Casco da sciDal primo novembre 2025 il casco è obbligatorio per chiunque frequenti le piste all’interno di un comprensorio: sciatori, scialpinisti, perfino chi va in slitta. La decisione colpisce più per la portata simbolica che tecnica, anche perché cambierà per sempre l’immagine dello sciatore con il cappellino di lana della nonna o il berretto firmato, che comunque ne caratterizzavano lo stile. Il casco uniforma e rende tutti uguali. Ma ovviamente c’è dell’altro. Se dal punto di vista della sicurezza (sempre quella parola d’ordine, sempre quell’illusione!) la norma risponde al buon senso perché con gli sci larghi, le piste lisce e dure come biliardi e le pietre oltre il nastro di neve da cannone si rischia la testa, dal punto di vista simbolico è la fine della relazione storica tra sci e montagna. Oggi le piste sono considerate degli impianti al cento per cento, come un campo da tennis o da pallone, e allora se acquisto il biglietto devo essere “garantito” ed esonerato da ogni scelta, da ogni responsabilità, da ogni libertà. Che le piste si trovino in quota, cioè in montagna, è quasi diventato un dettaglio legato alle temperature, finché anch’esse non saliranno al punto da sciogliere l’antico legame montano costringendo a rifugiarsi nei palazzetti refrigerati. Piccoli sciatori surgelati.
La storia insegna. Se lo sci nacque come un gioco che si adattava alla montagna, e con il gioco gli sciatori, adesso è la montagna che si adatta: se c’è una gobba la si spiana, se non nevica c’è la neve programmata, se non ci sono i cartelli di orientamento faccio causa al comprensorio perché ho rischiato di perdermi. Non c’è da stupirsi che l’industria dello sci continui a progettare impianti e collegamenti che nulla hanno a che fare con una visione alpina (o appenninica), perché per l’industria, qualsiasi industria, contano l’investimento e il profitto. Il terreno è un impianto, la natura un inciampo e il contorno montano – quando c’è – è ridotto a folclore. I turisti di città apprezzano la calda atmosfera dei locali che profumano di resina e si commuovono per le fotografie d’antan appese alle pareti, purché la fatica e il gelo che segnarono i durissimi inverni montanari restino fuori dalla porta.