Realizzata la mappa dettagliata dei canyon sottomarini dell’Antartide

Un team di scienziati ha dettagliato la distribuzione dei canyon sottomarini antartici, evidenziandone il legame con il cambiamento climatico

Fin da bambini si impara, un po’ a menadito, che l’Antartide rientri nella lista dei continenti della Terra. Al di sotto della calotta glaciale, che ricopre circa il 98% del continente, si nascondono paesaggi che ricalcano quelli presenti sugli altri continenti, quali catene montuose, valli, fiumi e laghi subglaciali. E ai margini della piattaforma continentale, esattamente come accade negli altri continenti, si rileva la presenza di canyon sottomarini. Le conoscenze su questo mondo, in gran parte nascosto agli occhi dell’uomo, aumentano di pari passo con il miglioramento delle tecnologie che consentono agli scienziati di indagarlo.

Di recente, un team di scienziati è riuscito a realizzare una mappa dettagliata dei canyon sottomarini dell’Antartide, identificando un totale di 332 reti, un dato pari a circa 5 volte quanto riportato in ricerche precedenti. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Marine Geology, risulta di particolare interesse, in quanto queste fitte reti di valli sottomarine influenzano in maniera diretta la stabilità della calotta glaciale antartica.

 

Quanti canyon sottomarini ci sono in Antartide?

I canyon sottomarini sono profonde incisioni della superficie terrestre, presenti lungo tutti i margini continentali, che agiscono da elemento di connessione tra la piattaforma continentale e la piana abissale. Ricordano nella loro conformazione le valli fluviali, con la caratteristica forma a V e ripidi pendii laterali, e come nel caso delle valli fluviali, nascono per effetto di una erosione, causata dalle cosiddette “correnti di torbidità”. Svolgono un ruolo essenziale nella creazione e conservazione di habitat sottomarini, in quanto favoriscono il trasporto dalle zone costiere verso le profondità oceaniche di sedimenti e nutrienti. Rovescio della medaglia, da questo trasporto non sono esclusi gli inquinanti, quali le microplastiche.  

Il primo inventario dei canyon sottomarini, su scala globale, è piuttosto recente, risale infatti al 2011. Si stima che il loro numero totale si aggiri sui 10.000 e, secondo i dati a disposizione, possono raggiungere lunghezze di un centinaio di chilometri e oltre 3.000 metri di profondità. Si tratta di dati parziali, considerando che soltanto un 27% circa del fondale marino del nostro Pianeta è stato mappato nel dettaglio, ragione per cui il numero potrebbe essere decisamente più elevato. Lo studio condotto dai ricercatori RiccardoArosio (University College Cork) e DavidAmblàs (Università di Barcellona), consente di incrementare le attuali conoscenze sulla distribuzione e le caratteristiche dei canyon dell’Antartide, e in senso più generale, di queste valli sottomarine celate ai nostri occhi. 

Il team di scienziati ha utilizzato come fonte di dati, la versione aggiornata al 2022 della International Bathymetric Chart of the Southern Ocean (IBCSO), ovvero il database digitale contenente informazioni sulle profondità dell’Oceano Australe. Mediante applicazione di una metodologia semi-automatica di analisi dei dati idrologici, sono stati in grado di mappare in maniera dettagliata, e di definire le caratteristiche morfometriche dei canyon di pertinenza dell'Antartide occidentale e di quella orientale. In totale sono state identificate 332 reti, costituite da incisioni principali che possono raggiungere una profondità di oltre 4.000 metri, e canali secondari (in gergo tecnico, “gullies”) di dimensioni ridotte, entro poche decine di chilometri di lunghezza e qualche decina di metri di profondità, che si sviluppano attorno o anche all'interno dei canyon. 

Tra le due aree del continente si segnalano evidenti differenze in termini di morfologia dei canyon, da imputarsi alla diversa storia geologica e glaciologica. L’Antartide orientale presenta infatti reti di canyon più ramificate e peculiari. Presentano infatti caratteristici profili a U, dunque maggiore concavità, come probabile effetto dell’attività glaciale prolungata nella zona e di una significativa influenza di fenomeni non solo di erosione ma anche di deposizione. Risultano inoltre essere molto più estese di quanto non accada nell'Antartide occidentale. Qui si ritrovano infatti reti più brevi e più simili a quanto osservabile negli altri continenti, meno ramificate e con avvallamenti caratterizzati dai “classici” profili a V. 

A preoccupare gli esperti sono in particolare i canyon altamente dendritici e concavi dell'Antartide orientale, che potrebbero avere una influenza sulla stabilità della calotta di ghiaccio, maggiore di quanto finora ipotizzato.

 

Il legame tra canyon antartici e cambiamento climatico

I canyon antartici giocano infatti un ruolo nella regolazione del clima. Entrano infatti in gioco negli scambi di masse d'acqua, a differente temperatura, tra le profondità oceaniche e la piattaforma continentale, influenzando le interazioni tra oceano e ghiacci polari e la stabilità della calotta glaciale. In termini semplificati, in funzione della loro conformazione, sono in grado di agire da canali di trasporto delle acque più fredde superficiali, verso gli abissi oceanici, caratterizzati dalla presenza di acqua più calda e salata (detta “acqua profonda circumpolare”) e di favorire il rimescolamento delle due masse. Tale meccanismo influenza positivamente la ventilazione nelle profondità oceaniche. 

Al contempo, agevolano la risalita dell’acqua profonda circumpolare, quindi più calda, verso la piattaforma continentale, come anticipato, caratterizzata da acqua più fredda, in funzione della presenza del ghiaccio continentale e marino. Questo movimento di masse di acqua calda verso la superficie, ha come conseguenza la promozione della fusione basale della calotta glaciale. E come spiegato da Amblàs e Arosio, quando le piattaforme si indeboliscono o collassano, il ghiaccio continentale scorre più rapidamente verso il mare, contribuendo in maniera diretta all'innalzamento del livello globale dei mari.

Lo studio evidenzia che gli attuali modelli di circolazione oceanica, come quelli in uso da parte dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), non riproducono in maniera fedele e accurata i processi fisici che si verificano a scala locale, come la sopracitata miscelazione verticale o la ventilazione delle acque profonde. Non tenere conto di tali meccanismi nella elaborazione di modelli previsionali, riduce l'attendibilità dei modelli nel prevedere cambiamenti nelle dinamiche oceaniche e climatiche. Da cui l’importanza di studiare, sempre più nel dettaglio, distribuzione e caratteristiche dei canyon sottomarini.