PNALM, otto anni per salvare la peonia selvatica: il successo della conservazione

Avviato nel 2017 per evitare la scomparsa dell’unico esemplare noto, il progetto del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise ha permesso di creare due nuove stazioni vitali di Paeonia officinalis.

Otto anni di attenzioni, pazienza, impegno collettivo: è il percorso che ha visto protagonista una rarissima pianta spontanea, la Paeonia officinalis, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Quella che nel 2017 rappresentava una specie a rischio scomparsa oggi si sta trasformando in un piccolo successo di conservazione botanica.

Tutto ha avuto inizio durante alcuni sopralluoghi realizzati nel 2017, quando gli esperti del Parco, la dottoressa Cinzia Sulli, il dottor Carmelo Gentile insieme ai Guardiaparco Luciano Vitale e Arcangelo Serone riscontrarono una situazione critica: l’unico esemplare noto di Paeonia officinalis presentava rizomi esposti, vulnerabili, minacciati dal continuo transito di greggi. Il rischio che la pianta si estinguesse localmente era concreto.

Il 3 maggio 2017 fu dunque avviato un piano di conservazione e propagazione. Il cespo originario fu suddiviso in più frammenti: alcuni ottennero il rafforzamento della stazione madre, altri diedero vita a una seconda stazione. Per dare respiro alle giovani piantine, si è operato sul contesto vegetazionale: la rimozione della vegetazione arborea circostante ha migliorato la luminosità del sito, condizione favorevole alla crescita della peonia. Le due stazioni sono state dotate di recinzioni per proteggerle non solo dalla fauna selvatica, ma anche da quella domestica (pecore, capre), vera minaccia per le delicate radici. Inoltre, le giovani piante sono state assistite con irrigazioni mirate e costante rimozione delle erbe infestanti che competono per luce e nutrienti.

L’ultimo intervento documentato risale al 5 settembre 2025, quando volontari Scout hanno affiancato tecnici del Parco nel rinforzo delle recinzioni e nella manutenzione del sito. Oggi le due stazioni mostrano segnali di vitalità: alcune piantine hanno iniziato a fiorire. Certo, non siamo ancora alla piena robustezza, ma il percorso è positivo e il monitoraggio costante rimane essenziale.ù

 

La Paeonia officinalis

La Paeonia officinalis, conosciuta anche come peonia selvatica. È una pianta erbacea perenne dal portamento elegante e dai fiori grandi e vellutati, che oscillano tra il rosso vinoso e il porpora intenso. In Italia è presente soprattutto nelle regioni del Centro, tra Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo, dove sopravvive con popolazioni sparse e spesso fragili.

Appartiene a una famiglia molto antica, le Paeoniaceae, e nel nostro Paese si riconosce in particolare la sottospecie italica, una forma endemica che ha saputo adattarsi ai rilievi appenninici. Il suo ciclo vitale è lento e preciso: da un rizoma legnoso e profondo, ogni anno, spuntano fusti eretti che possono superare il metro d’altezza. Le foglie, composte e lucenti, fanno da cornice a un unico grande fiore, che tra maggio e giugno si apre per poche settimane regalando uno spettacolo effimero ma intenso. Dopo la fioritura, la pianta produce dei piccoli follicoli vellutati, che racchiudono semi rossi, destinati a diventare neri una volta maturi.

La peonia selvatica ama i luoghi luminosi e i terreni calcarei, spesso ai margini dei boschi o nei pascoli montani, tra i 1000 e i 1800 metri di quota. È una pianta che chiede equilibrio: troppa ombra la indebolisce, ma anche il calpestio o il pascolo eccessivo possono comprometterne la sopravvivenza. Non a caso, nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise esiste un’unica stazione conosciuta.

La sua rarità la rende una specie di grande valore conservazionistico: è il simbolo di una biodiversità che resiste in silenzio, fragile ma tenace. Le principali minacce provengono dalle attività umane - greggi, sentieri, trasformazioni del bosco - e dalla competizione con piante più aggressive. Proteggere la Paeonia officinalis significa difendere non solo un fiore, ma un pezzo di storia naturale dell’Appennino. È la testimonianza vivente di un equilibrio antico tra luce, suolo e stagioni.