Nives e Romano: non si tradisce per una cima

Nel maggio 2009, Nives Meroi rinuncia alla vetta del Kangchenjunga per scendere insieme al marito malato, scegliendo l’amore alla vetta. Una storia di etica, libertà e alpinismo vissuto insieme, lontano dalla corsa ai record.
Nivers Meroi e Romano Benet

Il 17 maggio 2009 Nives Meroi e il marito Romano Benet sono a 7500 metri, sull’immenso Kangchenjunga. Sarebbe il dodicesimo ottomila, soprattutto per Nives che è inciampata nella corsa femminile per le cime più alte del mondo. “Avevo addosso un malessere cui non riuscivo a dare un nome – confiderà in seguito –. Accumulavo gli Ottomila nel mio stile per diventare la prima donna capace di salirli tutti e 14, eppure il disagio rimaneva. Ora so cos’era: anch’io facevo parte del grande spettacolo, anch’io cercavo gli sponsor e avevo accettato quella gara. Ci pensa la vita a risolvere il disagio, e lo fa nel modo più drastico e tragico perché Romano sta male. L’uomo che non è mai stanco e sembra nato per l’alta quota, improvvisamente si mostra debole. Non ce la fa più. Lei deve scegliere: lasciarlo dov’è, provare a salire in cima da sola e riprenderlo al ritorno, oppure scendere con lui alla quota dove stanno le persone malate. Seguire il record o l’amore. Nives decide di tornare indietro, e chi la conosce sa che non poteva che andare così. Non si tradisce per una cima.

I due alpinisti delle Giulie sono fatti così: o si fa per bene o non si fa, senza bisogno di scuse o spiegazioni. Per questo sono speciali, perché seguono la strada “giusta” ma non hanno l’aria di chi ne sa di più. Lo fanno per istinto, per etica e per amore, ma senza zucchero. È una cosa loro, stile innato, stile.

 

La rinuncia

“Non ti farò aspettare” gli dice lei prima di caricarsi lo zaino e tornare giù, sapendo che probabilmente perderà la gara e gli sponsor si arrabbieranno da morire. Ma che senso ha andare in montagna se non si è liberi di scegliere? Comunque è la scelta giusta, perché il malore di Romano era il primo sintomo di una grave aplasia midollare, che negli anni seguenti – sull’Ottomila più estremo – lo costringeranno a due trapianti di midollo e a un’altalena di ansie e speranze, con la prospettiva, se gli andrà bene, di guardare le cime dal basso. E invece Romano vince la malattia, anzi la vincono tutti e due, e tornano sugli Ottomila chiudendo la serie. Non per il record, ma perché è una cosa che gli piace fare insieme, e la sanno fare al meglio. Oggi continuano a scalare su montagne quasi sconosciute, non illustri, per il gusto di sentirsi liberi.