“Plane Climb”: il confine sottile tra impresa e spettacolo

Domen Škofic ha arrampicato un 8a sulle ali di un aliante in volo, fondendo tecnica, ingegneria e marketing in un’unica realizzazione. Ma dove finisce lo sport e dove comincia l’intrattenimento?

A volte lo sport estremo si muove su un confine sottile tra il gesto atletico e la spettacolarizzazione. L’impresa del climber sloveno Domen Škofic, che ha scalato una via di difficoltà 8a aggrappato alle ali di un aliante in volo, appartiene esattamente a questa categoria: una sfida al limite, nata da un’idea visionaria ma anche da una sapiente strategia mediatica. Eppure, dietro le immagini mozzafiato del “Plane Climb” - così è stato battezzato il progetto promosso dal Red Bull Blanix Team - si cela una prestazione fisica e mentale di rara complessità.

L’idea, in apparenza folle, è diventata realtà dopo mesi di progettazione. Su un aliante Let L-13 Blaník sono state installate delle prese da arrampicata, progettate per resistere a forze enormi e studiate per non alterare l’aerodinamica del velivolo. La via, valutata 8a, si snoda lungo un percorso a forma di otto: dall’ala sinistra, sotto la fusoliera, fino a quella destra. Tutto mentre il velivolo vola a circa 2500 metri di quota, a oltre 80 chilometri orari.

Già campione del mondo Lead nel 2016, Škofic si è distinto per la precisione e la forza con cui affronta vie di grande difficoltà. Questa volta però l’atleta sloveno ha dovuto affrontare qualcosa di inedito. Durante la salita, Škofic ha indossato un paracadute di 12 chili necessario sia per la sicurezza sia per il finale previsto: un salto nel vuoto. Immagini perfette per il marketing di un brand abituato a trasformare ogni impresa sportiva in un evento virale.

 

Tra gesto atletico e trovata pubblicitaria

E qui entra in gioco il senso critico. Perché sì, “Plane Climb” è una trovata pubblicitaria: un colpo di genio visivo e comunicativo, pensato per i social e per alimentare il mito dell’uomo che sfida le leggi della fisica. Ma non si può ridurre tutto a questo. La preparazione, l’ingegneria, la precisione richiesta a ogni gesto rendono quanto fatto da Škofic molto più di un semplice stunt. È una dimostrazione di controllo assoluto, di capacità di muoversi in un ambiente ostile, dove anche un errore di pochi millimetri può trasformarsi in disastro.

La comunità dell’arrampicata si è divisa. Da un lato, l’ammirazione per l’audacia e la tecnica; dall’altro, una certa diffidenza verso la deriva spettacolare di uno sport che, storicamente, ha fatto della sobrietà e dell’essenzialità i suoi valori fondanti. Molti hanno sottolineato che un 8a arrampicato in palestra o su roccia non ha lo stesso significato di un 8a su un’ala d’aereo, ma anche che il secondo non ha nulla da spartire con la purezza del primo.

Eppure, quanto fatto da Škofic lascia qualcosa. Non solo per la difficoltà atletica, ma per la domanda che solleva: dove finisce lo sport e dove comincia l'intrattenimento? Forse entrambe le dimensioni convivono, e forse non è un male. Se la scalata dell’aria di Škofic ci costringe a riflettere su cosa significhi davvero “superare i propri limiti”, allora la trovata pubblicitaria ha centrato il suo obiettivo.