Nel regno dei gorilla: Walter Bonatti e l’incontro con i giganti dei Virunga

Nel 1977 l’alpinista esplorò le foreste dei Virunga, dove il silenzio si faceva attesa e il rispetto era l’unica legge. Lì, Bonatti visse l’incontro più sorprendente della sua vita: quello con i giganti silenziosi della montagna.

Ci sono viaggi che non si limitano a esplorare luoghi inesplorati, ma che penetrano nell’animo di chi li compie. Quello compiuto nel 1977 da Walter Bonatti tra le foreste dei Virunga, alla ricerca dei gorilla di montagna, fu un’esperienza che intrecciava avventura, paura, rispetto e meraviglia. Un uomo abituato alle sfide verticali delle Alpi e degli Ottomila si ritrovava improvvisamente ospite di un mondo primordiale, dove la regola era l’equilibrio fragile tra l’uomo e la natura selvaggia.

Il viaggio compiuto da Bonatti fu una discesa nelle origini stesse della Terra. Le foreste equatoriali si presentavano come un muro vivo, impenetrabile e ostile. “La spessa e intricata foresta delle tristi selve equatoriali… causava un’ombra cupa e nebbiosa che gravava costantemente intorno” annotava. Era un mondo umido, soffocante, dove il sole non penetrava mai del tutto, e dove ogni passo richiedeva attenzione.

Accompagnato da guide locali che conoscevano i segreti della giungla Bonatti si inoltrava lentamente in un dedalo fitto e scuro. Le guide aprivano sentieri invisibili, scostavano i rami, decifrando impronte e tracce: senza di loro, sarebbe stato impossibile.

 

L’attesa dell’incontro

Non era una caccia, ma un rito di pazienza e rispetto. Era la legge non scritta della foresta: non invadere, non sfidare, non oltrepassare la soglia invisibile del rispetto. Il gorilla non era un nemico, ma un signore del suo territorio, capace di clemenza come di furia improvvisa. “Ora sappiamo che la nostra presenza sarà tollerata, ma la durata del lavoro sarà determinata dal comportamento del capo famiglia. La sua lenta e costante ricerca di cibo attirerà il contatto, ma basterà che ci consideri importuni per ricoprirci di insulti vocali o manifestando la volontà di attaccarci.

Il silenzio della foresta diventava attesa. Ogni fruscio poteva annunciare l’apparizione. Ogni ombra poteva trasformarsi in sagoma. E quando accadeva, il tempo si fermava.

Non c’era minaccia immediata, ma neppure confidenza. L’incontro con i gorilla non somigliava a nulla che Bonatti avesse mai provato in montagna. Quelle creature possedevano una calma solenne, una forza contenuta, un’autorità che non necessitava di dimostrazioni. Il loro sguardo profondo, quasi umano, interrogava più di quanto rispondesse.

“Se incontrare un gorilla nel suo habitat è difficile, fotografarlo è quasi impossibile confessava l’esploratore. Eppure non era la foto il vero trofeo, ma il contatto invisibile, quell’istante in cui l’uomo e l’animale si riconoscevano nello stesso spazio vitale.

L’avventura tra i Virunga si intrecciava inevitabilmente con la figura di Carl Akeley, naturalista americano e pioniere della protezione dei gorilla, morto il 17 novembre 1926 durante una spedizione scientifica sul Monte Mikeno, nell’attuale Repubblica Democratica del Congo. La causa della sua morte fu probabilmente una febbre emorragica, forse una forma di dissenteria acuta. Akeley fu sepolto vicino al luogo dove aveva osservato per la prima volta i gorilla di montagna, un incontro che lo aveva profondamente segnato e motivato a dedicarsi alla loro conservazione, contribuendo alla creazione del primo parco nazionale africano, il Parco Nazionale Albert (oggi Parco Nazionale Virunga). Bonatti si recò anche sulla sua tomba, tra le alture del Karisoke, rendendo omaggio a chi aveva trasformato la scienza in missione etica.

Per Bonatti, i gorilla non furono semplicemente un soggetto da osservare, ma un simbolo universale. Rappresentavano il legame antico e profondo tra l’uomo e la natura, la necessità di riconoscere i limiti della nostra specie.
 

“D'un tratto la foresta risuona di un terribile urlo. La macchia davanti a noi si spalanca e irrompe un mostro gesticolante, ritto, alto almeno due metri. È a non più di sette passi da noi. Ha la bocca spalancata e orrenda, in cui biancheggiano enormi canini. Due occhi terribili brillano nel volto dall'espressione feroce e mentre la sua gola emette vibranti ruggiti, con le enormi braccia sussultanti il gigante scaglia pugni nell'aria, verso il cielo, poi, ritmicamente, si percuote il petto che rimbomba come un tamburo. È una scena terrificante che dura parecchi secondi, ma la mia sorpresa è tale che non riesco a scattare una sola fotografia". 

Walter Bonatti