Tateyama. Foto Camilla Reggio
Mizuzaki wall. Foto Camilla Reggio
Mizuzaki wall. Foto Camilla Reggio
Mizuzaki wall. Foto Camilla Reggio
Il cratere del monte Fuji. Foto Camilla Reggio
Nei pressi bivacco Kita Hodaka. Foto Camilla ReggioIl Giappone, una terra lontana, che non conoscevo e con cui mi sono dovuta adattare in tutto: dal cibo, alla guida, alla cultura e anche al mio modo di andare in montagna. Ora mi trovo a Kanazawa per un progetto di ricerca scientifica, in collaborazione con il Politecnico di Torino, la Kanazawa Medical University e la Chubu University. La mia permanenza è iniziata a fine marzo 2025 e durerà circa un anno.
Nel tempo libero, però, sto scoprendo questo nuovo mondo cercando di conoscere le pareti, l’ambiente e le persone locali.
La prima cosa che ho constatato è che non ci sono le nostre alte pareti rocciose. Sebbene sia un territorio molto montagnoso, si presenta ai miei occhi come una moltitudine di colline boschive. Ma colline non sono: nelle mie zone si arriva fino a 2000-2300 metri ancora con alberi, o meglio piante subtropicali in cui il bambù nano ne fa da padrone. Più di una volta sono salita su per i boschi affrontando dislivelli di 1700 metri, tutti, e dico tutti, in quei boschi ripidi.
Ho girovagato nei weekend per circa cinque mesi tra le montagne e ho vissuto parecchie avventure. Ho salito le tre montagne sacre: il monte Fuji, il Tateyama e l'Hakusan.
Il primo monte salito è stato Tateyama, un'avventura unica. In primis era inizio aprile, la strada che portava su era chiusa e così, per arrivare in cima, bisognava camminare per circa 25 km. Ho diviso la gita in due giorni, dormendo in un bivacco sommerso dalla neve. Qui in inverno cadono metri e metri di neve, cosa che in Italia non ho mai visto: muri di neve così alti a quote tra i 2000 e i 2500 metri.
Per tutto il secondo giorno sono stata accompagnata da un forte odore di zolfo (simile all’uovo marcio), poi ho capito che è una zona di solfatare attive. Durante il trekking ero completamente da sola; ogni tanto scorgevo i lavoratori che rimettevano in sesto la strada, ma eccetto loro non ho incontrato anima viva. In cima un bel santuario e una vista spettacolare tra le vette innevate. Seppur le condizioni fossero perfette per lo scialpinismo, non vi era alcuna traccia di passaggio.
Poi vorrei menzionare il cuore dell’arrampicata giapponese: Mizugaki e Ogawayama, due luoghi distanti circa un’ora l’uno dall’altro, dove tutti gli arrampicatori giapponesi vanno per scalare. Che tu venga da Kanazawa, Tokyo, Osaka, dal nord o dal sud del Giappone, qui ci si ritrova per una buona scalata.
Siamo a quota 1000-1600 metri, ideale per le mezze stagioni, perfetta per gli amanti del trad, delle placche a spalmo di granito o dei boulder. Le vie a tacche o in strapiombo sono casi rari. Qui è tutto una successione di guglie, e sovente in una giornata non si resta nello stesso posto, ma si cammina per spostarsi da un torrione all’altro. Mizugaki è più selvaggio e severo rispetto a Ogawayama, e proprio per questo mi ha conquistata. Sarà per la scalata impegnativa e affascinante, ma ora sono ispirata a voler provare quest’autunno qualche bella via di soddisfazione! Per ora ho esplorato e salito le vie classiche e qualche bel tiro trad qua e là.
Da metà giugno ho anche una socia quasi fissa, si chiama Nobuko ed è sempre carica per giri lunghi e avventurosi. L’ho conosciuta in palestra qui a Kanazawa e mi ha mostrato delle foto in cui risaliva dei fiumi scalando, una specie di torrentismo al contrario. Così mi ha fatto conoscere questa fresca e stravagante disciplina, un nuovo modo di andare in montagna. Abbiamo risalito assieme due fiumi, entrambi caratterizzati da lunghi cammini immersi nell’acqua, con qualche risalto roccioso da superare, in cui l’acqua in faccia è assicurata!
Abbiamo fatto anche dei bei giri nelle montagne del centro-nord (zona Takayama–Matsumoto), dove ho scoperto una montagna chiamata Shizuka, un paradiso per l’arrampicata su misto (forse un po’ meno per quella estiva), ma sicuramente un luogo suggestivo tra le foreste giunglose.
Con lei ho poi esplorato altre montagne delle Alpi del Nord, salendo due vie sulla parete nord del Mt. Kita Hodaka a circa 3100 metri. Le vie erano su buona roccia, con un paesaggio dal sapore di vera montagna in un ambiente splendido. L’unica nota è che le vie erano corte, circa 100-150 metri, e per arrivare alla base parete abbiamo affrontato un dislivello di circa 2300 metri, bivaccando vicino alla parete il giorno prima. Forse qui, a posteriori, mi sono resa conto di quanto noi siamo fortunati sia per le pareti sia per la facilità d’accesso!
Sono contenta di condividere le mie avventure in montagna con un’amica locale, così apprezzo anche le abitudini giapponesi del dopo gita: arrivati alla macchina, la prima cosa è pensare a quale sia l’onsen più vicino (le terme naturali), e non a dove andare a bere una birra o mangiare un panino — anche dopo una gita di 2000 metri di dislivello! Solo dopo esserci lavati e puliti a puntino, si pensa a colmare quel buco allo stomaco.
Ora, dopo un salto in Italia sulle mie care Alpi, sono tornata in Giappone più consapevole del territorio e delle sue possibilità, carica per nuovi trekking e scalate autunnali, pronta a scoprire il Giappone in veste invernale e la sua famosa super powder, ma anche curiosa di scovare le sue cascate di ghiaccio!