Nuova via sulla nord-ovest del Pizzo della Sella per Faletti, Andreozzi e Gremes

I tre alpinisti hanno aperto in due giorni un itinerario di quasi 600 metri, con difficoltà fino a VIII-, su una parete vergine del monte Gallo, in Sicilia. "È stata una avventura indimenticabile, dall'esito incerto fino al termine"

Emanuele Andreozzi, Massimo Faletti e Andrea Gremes hanno aperto il 2 e 3 novembre la via Respect the nature (580 metri, VIII-) sulla parete nord/ovest del Pizzo della Sella, nel massiccio del Monte Gallo, a Palermo. Si è trattato di una vera e propria avventura, che ha impegnato a fondo i tre alpinisti e li ha costretti a tirare fuori il meglio dal proprio bagaglio alpinistico in una situazione non semplicissima.

Il viaggio in Sicilia era nato come una cosa a metà tra l'idea di fare una vacanza e la voglia di mettere mani e piedi su pareti ancora largamente - se non inesplorate- sicuramente meno congestionate rispetto a quelle alpine. "Nell’isola possiamo guardare ancora molte pareti come i pionieri dell’alpinismo guardavano le Dolomiti negli anni ‘30 - racconta Andreozzi-. È un privilegio impensabile da noi, dove ogni parete di roccia è stata ampiamente sfruttata da oltre un secolo di attività alpinistica e il poco spazio rimasto morfologicamente si presta più a itinerari moderni che classici. In Sicilia al contrario, dopo la morte di Roby Manfrè Scuderi nel 1994, ha preso piede perlopiù l’arrampicata sportiva, mentre quella tradizionale è stata quasi dimenticata o praticata da pochissimi. Luigi Cutietta, per esempio, è forse l’unico a non aver mai smesso di aprire ancora itinerari classici".

Il terzetto di alpinisti è entrato nella riserva naturale di Capo Gallo dal versante di Barcarello, con molto materiale, ma senza un obiettivo chiaro. Dopo un attento esame, la cordata ha deciso di tentare la salita dell’enorme e strapiombante parete nord-ovest del Pizzo della Sella, ancora del tutto vergine. "Nessun itinerario la saliva direttamente, solo i pilastri che la delimitano presentavano delle vie. La parete, a forma di anfiteatro, nei due terzi superiori è formata da enormi strapiombi rossi, ma sulla porzione di centro-destra abbiamo individuato una linea che sembrava essere l’unico reale punto di debolezza".

A Faletti è toccato l'onore l'onere di attaccare, quando ormai erano le 9.30. Il primo tiro è partito su un grande pilastro di roccia grigia, che già dalla seconda lunghezza ha mostrato di essere ostico. "Pur sforzandoci di cercare la linea più agevole possibile, le difficoltà non sono scese mai sotto il sesto grado, su roccia a tratti infida e a tratti compatta ed entusiasmante. Ogni due tiri ci siamo avvicendati al comando della cordata. Lo stile era quello delle grandi e storiche classiche dolomitiche. Quando mi sono ritrovato a salire un tiro dentro un enorme e tetro camino, i miei pensieri sono andati alle vie di Gian Battista Vinatzer o alla Philipp-Flamm sul Civetta".

Alle 17 i tre erano alla base di un grande diedro strapiombante, circa a metà parete. "Non avevamo con noi materiale da bivacco e la salita si stava rivelando molto più lunga e impegnativa del previsto, ma la temperatura era confortevole e quindi non avevamo alcun motivo valido per battere in ritirata. Ci siamo sistemati al meglio sulla cengia stendendo le corde, pronti a trascorrere la notte, con la vista diretta sul mare. Per cena ci siamo accontentati di mezza barretta a testa. La lunga notte è trascorsa serena e la mattina eravamo riposati e pronti a ripartire".

Il grande diedro sopra la cengia era completamente bagnato "così non abbiamo potuto fare altro che provare ad aggirarlo traversando ulteriormente sulla destra, sperando di trovare porzioni di parete arrampicabili per le nostre capacità e il materiale del quale eravamo dotati. Ci eravamo portati friends in abbondanza, nuts e una mazzetta di chiodi artigianali prodotti direttamente da Andrea". Niente trapano e spit per i tre in cordata, che hanno accettato di giocare con le regole imposte dalla natura. "Il più motivato a partire dopo il bivacco è stato Andrea, che ha salito un tiro in obliquo fino alla base di un piccolo diedro-camino rosso. L’esile fessurina che lo solcava faceva ben sperare di trovare una via d’uscita, anche perché ormai era chiaro che non saremmo più potuti tornare indietro, dato il continuo traversare e obliquare verso destra. Sotto di noi la parete era strapiombante e buttando giù le corde, sarebbero rimaste a penzolare nel vuoto".

La situazione insomma si stava facendo tesa: un secondo bivacco era da scongiurare, ma non c'erano garanzie di successo. Progredendo al prezzo di una grande fatica, Faletti e compagni hanno trovato roccia friabile e difficoltà a proteggersi. La parete ha regalato soluzioni migliori più in alto. "Un diedrino su roccia rossa a canne, peccato che lo stato di spossatezza in cui mi trovavo non mi ha promesso di godermelo come avrebbe meritato".

La cordata è riuscita a uscire per le 15 del pomeriggio del secondo giorno, con un ultimo lungo tiro. "L’intera parete era finalmente sotto i nostri piedi e un forte vento faceva correre veloci le nuvole attorno a noi, mostrandoci e nascondendo il panorama ad intermittenza. Un vero ambiente alpino, se non fosse che la montagna, si affacciava direttamente sul mare. Abbiamo vissuto una avventura memorabile, aprendo in due giorni una via di quasi 580 metri lungo una parete ostile, la cui conclusione era rimasta incerta fino all’ultimo metro. Le difficoltà hanno toccato l’ottavo grado inferiore, anche se l’impegno è stato dato più da alcuni tiri di sesto e settimo su roccia molto friabile. Per tutti noi tre, i ricordi di questa salita ci daranno ancora molta soddisfazione nei mesi a venire".