Quanto uccide il fumo degli incendi boschivi?

Uno studio finanziato dalla Commissione europea dimostra che il particolato fine, prodotto dagli incendi boschivi, è molto più pericoloso di quanto si pensasse, con gravi conseguenze per la salute umana.

L’autunno meteorologico è entrato in scena ufficialmente da qualche giorno, anticipato dal passaggio sulla nostra Penisola di una serie di perturbazioni, accompagnate da un sensibile calo termico, soprattutto al Centro-Nord. Diventa quasi difficile, voltarsi indietro, e pensare che appena alcune settimane fa, l’Europa si trovava a fronteggiare una emergenza incendi. In Italia, nel Sud della Francia, in Grecia e nei Balcani, e in maniera ancor più grave nella Penisola iberica, i roghi alimentati dalle alte temperature e dal forte vento, hanno distrutto centinaia di migliaia di ettari di boschi. 

Gli incendi, nel corso del 2025, non hanno rappresentato una problematica essenzialmente estiva, e già si parla di annata da record. Secondo i dati del Servizio di Informazione sugli Incendi Boschivi (EFFIS) del Sistema Copernicus dell'Unione Europea, da inizio anno a oggi, si sono verificati circa 1.800 roghi boschivi estesi su oltre 30 ettari, che hanno mandato in fumo oltre 1 milione di ettari di superficie. Lo scorso anno, per il medesimo periodo di analisi, il dato rilevato era pari a poco più di 200.000 ettari. Sono aumentate, in conseguenza, le emissioni di anidride carbonica. La quantità stimata è di oltre 38 milioni di tonnellate, circa 27 milioni di tonnellate in più rispetto allo scorso anno. 

Oltre all’anidride carbonica, a seguito di un incendio boschivo, vengono rilasciati nell’aria altri gas, come gli ossidi di azoto, composti organici volatili e particolato fine, noto come PM2.5. Queste particelle, di diametro inferiore o uguale a 2,5 micrometri, possono viaggiare per migliaia di chilometri, compromettendo la qualità dell'aria su vaste aree, e causando problemi di salute, soprattutto nelle persone affette da malattie respiratorie e cardiovascolari. 

Secondo uno studio di recente pubblicazione sulla rivista scientifica The Lancet, finanziato da Commissione europea, EU Horizon Europe, Consiglio europeo della ricerca e Consiglio della ricerca finlandese, gli effetti sulla salute umana, derivanti dal fumo liberato dai roghi boschivi, sono stati a lungo sottovalutati, e anche di molto. 

 

Gli effetti del fumo da incendi boschivi sull’uomo

A partire da dati, raccolti tra il 2004 e il 2022, i ricercatori hanno tentato di estrapolare dalla totalità di morti, correlate all’inalazione di queste piccolissime particelle tossiche, i decessi legati in maniera specifica a PM 2,5 liberate da incendi boschivi

La conclusione, cui sono giunti gli esperti, è che le PM 2,5 legate a roghi boschivi, siano più dannose rispetto alle PM 2,5 originate da altre fonti, come il traffico veicolare. “Ipotizzare che il PM 2,5 degli incendi boschivi abbia lo stesso effetto del PM 2,5 totale, sottostima in modo sostanziale il carico di mortalità del fumo degli incendi boschivi”, dichiarano i ricercatori. Cerchiamo di comprendere nel dettaglio le ragioni di tale affermazione. 

Gli scienziati hanno condotto quello che si definisce studio epidemiologico retrospettivo multinazionale, hanno ovvero utilizzato un database per raccogliere dati di mortalità giornaliera, per il periodo 2004-2022, relativi a 654 aree a scala subnazionale, contigue tra loro e appartenenti a 32 Paesi europei. La popolazione totale di riferimento, che vive nelle regioni analizzate, è di circa 541 milioni di individui. 

I dati così raccolti, in maniera retrospettiva, sono stati combinati con stime giornaliere di concentrazione nell’aria di particolato fine, correlato e non correlato a incendi, ricavate mediante applicazione di un modello di simulazione della composizione atmosferica. 

Utilizzando metodi statistici, gli esperti hanno cercato di quantificare il legame tra mortalità giornaliera (per tutte le cause e per causa specifica, ovvero per cause respiratorie e cardiovascolari) e presenza nell’aria di alte concentrazioni di PM 2,5, liberate da incendi boschivi e originate da altre fonti.

In questo modo, è stato possibile arrivare alla conclusione che il particolato fine, liberato dai boschi in fiamme, si leghi a una maggiore mortalità. Supporre che il PM2,5 correlato agli incendi, abbia lo stesso rischio relativo del PM2,5 totale, comporta una sottostima di circa il 93% del numero di decessi attribuibili al particolato liberato dagli incendi.

 

Un circolo vizioso tra incendi e cambiamento climatico

Come riportato nell’articolo scientifico, il fatto che il particolato da incendi boschivi risulti più dannoso del particolato da altre fonti, è noto alla scienza da tempo. Ricerche precedenti hanno portato a stimare che le PM 2,5 correlate a roghi, possano essere fino a 10 volte più nocive delle non correlate. Ma finora non era mai stato effettuato uno studio multinazionale, che andasse ad analizzare aree urbane e non urbane europee. 

Diverse ricerche, volte a stimare gli effetti del particolato fine sulla salute, a livello europeo, sono infatti state condotte su scala subnazionale, oppure multinazionale ma con dati esclusivamente provenienti dalle città. “La letteratura epidemiologica che collega il fumo degli incendi boschivi agli effetti sulla salute rimane scarsa in Europa", evidenziano i ricercatori . Il nuovo studio ha dunque preso in considerazione aree urbane e rurali, rappresentative di quello che possiamo definire scenario europeo. 

Studi di questo genere, che consentano di ottenere informazioni quanto più dettagliate sull’impatto sulla salute umana degli incendi boschivi, diventano essenziali in quello che è il periodo storico che ci troviamo ad affrontare. I cambiamenti climatici, uniti alle attività umane (la maggioranza degli incendi in Europa ha origine dolosa), stanno intensificando la frequenza e la gravità dei roghi boschivi. Il clima più caldo e secco crea condizioni ideali per la loro diffusione e aumenta il numero di giorni ad alto rischio. A sua volta, gli incendi rilasciano enormi quantità di CO2, che accelerano ulteriormente il cambiamento climatico, innescando un circolo vizioso assolutamente negativo. 

In questo contesto, si rendono necessarie stime più accurate della mortalità attribuibile al PM2,5 correlato agli incendi, non solo per monitorare l'impatto sulla salute pubblica ma anche per definire idonee strategie di adattamento.