Sulle tracce di Georg Winkler, perduto sul Weisshorn

Nel 1888 Georg Winkler affronta da solo le pareti ghiacciate delle Alpi occidentali, scomparendo sul Weisshorn. I suoi resti riaffiorano 68 anni dopo, testimoniando il mito di un giovane scalatore dal destino tragico.
Georg Winkler © Wikimedia Commons

Nel 1888 Georg Winkler è attratto dalle Alpi occidentali. Sogna pareti più alte e ghiacciate delle guglie dolomitiche. È affascinato dalle imprese solitarie di Eugen Guido Lammer sullo Zinalrothorn e sul Weisshorn, i due giganti del Vallese che superano i quattromila metri e si trovano a centinaia di chilometri dalla Baviera. Li raggiunge, li corteggia, si fa sedurre. Ma Lammer ha trovato la montagna in condizioni decisamente migliori di quelle in cui si imbatte Winkler, come annota lo stesso professore: “Il 1888 è stato un anno pessimo per il tempo, la qual cosa triplicò la difficoltà di ogni salita; proprio per questo la scalata compiuta da Winkler sul Rothorn di Zinal dal ghiacciaio del Mountet è in assoluto una delle più pericolose imprese alpinistiche che siano mai state portate a termine”. Eppure il ragazzo non è contento perché gli manca il Weisshorn, una delle cime più belle e difficili delle Alpi, scalato da Tyndall e Bennen nel 1861. Da lontano sembra un vascello bianco che veleggia nel cielo del Vallese, dalla valle di Zinal è una luminosa muraglia di ghiaccio e roccia, misteriosamente armonica e leggera. Ci si arriva per pascoli e morene, poi il breve ghiacciaio e, d’improvviso, la parete senza fine. Il 15 agosto Georg scrive all’amico Arthur Dietz: “Il sole sul ghiacciaio bruciava. Mi sono cotto e arrostito sulla roccia. Viso e mani bruciano come fuoco ed esigono riposo. Stammi bene ed accetta una stretta di mano dal tuo Georg”. Passa l’ultima notte al dolce alpeggio dell’Arpitetta, un mare d’erba in cui pascolano le vacche e su cui la massa chiara del Weisshorn splende e incombe anche nel buio. Il 16 agosto parte prima dell’alba, affronta la parete e sparisce. Di lui resta solo la firma all’Hotel Durand di Zinal, dove si qualifica come “studente in medicina”. Era il suo futuro prossimo.

Per fortuna i ghiacciai restituiscono i corpi e quello di Georg torna a galla nell’estate del 1956, a sessantotto anni dalla tragedia. Il piccolo scalatore di Monaco è cresciuto anche dopo la morte, racconta il biografo Dante Colli: “Il 29 luglio 1956 due alpinisti senza guida scoprono i resti ai bordi del ghiacciaio del Weisshorn… Il corpo è intatto e ben ordinato; ha subito solo un prolungamento di venti centimetri sotto la pressione dello scivolamento a valle dei ghiacci. Il suo vestito e l’attrezzatura alpinistica sono praticamente scomparsi. Si rinviene quello che rimane della sua corda (alcuni spezzoni marci), il cappello di feltro alla tirolese, gli scarponi chiodati, una pipa, uno straccio con una cinghia di cuoio, il portamonete contenente otto monete d’oro svizzere oltre a valuta tedesca e belga. Nel suo portafoglio viene ritrovato il conto dell’albergo di Zinal, documento che ne consente l’identificazione…”.