Tra memoria e futuro sulle montagne del Gennargentu

Sole e sudore sui tornanti impervi. È stato questo il segno di una giornata che ha unito storia, spiritualità e comunità. Lassù, tra i rilievi del Gennargentu, il pensiero corre inevitabilmente ai conflitti e alle distruzioni che segnano il nostro tempo. Eppure, in quella montagna aspra e brulla, si è respirata una pace autentica.

 

A cura di Matteo Marteddu

Tra Don Vinante e Don Giuliano, in un simbolico abbraccio, si sono incontrate le eredità di mondi che un tempo si guardavano con diffidenza: la Chiesa e i promotori della breccia di Porta Pia. Al loro fianco, nei nomi sabaudi di Lamarmora e Quintino Sella, la memoria delle radici del CAI si intreccia con quella della storia d’Italia.

A custodire e a rendere vive queste terre sono i sindaci e le comunità di Arzana, Desulo, Fonni e Villagrande. Popoli e pastori che non solo proteggono, ma si fanno artefici di vita in vallate che il progetto del CAI ha contribuito a valorizzare, tra Seardu, Ruinas, Paulino e S’Arena. Le fasce tricolori, presenti a testimoniare gratitudine, hanno ricordato come la montagna non sia solo scenario naturale, ma parte integrante della vita civile e culturale.

Qui la ricerca storica si mescola con quella spirituale. Come gli archeologi che a Is Forros e Ruinas riportano alla luce la sacralità dei pozzi nuragici, anche i camminatori di oggi scavano nei silenzi della natura per ritrovare senso e memoria. Diego Magliocchetti ha raccontato il sussulto interiore che questi luoghi suscitano: non semplici paesaggi geofisici, ma spazi dell’anima.

Sul Sentiero Italia, le bandierine del CAI sventolano ancora nonostante le intemperie, mentre il rifugio Lamarmora, ormai ridotto a un cumulo di pietre dal 1900, continua a parlare con la sua presenza muta. Camminare qui significa intrecciare fatica, zaini e pensieri, lasciandosi guidare oltre gli orizzonti.

E da lassù, come sempre, la Regina Perda Liana osserva silenziosa, custode eterna di un mondo che chiede di essere ascoltato.