Permafrost: dal disgelo riaffiorano microbi vecchi di 40mila anni

Il disgelo del permafrost riporta in circolazione microrganismi dell’era glaciale, con possibili effetti più sul clima che sulla salute.
Pianure gelate dell'Alaska © Pixabay

Il permafrost, lo strato di terreno e roccia che resta congelato per almeno due anni consecutivi e che in profondità può risalire all’ultima era glaciale, funziona come un gigantesco freezer naturale. Al suo interno, la materia vivente può restare conservata per migliaia di anni, pronta a “riemergere” quando il ghiaccio si fonde. Ma lo scongelamento di questo terreno perennemente ghiacciato non è privo di rischi: microbi dormienti da decine di millenni possono tornare attivi.

In passato, sono stati rinvenuti nel permafrost della Siberia virus giganti, vecchi decine di migliaia di anni, infettivi però solo per le amebe. In alcune zone della stessa regione, batteri responsabili di epidemie di antrace su renne e uomini sono stati associati al disgelo del permafrost, dove erano rimasti inattivi per innumerevoli anni.

Un nuovo studio statunitense ha approfondito il fenomeno. Prelevando una profonda porzione di permafrost in Alaska, i ricercatori hanno simulato lo scongelamento alle temperature previste per le estati artiche secondo gli scenari climatici futuri. I risultati, pubblicati sul Journal of Geophysical Research Biogeosciences, mostrano che i batteri intrappolati nel terreno da circa 40mila anni si sono lentamente risvegliati, impiegando circa sei mesi per proliferare e formare colonie e biofilm visibili a occhio nudo.

“Questi non sono affatto campioni morti” afferma Tristan Caro, geologo dell’Università del Colorado a Boulder e primo autore dello studio. “Riescono ancora a ospitare forme di vita vigorose, capaci di decomporre la materia organica e rilasciare anidride carbonica”. Secondo i ricercatori, questo aspetto è più preoccupante dei potenziali rischi per la salute: il ritorno alla vita di microbi antichi potrebbe contribuire al rilascio di gas serra nell’atmosfera.

Il permafrost copre circa 23 milioni di chilometri quadrati, soprattutto nell’emisfero boreale, dall’Alaska alla Siberia, ma si trova anche in Antartide e nelle zone montuose del Pianeta. Al suo interno è custodita una quantità di carbonio organico stimata doppia rispetto alla CO2 presente oggi in atmosfera. Lo scongelamento del permafrost, accelerato dal riscaldamento globale (che nelle regioni artiche avanza più rapidamente rispetto alla media planetaria) può innescare un circolo vizioso: i microrganismi risvegliati liberano anidride carbonica e metano, rafforzando ulteriormente l’effetto serra e contribuendo al riscaldamento del Pianeta.