Questo articolo, a cura del progetto ArchitetturAlpinA, ci guida alla scoperta delle architetture contemporanee che animano e trasformano il paesaggio alpino.
© Alessandra ChemolloValle del But, Carnia. Esiste un progetto che racconta molto più di ciò che appare a prima vista. Si tratta di “Paesaggio Elettrico”, un sistema di sei cabine elettriche progettate per accompagnare l’interramento della linea aerea che alimenta questa valle montana, in provincia di Udine. Un’opera silenziosa, ma eloquente, che testimonia la trasformazione di un intervento tecnico in una narrazione architettonica. Realizzato a partire dal 2007, questo progetto è stato selezionato come uno dei dieci esempi di architettura contemporanea nelle Alpi italiane raccontati nel docufilm ArchitetturAlpinA.
Un progetto infrastrutturale diventa architettura
Tutto nasce da un’esigenza tecnica: interrare i cavi elettrici aerei per migliorare la sicurezza, l’affidabilità del servizio e l’impatto visivo sul paesaggio. Ma nella Valle del But si è scelto di andare oltre il minimo necessario. L’architetto Tommaso Michieli, in rappresentanza dell’Ordine degli Architetti della provincia di Udine, spiega come da una questione meramente funzionale sia emersa un’occasione progettuale più profonda: “Il progetto affronta architettonicamente un tema spesso relegato all’ingegneria. Queste cabine elettriche non sono semplici contenitori tecnici, ma manufatti che dialogano col paesaggio, diventandone parte integrante”. Ogni cabina è stata pensata in relazione al contesto in cui si inserisce: i materiali sono locali, scelti per continuità cromatica e tattile con l’ambiente circostante. Le forme sono sobrie, ma riconoscibili. Nessun gesto spettacolare, solo un equilibrio misurato tra funzionalità e linguaggio architettonico.
Architettura relazionale
Ciò che rende il progetto “Paesaggio Elettrico” particolarmente emblematico per ArchitetturAlpinA è il suo carattere relazionale. “L’intervento – prosegue Michieli – è stato condiviso con la comunità e con le istituzioni locali, costruendo un processo partecipato, raro in contesti così marginali. Questo ha permesso di generare un senso di appartenenza anche verso un’infrastruttura apparentemente tecnica”.
Le cabine non sono isolate né invisibili: sono nodi di una rete, riconoscibili, disseminati sul territorio con una logica che è al tempo stesso tecnica e simbolica. Ognuna di esse è diversa, perché diversi sono i micro-contesti in cui si trova, ma tutte condividono una stessa grammatica progettuale, una sorta di “famiglia architettonica” che genera identità e coerenza. In questo modo, si supera la logica della replica anonima e si abbraccia una progettazione attenta e sartoriale, anche per opere “minori”.
© Alessandra ChemolloPensiero laterale, impatto profondo
“Paesaggio Elettrico” è un esempio di quello che Michieli definisce “pensiero laterale”: uno sguardo che riesce a vedere nella marginalità un potenziale di bellezza e innovazione. Se l’architettura può occuparsi solo di musei, teatri o grandi piazze, resta confinata a una nicchia. Ma se, come in questo caso, si mette al servizio dell’infrastruttura e della quotidianità, diventa cultura diffusa, che vuole migliorare il modo in cui abitiamo anche i luoghi più remoti.
Nel contesto alpino, dove la pressione del turismo, la dispersione insediativa e le sfide ambientali chiedono risposte complesse, progetti come questo mostrano una via alternativa percorribile. Una via fatta di attenzione, radicamento e immaginazione. L’architettura qui si fa strumento di connessione, non solo tecnica, ma anche culturale e simbolica.
Un esempio replicabile
Tra gli elementi più forti di “Paesaggio Elettrico” c’è la sua replicabilità. Non nel senso della copia, ma come modello di approccio. In tante valli alpine e appenniniche si pongono le stesse esigenze: adeguamento delle reti, trasformazione di impianti tecnici, contenimento dell’impatto visivo. In linea generale ogni intervento può essere occasione di qualità, se affrontato con metodo, apertura e visione.
Nel docufilm ArchitetturAlpina, “Paesaggio Elettrico” rappresenta proprio questo: la volontà di fare bene, anche quando nessuno guarda. Di dedicare cura anche a ciò che, per sua natura, è nascosto. Di portare architettura dove meno ce la si aspetta. Ed è in questo che risiede forse il suo valore più grande.
Come affermato da Federico Mentil e Marco Ragonese, autori del progetto, "La progettazione di un’infrastruttura è stata l'occasione per sperimentare la possibilità di far diventare dei manufatti edilizi - specificamente tecnici - degli ecosistemi complessi in continuo mutamento. Uomini, flora e fauna trovano in questi luoghi un punto di incontro capace di generare relazioni inaspettate e imprevedibili".
Una nuova energia per la montagna
In un’epoca in cui parlare di energia significa interrogarsi su sostenibilità, transizione ecologica e giustizia territoriale, il progetto della Valle del But ci sembra contemporaneo. Le sei cabine elettriche non sono solo punti tecnici, ma diventano simboli di una nuova energia culturale, di un paesaggio alpino che vuole essere abitato, narrato, progettato con cura.
ArchitetturAlpina racconta anche questo: che l’identità dei luoghi passa attraverso i dettagli, e che ogni opera, anche la più tecnica, può essere occasione di bellezza, se guardata con occhi nuovi.