Quattro custodi verdi dell’alta quota: abete rosso, larice, cirmolo e pino mugo. Riconoscerli e conoscerli

Dall’abete rosso al pino mugo, un viaggio tra le conifere alpine per scoprirne il carattere, il ruolo ecologico e le storie millenarie che rendono unici i boschi d’alta quota. Ogni albero diventa compagno di escursione e custode della montagna.

In montagna il tempo scorre diversamente, ogni passo è un invito a osservare, ogni sosta un’occasione per scoprire dettagli che, a ritmo frenetico, resterebbero invisibili. Durante un’escursione, non è solo la cima a meritare il nostro sguardo ma anche il “verde” che ci circonda, può raccontare. Un’ombra profumata di resina ci accoglie durante la sosta, ma sappiamo davvero quale albero ci sta offrendo questo riparo? In alta quota, molte conifere finiscono tutte sotto l’etichetta di “pino” o “abete”, eppure ognuna ha un nome preciso, un carattere distinto e un motivo per cui cresce proprio lì. Tra questi, i quattro veri protagonisti delle quote alpine sono abete rosso, larice, cirmolo e pino mugo

Conoscerli, riconoscerli e capirne il ruolo significa guardare la montagna con occhi nuovi. L’abete rosso, il larice, il cirmolo e il pino mugo non sono solo “alberi” che costeggiano i nostri sentieri ma sono compagni di escursione silenziosi, custodi di biodiversità, materia prima per tradizioni secolari e parte viva del paesaggio che alpino che amiamo. L’anima delle Alpi non risiede solo nelle grandi cime da conquistare ma anche nei boschi che le circondano, oggi più che mai vitali e solo chiedendosi che tipo di albero si ha davanti è possibile conoscerli e rispettarli.

 

L’Abete rosso

Simbolo universale del Natale, l’abete rosso è l’albero iconico della montagna ed è anche la conifera più diffusa tra quelle che incontriamo sui sentieri alpini. Trova spazio lungo tutto l’arco alpino, ma è nel settore centro-orientale che prospera al meglio, grazie alle piogge estive regolari e abbondanti. Semplice da riconoscere, la sua chioma, sempreverde, mantiene gli aghi tutto l’anno e assume una forma conica perfetta mostrandosi più ampia nei boschi di media quota, più stretta e slanciata in alta montagna, dove deve resistere al peso della neve. Le sue radici tendono a non andare in profondità, restando quindi superficiali permettendo di ancorarsi con tenacia anche su pendii più ripidi fino a 2000–2100 metri, in balia di vento, pioggia e gelo.

Il legno di abete, utilizzato sin dall’antichità, tra i tanti pregi, ha quello di essere perfetto per la costruzione di strumenti musicali. L’abete rosso, quello detto “di risonanza”, conosciuto in liuteria anche come “abete maschio”, presenta delle cosiddette maschiature (anomalie negli anelli di crescita) che lo rendono ideale per la costruzione delle tavole armoniche per gli strumenti a corda. Da secoli, infatti, i liutai cercano questi tronchi preziosi, che danno voce a violini, viole, violoncelli, chitarre classiche, clavicembali e pianoforti. In trentino nella Val di Fiemme, la foresta di Paneveggio, conosciuta anche come la foresta dei violini, è da secoli icona e luogo simbolo di approvvigionamento di questa splendida e unica materia prima. 

 

Il Larice

Il larice, a uno sguardo distratto, può sembrare un abete per la sua forma conica e gli aghi verdi ma chi conosce la montagna sa che, quando arriva l’autunno, questo albero rivela il suo carattere unico, infatti, è l’unica conifera alpina a perdere gli aghi in inverno. Mentre In primavera, i suoi rami si ricoprono di morbidi ciuffi verdi, che col tempo diventano verde intenso, nel periodo autunnale gli aghi assumano sfumature dorate e aranciate che trasformano gli interi versanti in paesaggi infuocati, che con l’avanzare dell’inverno sbiadiscono poiché in inverno il larice rimane completamente spoglio. Il larice cresce lungo tutto l’arco alpino, ma predilige le esposizioni soleggiate e può spingersi fino a 2300-2500 metri di quota, superando di molto l’abete rosso. Lo si incontra sia nei boschi puri sia come esemplare isolato in pascoli e versanti rocciosi, dove la sua resistenza lo rende capace di sopportare venti forti, neve abbondante e gelate.

Il legno del larice è apprezzato da secoli per la sua robustezza, durevolezza e impermeabilità. Le popolazioni alpine – in Valle d’Aosta, Trentino, Alto Adige e Bellunese – lo hanno utilizzato per costruire case, travi, staccionate, cancelli e strutture agricole. In particolare, è stato a lungo il materiale d’elezione per le scandole (Schindel, Schindola o Scandola), tegole di legno molto resistenti alle intemperie, usate per rivestire tetti o i muri esterni, infatti, non è casuale poiché il larice sopporta bene il peso della neve e la sua naturale resinosità lo protegge dall’umidità.

In una zona delle Alpi si trovano addirittura degli esemplari monumentali: a Santa Geltrude, in Val d’Ultimo (BZ), vi sono esemplari di larici millenari, testimoni silenziosi di secoli di storia alpina, considerati le conifere più longeve d’Europa.

 

Il Pino cembro

Il pino cembro, conosciuto anche come cirmolo, è una delle presenze più affascinanti del paesaggio alpino. Diffuso su tutto l’arco alpino, si distingue facilmente dalle altre conifere, è infatti l’unico pino ad avere aghi raccolti in mazzetti di cinque, morbidi al tatto e di un verde intenso e non presenta la solita chioma conica bensì cespugliosa e verticale. Vive spesso a fianco del larice, raggiungendo quote simili, ma a differenza di quest’ultimo rimane sempreverde, offrendo ombra e colore in ogni stagione.

Resistente alle basse temperature e ai venti forti, è impiegato nei rimboschimenti di protezione e nei progetti di recupero ambientale, soprattutto per consolidare versanti e arginare l’erosione.

Il legno del cirmolo è considerato un vero tesoro alpino, infatti, il suo legno è morbido, elastico, facilmente lavorabile e caratterizzato da un profumo resinoso inconfondibile, dovuto agli oli essenziali che contiene. È molto apprezzato per la realizzazione di mobili, rivestimenti e soprattutto sculture, tradizione ancora viva soprattutto in Val Gardena, dove abili artigiani trasformano i tronchi in opere d’arte. Da secoli, nelle case alpine, il legno di cirmolo viene scelto per le stube, sia per la bellezza delle venature, sia per le proprietà aromatiche, che si dice favoriscano il sonno e il rilassamento.

I suoi semi commestibili, racchiusi nelle pigne, sono una preziosa fonte di nutrimento per la fauna alpina, in particolare per la nocciolaia, quasi unico uccello, che disperdendo i semi, contribuisce in modo determinante alla diffusione della specie.

 

Il Pino mugo 

Il pino mugo è forse il più umile, ma anche il più tenace, tra i grandi protagonisti arborei delle Alpi. A differenza dei suoi “cugini” alberi, slanciati, cresce basso e contorto, formando cespugli fitti e resistenti che si adattano a versanti ripidi, suoli poveri e condizioni climatiche estreme. Talvolta di modeste dimensioni in altezza, il pino mugo preferisce crescere in estensione orizzontale, coprire ampie superfici, cosiddette mughete, diventando una barriera naturale contro l’erosione e un freno naturale per le valanghe. Presente soprattutto nella fascia subalpina, tra i 1200 e i 2700 metri di quota, il mugo oltre al suo ruolo ecologico, è apprezzato per le proprietà aromatiche, dai suoi rami e aghi, infatti, si ricava l’olio essenziale di mugo, utilizzato da secoli nella tradizione alpina per unguenti balsamici e rimedi contro le affezioni respiratorie. Con le sue pigne, ancora, si può ottenere la tradizionale grappa “al pino mugo” che racchiude in sé, il profumo inconfondibile dell’alta quota.