Sandro Maranetto in vetta al Monviso
Traversata della Cresta Berhault - Foto FB Sandro Maranetto
Traversata della Cresta Berhault - Foto FB Sandro Maranetto
Traversata della Cresta Berhault - Foto FB Sandro Maranetto
Cresta Berhault - Grafica a cura di ©Alessandro CerottoDomenica 7 settembre 2025, un giovane alpinista piemontese raggiungeva incredulo la vetta del Monviso, dopo aver affrontato in sole 6 ore 35 minuti e 28 secondi, la Cresta Berhault, lunga e impegnativa via alpinistica che conduce dal Colle delle Traversette alla vetta del Re di Pietra. Il tempo realizzato dal venticinquenne Sandro Maranetto, che va a infrangere le 8 ore impiegate nel 1990 da Riccardo “Riky” Maero, detentore del precedente FKT, rappresenta un record non preventivato. “Fare il record non era nei piani”, si legge nel resoconto della traversata, condiviso da Maranetto sui social. Lo abbiamo contattato per farci raccontare il vero significato di questa avventura in solitaria.
Partiamo dal protagonista di questa impresa: chi è Sandro Maranetto e qual è il suo rapporto con la montagna?
Sono un membro del Soccorso Alpino della Guardia di Finanza, ho terminato qualche mese fa l'anno di addestramento in Trentino e attualmente sono assegnato alla stazione di soccorso di Bardonecchia. Con il lavoro che faccio risulta già chiaro che la montagna per me non è un passatempo. Mi sono avvicinato alla montagna fin da piccolo, perché i miei genitori mi portavano in quota e devo ammettere che, a quei tempi, non mi piacesse particolarmente la fatica. Crescendo ho iniziato a scalare, prima in palestra poi in falesia, e poi sono venute le vie lunghe, l’alpinismo, lo scialpinismo, lo sci ripido. Con il tempo la montagna è diventata il luogo in cui riesco a trovare me stesso. Ho un animo riflessivo, oserei dire tormentato (ride), e in montagna riesco a sentirmi libero, a essere me stesso. Per me tutto ruota attorno al concetto di libertà e forse anche per questo tendo ultimamente ad andare da solo. La ricerca di una libertà effimera, perché poi si torna a casa. Sottolineo che non mi cimento in imprese estreme, quel che faccio è tutto molto calcolato. Quando ti muovi da solo, devi cercare di limitare quanto più possibile gli imprevisti, perché sai che altrimenti dovrai risolvere da solo le problematiche.
L’idea traversata della Cresta Berhault è nata già in partenza come avventura in solitaria?
L’idea della traversata della Cresta Berhault era lì nella mia mente da anni, da prima che scoprissi questa mia attitudine per l'andare in solitaria. Dunque l’avrei fatta volentieri anche in compagnia, e non necessariamente in giornata. Però non c'è stata occasione, un po’ per ragioni di tempo - sono stato prima a studiare in Francia e poi a fare il corso da soccorritore in Trentino - , un po’ per la difficoltà di trovare compagni d’avventura perché ho vari amici che si sono allontanati dal mondo della montagna, vuoi anche perché è una traversata non così immediata da organizzare. Alla fine, considerando anche questo mio avvicinamento alla montagna in solitaria, ho deciso di andare da solo.
Cercavi un record?
Il record fa notizia ma non era quello l’obiettivo per cui sono partito. La sera prima ero al rifugio Giacoletti, si parlava dei miei programmi, anche per lasciare delle informazioni utili in caso di emergenza, e a chi ha chiesto quanto tempo pensassi di impiegare, ricordo di aver risposto ‘sarebbe un bel risultato metterci meno di 10 ore, non più di 12 ore, se no significa che sto andando lungo’. Sapevo del record di Maero, ma non l’avevo preso in considerazione. C’è chi ha commentato che simili prestazioni non consentano di vivere appieno la montagna. Io sinceramente so solo che ho affrontato la traversata immergendomi nella bellezza e grandiosità di ciò che mi circondava, senza considerare l’orologio.
E cosa cercavi allora?
Premetto che per me ciò che conta in montagna è la simbologia nascosta dietro ogni scelta. Mi piace riflettere sul messaggio che io stesso ricevo dalle esperienze vissute. Questa traversata, che come vi dicevo ha rappresentato per me un piccolo sogno nel cassetto, ha dietro di sé tanta simbologia. Quest'estate volevo tornare sul Monviso, la montagna di casa, dopo un anno in cui sono stato lontano, per completare l'addestramento in Trentino. Nel mentre avevo letto un libro che parlava di Patrick Berhault, l’alpinista francese che ha realizzato la prima traversata in solitaria e invernale della Cresta, che da lui prende il nome, e sono rimasto stregato dal suo modo di concepire la montagna, come espressione di libertà. Per me, come vi dicevo, l'andare da solo equivale al sentirsi liberi, per cui unendo il tutto, ho deciso di tentare la traversata della Cresta Berhault in solitaria, per viverla senza influenze esterne, seguendo semplicemente ciò che ti dicono le gambe, la testa e il cuore, una sorta di omaggio all’essere liberi.
Quanto tempo hai impiegato per pianificare la traversata?
Tra dicembre 2024 e gennaio 2025 ho iniziato a cercare informazioni e relazioni dei vari tratti della cresta, studiandone i tempi, per elaborare nella mia mente tutto il percorso. Poi ogni tanto andavo a sbirciare la montagna, nel tempo libero, senza mai mettermi pressione. Ho aspettato che il momento giusto venisse da sé, che gli astri si allineassero. In estate ho ripreso in mano le relazioni, ho iniziato a guardarle con intenzioni più serie, e nel mentre ho visto su un sito meteo che per il primo fine settimana di settembre era previsto l’arrivo di una fase di alta pressione. Mancavano circa due settimane, e mi sono detto ‘aspettiamo e vediamo se arriva’.
E alla fine l’alta pressione è arrivata…
E così è arrivato quel fine settimana di bel tempo assoluto, senza una nuvola sul Monviso da mattina a sera. Ho preparato il materiale, puntando su leggerezza e sicurezza. Ho voluto evitare di portare 20 kg di zaino, anche perché, dai racconti di chi già avesse affrontato la traversata, ho dedotto che il limite maggiore fosse proprio il peso sulle spalle, che ti rallenta e ostacola anche nei tanti passi di arrampicata dell'itinerario, per quanto non siano estremamente complicati. Ho escluso il bivacco sotto le stelle, optando per la notte in rifugio, e così ho potuto alleggerire lo zaino, che alla fine conteneva anche tanto materiale a scopo emergenziale, che neanche ho usato. Altra difficoltà da affrontare è stato l’aspetto logistico, scovare l’itinerario, perché mi sono imbattuto in molteplici relazioni, anche contrastanti tra loro, e in 9 km di cresta, sbagliare direzione è un attimo. Alla fine ho scelto di seguire la relazione quella che mi è sembrata più affidabile e sono partito. Ed è andata bene, avrò impiegato poco più di 15 minuti nella ricerca dell’itinerario, giocando anche un po’ di logica e istinto.
Cosa hai pensato quando hai chiuso alle spalle la porta del Giacoletti?
Prima di partire per il Monviso, di pensieri ne avevo un miliardo. Tra l’altro, il 18 agosto sulla stessa cresta era morto Andrea Biffi, un giovane alpinista cui ho voluto dedicare la mia traversata. Per cui sono stato lì a riflettere sulle potenziali incognite, su come limitare i rischi. Ma una volta arrivato lì è svanito tutto. Sono uscito dal rifugio a mente leggera. Posso dire di non aver pensato a nulla fino alla vetta, e anche dopo in fase di discesa. Il che non significa che ho staccato il cervello, ho pensato solo a quello che stavo facendo, la concentrazione era comunque alle stelle.
E cosa hai pensato una volta raggiunta la vetta?
Quando sono arrivato in vetta ho pianto di gioia, come è naturale che avvenga per effetto dello scarico di adrenalina. Ti rendi conto che è andato tutto bene, ti fermi, torni a respirare con calma. E poi un secondo dopo è arrivata l’incredulità per il tempo impiegato. Gare non ne ho mai fatte, non mi sono mai piaciute, e vi dico che l’orologio che avevo al polso, l’ho acquistato per caso qualche mese fa. Quindi non ero neanche abituato allo stoppare il tempo. Tra l’altro quando sono arrivato alle Cadreghe in circa 5 ore, mi sono fermato a riprendere fiato e, facendo due calcoli mentali sulla base di esperienze pregresse, ho pensato di avere davanti almeno altre 3 ore di traversata. Invece in poco più di 1 ora e venti ero in vetta. Sono rimasto più incredulo per questo che per il tempo totale. In ogni caso non è il cronometro a renderti felice ma quel momento in cui ti rendi conto di aver realizzato un sogno.