Le lunghe code alla funivia del Seceda
Le lunghe code alla funivia del SecedaMigliaia di turisti in attesa, ordinatamente in coda per salire al Seceda (Ortisei, Val Gardena). Una visione che potrebbe apparire come un successo. Un trionfo dell’indotto economico, una vittoria del marketing territoriale.
Il video che immortala la folla, un serpentone umano tra le montagne, è diventato virale nei giorni scorsi sui social. Ma ciò che ci mostra non è tanto la bellezza del luogo, quanto l’ipertrofia di un fenomeno: l’overtourism. La montagna come sfondo, cornice da cartolina, sfondo per un selfie. E nient’altro.
Davvero è colpa di Tim Cook?
Alcuni attribuiscono l’origine dell’assalto al Seceda, con un certo paradosso, a una foto di Tim Cook, CEO di Apple, scattata nell’estate 2023. Un’immagine vista da milioni di persone dove non c’è nessuna coda o sovraffollamento, solo lo splendido panorama che conosciamo. Dopo la pubblicazione, secondo alcuni media, sarebbe partito il passaparola che avrebbe portato all’affollamento che stiamo osservando oggi. Sostengono, essenzialmente, che il Seceda sia diventato virale.
Ora, lo scatto di Cook ha sicuramente innescato un’ondata di curiosità globale. Ma quel gesto è stato solo una miccia, non l’incendio. L’origine vera sta altrove: nel nostro modo di concepire il viaggio oggi, nella fame insaziabile di “luoghi da vedere” invece che vivere, nel turismo ridotto a performance digitale. Cook ha messo in vetrina un paesaggio mozzafiato, certo, ma la vera responsabilità è collettiva. È culturale.
È colpa di un sistema che misura il successo turistico in numeri, non in sostenibilità. È colpa di un certo marketing territoriale che promuove le montagne come si fa con i luna park. È colpa di noi tutti, quando trasformiamo l’esperienza in una lista di cose da spuntare e condividere. In questo scenario, il messaggio che da sempre arriva dal CAI suona ancora più attuale: la montagna non si conquista, si ascolta. Ci si avvicina con passo lento, senza fretta, con rispetto. Non è un bene da consumare, ma un luogo da comprendere.
Cook ha fatto quello che fanno ogni giorno milioni di persone: ha fotografato qualcosa di bello. È il mondo attorno che ha perso l’equilibrio tra racconto e rispetto.
Quindi no, non serve un capro espiatorio. Serve un cambio di passo. Perché il vero problema non è chi ha acceso la torcia, ma perché siamo tutti così affamati di luce da bruciare anche i boschi pur di ottenerla.
L’invasione gentile
Centinaia di persone ogni ora salgono sul Seceda. Voci, droni, selfie stick, tutto per la foto perfetta. La situazione è talmente fuori controllo che la Provincia autonoma di Bolzano sta correndo ai ripari: si parla di contingentamento, prenotazioni obbligatorie, limiti massimi di accesso. L’assessore provinciale per il turismo, l’agricoltura e le foreste della Provincia di Bolzano, Luis Walcher parla apertamente di “ripercussioni gravi sull’ambiente e sulla qualità della vita”. Il presidente della Provincia, Kompatscher è netto: “Non si può triplicare la portata della funivia”.
Sicuramente contingentare gli accessi è un inizio. Ma non basta. Serve un nuovo modello di turismo, meno “istantaneo” e più consapevole. Serve una nuova narrazione della montagna, non come parco giochi verticale ma come ecosistema fragile e vivo. Una narrazione che molti alpinisti, escursionisti e volontari del CAI promuovono da tempo: la montagna come luogo da abitare con rispetto, da conoscere camminando, da proteggere attraverso scelte consapevoli. Perché solo con stili di vita più sobri e meno invasivi potremo continuare a goderne senza distruggerla.