi del codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 36/2023), i lavori pubblici di sistemazione e di manutenzione del territorio montano, inclusa la rete sentieristica, di gestione forestale sostenibile, di sistemazione idraulica e di difesa dalle avversità atmosferiche e dagli incendi boschivi, di importo inferiore alle soglie indicate all’articolo 14 del medesimo codice, a gestori di rifugi, coltivatori diretti, singoli o associati, e imprenditori agricoli, che conducono aziende agricole, con impiego esclusivo del lavoro proprio e dei familiari di cui all’articolo 230-bis del codice civile e di macchine e attrezzature di loro proprietà, nonché a consorzi forestali e associazioni fondiarie, nel rispetto delle norme vigenti sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori. Tale previsione si applica anche alle imprese iscritte agli albi regionali delle imprese che eseguono lavori o forniscono servizi forestali.
Si tratta, ovviamente, di una facoltà, ulteriore rispetto alle ordinarie convenzioni/accordi tra ente locale e Sezione CAI territorialmente competente.
Considerazioni conclusive
Come già detto, si tratta di una legge “stretta” tra le competenze operative legislative delle Regioni e quelle generali dello Stato, e quindi farcita di molte norme di principio.
Sicuramente il nuovo elenco dei comuni montani supererà quelle polemiche che nel corso degli anni hanno considerato territori non propriamente montani, ma soprattutto indicherà, nome per nome, quei comuni delle aree montane che potranno beneficiare delle agevolazioni previste dalla nuova legge, nella speranza di portare reali benefici alle popolazioni montane, di contrastare il rischio dello spopolamento e della desertificazione delle attività commerciali e produttive, soprattutto nella c.d. “montagna povera”.
Le risorse del FOSMIT sono attualmente limitate ed è auspicabile che nei prossimi anni – quando anche la Strategia per la montagna italiana diventerà operativa – siano considerevolmente aumentate.
In ogni caso, il Parlamento si è ricordato che esiste un “problema montagna”.
Esso non va inteso solo come cambiamento climatico e tutela del territorio, ma bensì deve essere prioritariamente riferito alle persone che vivono su quel territorio.
Tale territorio sale agli onori della cronaca nei momenti di overtourism che caratterizzano l’ambiente montano in determinati periodi dell’anno, anche per effetto dei social, e per i relativi incidenti – spesso mortali – conseguenti alla mancanza di formazione dei turisti/escursionisti.
Sarà necessario diffondere maggiormente la cultura dell’andare in montagna, di vivere correttamente la montagna, di rispettarla, ma ciò non potrà essere fatto per legge. E il CAI è stato fondato oltre 160 anni fa anche per queste finalità.
La montagna non dovrà essere un parco giochi per chi viene da altri territori. La montagna ci sarà sempre se potrà essere vissuta quotidianamente dai suoi abitanti e ciò potrà essere possibile solo assicurando loro quei servizi di base (sanità, scuola, trasporti, tecnologie) presenti nel resto del territorio nazionale.