Overtourism e montagna: il punto con il vicepresidente Giacomo Benedetti

Sentieri affollati, rifugi sotto pressione e promozione turistica sbilanciata. Benedetti: necessaria educazione, diversificazione e attenzione alle comunità locali.
Il vicepresidente generale del CAI Giacomo Benedetti

Negli ultimi anni il tema dell’overtourism, l’eccessiva pressione turistica su luoghi già saturi, è entrato stabilmente nel dibattito pubblico, e non riguarda più soltanto le grandi città d’arte o le spiagge più note. Anche la montagna è ormai investita da questo fenomeno: sentieri affollati, rifugi presi d’assalto e un aumento degli incidenti in ambiente sono solo alcune delle conseguenze visibili.

Le cronache recenti parlano chiaro: la montagna sta cambiando volto, spinta da una promozione turistica spesso poco attenta alla sostenibilità ambientale e sociale.

Ne abbiamo parlato con Giacomo Benedetti, vicepresidente generale del Club Alpino Italiano, che ci ha offerto una riflessione a tutto campo su cause, rischi e possibili soluzioni, ribadendo il ruolo fondamentale dell’educazione e della conoscenza del territorio per contrastare questa deriva.

 

Giacomo, come vive il CAI il fenomeno dell’overtourism in montagna?
Il CAI guarda con preoccupazione al fenomeno dell’overtourism. Quello che emerge chiaramente è una mancanza diffusa di cultura, competenze e preparazione rispetto all’ambiente montano.

Parliamo di un modello di turismo fortemente impattante. Il turismo di massa consuma la natura in modo bulimico, senza rispetto e senza consapevolezza. Il turismo di lusso, che va di pari passo, propone esperienze esclusive in alta montagna che spesso non rispettano l’ambiente: resort con accessi in elicottero, SUV, motoslitte d’inverno e quad d’estate.

Tutte pratiche che stressano profondamente l’ecosistema e che, nella maggior parte dei casi, non portano benefici significativi alle comunità locali.

 

Che effetti può avere un affollamento di persone in una stessa località?

L’eccessiva presenza di persone in alcune località comporta un forte stress sul territorio e sulle sue strutture: sentieri sovraffollati, rifugi sotto pressione, e un aumento degli incidenti, che diventano difficili da gestire anche per le strutture di soccorso che si trovano a dover gestire, con lo stesso numero di operatori, un maggiore numero di incidenti. Significa che la stessa stazione del Soccorso Alpino può trovarsi in difficoltà. 

Questo sovraccarico, inoltre, compromette anche l’esperienza personale che ognuno cerca in montagna: quella rigenerazione, quel benessere che dovrebbe accompagnare una giornata nella natura.

 

Quali sono le cause principali di questa situazione?
Il problema nasce da una promozione turistica spesso dissennata, che espone sempre le stesse località sui media, trascurando completamente zone meno conosciute. Se invece si iniziasse a raccontare e valorizzare anche quelle aree, probabilmente si riuscirebbe a redistribuire i flussi. Questo effetto di “riequilibrio” può avvenire solo se smettiamo di concentrare tutta la comunicazione su un pugno di destinazioni iconiche.

 

Così facendo non si corre il rischio di portare le masse dove prima non c’erano?
Sì, è possibile, per questo va fatto con grande oculatezza. I numeri dicono che l’overtourism colpisce solo il 4% del territorio italiano: significa che abbiamo un 96% ancora tutto da raccontare. Penso che, con attenzione e con una giusta narrazione, potremmo ottenere un effetto positivo. 

Continuando però a promuovere sempre le stesse località, il meccanismo semplicemente non funziona. Basta accendere la televisione per vedere sempre la fila al Seceda: immagini che, invece di scoraggiare, finiscono per incentivare. Chi le guarda, spesso senza conoscenze specifiche, viene attratto da un’immagine patinata della montagna, priva di consapevolezza.

 

Cosa può fare il CAI per contrastare questa situazione?
A livello nazionale, l’unica azione davvero efficace che il CAI può mettere in campo è una grande campagna informativa. Serve educare alla diversificazione delle mete, alla sicurezza e al corretto approccio all’ambiente montano. Oggi molte persone non conoscono davvero la montagna, né sono consapevoli degli imprevisti che può riservare. E questo porta inevitabilmente a comportamenti rischiosi. Il CAI dovrebbe avere una presenza costante nei programmi televisivi e sui media generalisti, per lanciare messaggi chiari, educativi e formativi. 

Oltre a questo, esistono battaglie concrete da portare avanti sui territori: progetti come quelli del marchio di qualità “Villaggi Montani Certificati CAI”, che promuovono un turismo sostenibile. Un marchio pensato non solo per i turisti, ma anche per le comunità che vivono in montagna e che devono trarre beneficio dalle attività turistiche, senza subirle.