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Foto di Mario da PixabayAgli inizi del mese di agosto, nell’ambito del progetto Interreg ALCOTRA ACLIMO, avviato nel novembre 2023 per affrontare le sfide del cambiamento climatico sulle Alpi, con particolare riferimento alla riduzione delle risorse idriche, veniva pubblicato un decalogo. Un opuscolo, di facile fruizione, contenente un elenco di quelle che potremmo definire buone norme per contrastate la carenza di risorse idriche in alpeggio.
A distanza di una manciata di giorni dalla pubblicazione del documento, intitolato nel dettaglio “Adattarsi alla carenza d’acqua in alpeggio – Catalogo delle pratiche 2025”, disponibile per consultazione e download sul web, arriva da Coldiretti un allarme, che evidenzia quanto l’acqua rappresenti una risorsa di primaria importanza per la sopravvivenza della tradizione stessa dell’alpeggio.
“Scarseggia l’erba in montagna e per le mucche la situazione inizia a farsi critica”, denuncia la Coldiretti Torino, segnalando che le ondate di calore che si sono verificate tra fine giugno e inizio luglio, associate anche a venti di moderata intensità, hanno portato a conseguenze pesanti sulla stagione dell’alpeggio. I pascoli delle valli torinesi, dove greggi e mandrie vengono condotti generalmente tra maggio e settembre, per consentire agli animali di trascorrere i caldi mesi estivi su prati caratterizzati da abbondanza di cibo fresco, risultano poveri di erbe montane.
“Le erbe montane sono fiorite e poi maturate con largo anticipo mentre i margari salivano negli alpeggi”.
All’arrivo in quota, il bestiame ha trovato sostanzialmente l’erba già in corso di ingiallimento. Ne è conseguito che “ad appena metà stagione manca già l’alimentazione naturale per gli animali e sicuramente mancherà il pascolo di settembre per mancanza di rigenerazione.”
La crisi idrica degli alpeggi
C'è un legame tra maturazione anticipata dell’erba e carenza di acqua? Non diretto, ma i due fattori si intrecciano tra loro in quanto, come evidenziato da Coldiretti, una volta seccata l’erba cresciuta a inizio estate, in mancanza di una idonea irrigazione dei pascoli, non è possibile aspettarsi una ricrescita delle erbe.
La necessità di disporre di acqua in alpeggio, sia per consentire l’abbeveraggio degli animali, ma anche per sostenere la rigenerazione dei pascoli, non è nuova. Oggi il problema si sta intensificando in conseguenza del cambiamento climatico, che sta causando una riduzione della disponibilità di acqua in quota, ma di fatto, sulle Alpi, una rete irrigua già esiste.
La situazione critica che stanno vivendo gli alpeggi in queste settimane centrali dell’estate ripropone, come dichiarato dal presidente di Coldiretti Torino, Bruno Mecca Cici “l’importanza di riaprire la fitta rete irrigua alpina, oggi completamente abbandonata, fatta di piccole canalizzazioni con le prese nei torrenti che un tempo irrigavano in modo capillare i pascoli”.
La tradizione dell’alpeggio, legata a una filiera produttiva importante, che è quella dei formaggi e latticini prodotti in quota, necessita di interventi urgenti, di una politica oculata, che sostenga e salvaguardi l’agricoltura di montagna.
I dati riportati da Coldiretti, dimostrano quanto le attività produttive legate agli alpeggi, rappresentino una fetta importante della economia agricola del Torinese. “Nelle valli pascolano oltre 35mila bovini, distribuiti in 420 alpeggi provenienti da 789 allevamenti di pianura. A questi si aggiungono gli oltre 44mila ovini e distribuiti in 200 alpeggi”, si legge nelle dichiarazioni dei giorni scorsi - Nelle vallate piemontesi i bovini sono oltre 96mila mentre gli ovicaprini superano quota 105mila.”
Una cifra estremamente elevata di animali, che salgono in quota accompagnati da circa 3000 addetti alla pastorizia.
Circa metà dei bovini condotti in quota è rappresentata da bovini da carne. L’altra metà è composta da bovine da latte che, in una sola stagione d’alpeggio, si stima possano produrre oltre 10 milioni di litri di latte, a partire dai quali si arriva a una produzione di oltre 80.000 forme di formaggio stagionato. Formaggi anche molto noti e prelibati, come la Toma, il Cevrin o il Blu erborinato. Oltre ai formaggi, si produce il burro, circa 200.000 panetti da mezzo Kg per stagione. Un burro speciale in quanto ricco in vitamina A, E e flavonoidi.
Per comprendere il valore economico delle attività casearie svolte in quota, la produzione di formaggio e burro vale circa 7 milioni di euro.
A rendere ulteriormente preziosa l’economia legata agli alpeggi, come evidenziato da Coldiretti, è che questa tradizione si trasmetta di padre in figlio. Sono tanti i giovani che decidono di seguire le orme paterne, salendo in quota con tanta voglia di lavorare e di portare innovazione. I giovani sono in grado di reinventare l’attività casearia, senza alterarne qualità e tradizioni, aggiungendo servizi per il turismo o impegnandosi nella manutezione ambientale. A maggior ragione, diventa essenziale che la politica si interessi del settore.
"La pastorizia montana ha bisogno di sostegni per non rischiare l’abbandono degli alpeggi – conclude Coldiretti - . Non possiamo immaginare le conseguenze di un’eliminazione dei premi europei PAC che rischiano di essere cancellati dalla Commissione europea che cerca soldi per il riarmo. Ai margari va affidata la manutenzione del territorio montano così come va promossa la filiera del latte con campagne di promozione sul valore nutrizionale delle proteine animali e dei prodotti ottenuti dal pascolo delle erbe di alta montagna. Inoltre va promosso il soggiorno in agriturismo d’alpeggio e l’acquisto dalla vendita diretta dai pastori. Ma in generale serve un’attenzione forte verso l’agricoltura alpina e promuovere le spinte all’innovazione. Se dovesse sparire alle nostre montagne rimarrebbero soltanto il dissesto, lo spopolamento, l’impoverimento economico”.