Simon Gietl: "Le critiche su Kolibri? Sensazionalismo"

L'alpinista altoatesino ci parla della nuova via aperta sullo Jirishanca. "Abbiamo usato il termine cima est senza doppi fini, non lo usiamo più e non ci cambia niente". Con Huber e Arnold ha diviso la soddisfazione per la linea tracciata: "Bella e impegnativa, potremmo tornare per la libera"

In giorni in cui si parla molto di vette raggiunte o non raggiunte, il senso della misura è anche nel comprendere e trasmettere la differenza tra una questione di sostanza e la mera forma. Il mattino del 15 luglio, Simon Gietl, Dani Arnold e Alexander Huber hanno raggiunto un fungo di neve a quota 6028 metri sulla cresta est dello Jirishanca (6126 metri). I tre alpinisti, dopo avere valutato – a loro insindacabile giudizio- che salire l'ultimo tratto verso la vetta sarebbe stato troppo pericoloso, hanno deciso di fermarsi e scendere. La via che hanno aperto è stata chiamata Kolibri, ha uno sviluppo di 1000 metri con difficoltà fino al grado 8/A2 e in uno dei primi post pubblicati lo stesso Gietl ha dichiarato che la cordata aveva raggiunto la cima est.

Pochi giorni dopo, è uscito un articolo su Climbing Magazine, incentrato sulla decisione dei tre alpinisti di nominare il punto da loro raggiunto come “cima est”. Anthony Walsh ha condannato tale scelta. “Sono rimasto sinceramente deluso dal fatto che questi alpinisti hanno inventato una nuova cima semplicemente per condividere una storia basata su certi standard di successo”. E ancora. “Il loro approccio sembra promuovere una idea pericolosa: hai successo solo se raggiungi la cima”

Walsh è stato comunque scrupoloso: ha contattato Josh Wharton e Quentin Roberts, che nel 2022 hanno aperto due vie diverse sullo Jirishanca, ricavando dalle loro parole che non esiste una vera e propria cima est e ha poi scritto a Dani Arnold, chiedendo spiegazioni. La sua opinione è formata sulla base di informazioni accurate, ma la sua opinione non ci trova in accordo, per le motivazioni indicate nell'attacco dell'articolo. Abbiamo comunque sentito Simon Gietl: per avere un suo parere, ma soprattutto per avere qualche dettaglio in più su una salita di sicuro interesse.


Quando avete deciso di scalare lo Jirishanca? Chi ha lanciato l'idea?

Huber aveva l'idea di tracciare una linea tra la via francese e quella italiana. È qualcosa che risale già a due anni fa, lo aveva detto ad Arnold. Alexander parecchi anni fa voleva fare la via dei francesi in libera e in quell'occasione aveva notato che si sarebbe potuta tracciare una bella via lì vicino. Così ha proposto il progetto a Dani, doveva essere una cosa loro. Poi, l'anno scorso, io ho scalato con Alexander al Sass de la Crusc e con Dani ho fatto il progetto Dolo Extreme. Dopo quelle due esperienze si sono parlati e mi hanno chiesto se volevo unirmi. Per me è stato un grande onore ricevere questa proposta. Per di più sono sempre contento di arrampicare con gli amici, per cui ho accettato molto volentieri.


Qual è stato il primo impatto con lo Jirishanca?

Quando sono arrivato là sotto mi sono sentito davvero molto piccolo.


Ci sono state modifiche rispetto al piano originale?

Abbiamo tracciato una linea che ricalcava più o meno quello che avevamo visto e previsto. La prima parte è stata la più impegnativa tecnicamente, ma ci si poteva proteggere in maniera accettabile, la qualità della roccia era ottima. Nella parte mediana, dove c'era neve, abbiamo salito tre tiri sulla linea degli italiani, era la scelta più logica. A quota 5700 metri, arrivati al secondo bivacco, dove tutte le vie si incontrano, abbiamo deciso di proseguire per la via originaria [Egger/Jungmair, 1957, ndr].


Come avete deciso di rinunciare alla cima?

Eravamo tentati di arrivare sulla vetta principale, mancavano solo 70 metri circa dal punto più alto che abbiamo raggiunto. Ma le condizioni della neve non erano buone. Ne abbiamo trovata in gran quantità, si affondava, si formavano grandi buchi. Sarebbe stato pericoloso proseguire, in una misura che abbiamo ritenuto non valesse la pena. Eravamo contenti di quello che avevamo fatto, perché la linea era bella, abbiamo deciso di scendere.


Cosa puoi dire sul termine utilizzato per descrivere il punto più alto da voi raggiunto?

Ci sono una cima nord e una cima principale: da dove eravamo noi ci sembrava di essere sul punto più alto a est, eravamo sopra la spalla, non abbiamo fatto chissà quali riflessioni. Abbiamo notato che il termine utilizzato ha dato fastidio, non lo abbiamo più usato.


Cosa hai pensato delle critiche ricevute?

Sono rimasto sorpreso inizialmente, non mi aspettavo che avremmo potuto generare contrarietà. Ma si tratta di una storia creata ad hoc, non trovo corretto quello che il giornalista ha fatto. Nell'articolo vengono mostrate anche foto che hanno una prospettiva diversa da quella che potevamo avere noi. Noi abbiamo detto che era la cima est, ma non ci cambia niente dire che non lo è: la via l'abbiamo tracciata. Credo che sia stato fatto tutto per ottenere dei like, è un giornalismo di stampo sensazionalistico, non mi piace. È qualcosa che vuole incitare le persone a mettersi uno contro l'altro.


A distanza di qualche giorno come la vivi?

Mi è venuto in mente quello che diceva la mia nonna: ha sempre detto che la malattia più grande dell'umanità è l'invidia, era saggia. Mi sono fatto una risata, nessuno di noi ci perde il sonno dietro a questa cosa.


Tornerete allo Jirishanca?

Prima di adesso non ci abbiamo pensato molto, ma Alexander potrebbe avere voglia di fare la libera della via. Di sicuro se torniamo non lo facciamo per andare fino in cima. Sarebbe stato bello se fosse venuto con l'apertura, sarebbe stata la ciliegina sulla torta, ma ora non ha importanza.