Robert Antonioli © Ski TrabRobert Antonioli ha vinto l'ultima edizione del Mezzalama insieme a Michele Boscacci. Per Robert è la terza affermazione in una delle gare più ambite del panorama scialpinistico. Ha corso la prima nel 2011, quando ancora le squadre erano composte da tre elementi. “Questa era una edizione particolare, con due componenti. La cordata è più facile da gestire, in discesa come in salita, ma dall'altro lato aumentano i papabili per il podio".
Che gara è stata sul fronte dei tempi?
È difficile rispondere, la condizione del manto nevoso influisce e poi comunque il percorso in questa edizione aveva meno dislivello, circa 300 metri in meno, mentre in quella precedente avevamo allungato fino alla Roccia Scoperta del Col del Lys. A ogni modo abbiamo trovato condizioni spettacolari sia per la neve che per il clima, non abbiamo messo nemmeno i sovraguanti.
In discesa © Ski TrabÈ cambiato tanto l'innevamento dalle prime edizioni che ricordi?
Tanti anni abbiamo corso con la giacca e pantaloni. In alcune edizioni non si scendeva fino al Quintino Sella, si attraversava su alcune seraccate, ora per la sicurezza non si può più. E poi, dopo il naso del Lyskamm non si mettevano più le pelli. Ora vedi tanto la differenza. Magari, se c'è una nevicata abbondante, come quest'anno, maschera i buchi. Ma la differenza è che una volta c'era il ghiaccio, ora è innevato. D'altronde io mi accorgo qua sul ghiacciaio dei Forni di quanto sia cambiata la situazione, di come il ghiacciaio si ritira. Tanti itinerari che prima facevo senza fare fatica, ora devi portarti picche e ramponi. Da scialpinistica diventa più alpinistica. In sé non è nemmeno brutto, ma chiaramente, dal punto di vista climatico, è grave.
È vero che la vittoria è arrivata in maniera un po' inaspettata?
Non ci avremmo scommesso un euro, era difficile anche solo pensare di fare una così bella gara. Già sulla prima salita però eravamo in prima e seconda posizione con i francesi. Loro hanno vinto tutto negli ultimi due anni. Dopo il Quintino Sella ci hanno staccato di trenta secondi, ma si vede che hanno forzato un po' troppo e hanno bruciato un po' la gamba. Sapevamo che sono fortissimi in discesa, prima dell'ultima avevamo un minuto e solo 17" all'arrivo. È stata una delle edizioni più belle e corse meglio.
Come vi siete divisi il "lavoro"?
Con Michele si parla poco perché manca il fiato, ma nei punti dove si fa più fatica ci si dà una mano. Quest'anno il Bosca ha voluto stare davanti e viste le rispettive condizioni ci stava, anche se in discesa magari le faccio meglio io le linee. Alla fine, dopo tanti anni a battagliare uno contro l'altro, ci conosciamo così bene che viene tutto piuttosto naturale.
Quali sono le tue vittorie a cui sei più affezionato?
Direi le quattro coppe del mondo generali, è uno sforzo che dura tutto l'anno, un impegno che ti porti dietro giorno dopo giorno. In realtà poi in casa ne tengo solo una, perché altrimenti uno sta lì a guardarla e ci si siede sugli allori. Le altre sono giù da mia mamma, anche perché poi bisogna spolverarle. Le grandi classiche le ho vinte tutte a parte il Tour du Rutor, ma è nel mirino, ci proveremo.
Quale è stato il tuo percorso nello scialpinismo?
Le mie prime uscite le ho fatte con mio papà qui a Valfurva, avevo ancora gli scarponi in cuoio e gli sci a sigaretta. Poi mi sono inserito con i ragazzi del CAI e devo ringraziare lo Sci Club Alta Valtellina, mi hanno fatto appassionare. Io venivo dalla discesa, allenamenti tra i pali, all'inizio svicolavo dalla fatica, ma poi ho trovato un buon clima e piano piano mi sono fatto prendere. Poi sono entrato in nazionale e da 13 anni sono nel centro sportivo dell'Esercito. Tra le varie cose ho avuto la sfiga che c'era Boscacci [ride, ndr] e ci siamo ritrovati come due galli nello stesso pollaio. A furia di prendere e dare sberle però ci siamo migliorati vicendevolmente.