Di Dario Bubola
Val Giralba, dopo la prima rampa © Dario BubolaParto presto, come mio solito, per godere del silenzio e della solitudine. Subito il sentiero si fa irto e faticoso. Stretti tornanti salgono il bosco e in pochi minuti la vista si fa panorama con in basso il caseggiato di Giralba, ultime case di Auronzo andando verso Misurina, dove si lascia l’auto. La prima parte mi mette alla prova, ma sarà lo scotto da pagare per entrare nel pieno della Val Giralba. Dopo un’oretta, infatti, riprendo fiato e lo sguardo finalmente si alza verso l’anfiteatro che si estende tutto attorno. Le pareti si susseguono, sulla destra la Croda di Ligonto, domina il mio passo e osserva silenziosa ed opprimente. Davanti il massiccio di Cima Bagni e le cime del Giralba. In mezzo la valle Stalata, dove lingue di neve si fondono all’inesorabile sole loro giustiziere formando cascate e alimentando le acque che scendono impietose. E lo sguardo si innalza fino alle guglie più aguzze che chiudono l’orizzonte lontano.
Si attraversa il torrente Giralba e si arriva al Pian de le Saliere dove ci si può riposare. Una fermata è d’obbligo ammirando la maestosità del luogo. Sulla sinistra si scorge la valle che porta fin su alla forcella Giralba, dove era posizionato il fronte italiano nella Prima Guerra Mondiale, e si comincia a delineare la forma di un altro mostro sacro: la Croda dei Toni.
Riprendo il sentiero passando accanto a fioriture colorate e rimango colpito soprattutto dal rosa tenue dei rododendri nani. Chiazze di dolcetta tra giganti di pietra.
Il passo rallenta di nuovo, dapprima tra il bosco, lasciando poi spazio ad un incantevole pascolo finale. Mi fermo ad ammirare il paesaggio e rimango strabiliato, non dalla fatica ma da tanta bellezza.
Passando accanto al suggestivo Lago Nero, ancora parzialmente ghiacciato, arrivo, dopo tre ore e quasi 1400 metri di dislivello, al rifugio Carducci a 2297 metri di quota. Carducci sì, come il poeta Giosuè Carducci della famosa “San Martino” che tutti conosciamo!
E dedica al rifugio non poteva che essere più appropriata. Non soltanto perché il paesaggio lassù è poesia ma anche come ricordo del caro poeta.
Carducci infatti soggiornò due volte nelle valli dolomitiche. La prima nel 1886 a Caprile, a due passi da Alleghe, dove manifestò tutta la sua sorpresa e meraviglia nell’ammirare la natura e “l’incanto di fronte a montagne belle come opere d'arte”. Caprile, riconoscente, nel 2015 gli ha dedicato un sentiero che passa tra l’altro accanto ad un abete rosso sotto il quale, leggenda narra, Giosuè Carducci abbia sostato.
Il secondo soggiorno avvenne invece nel 1892 a Pieve di Cadore, ad Auronzo e a Misurina, dove compose a settembre l'ode “Cadore”, una poesia lunga uscita nello stesso anno, che vuole mettere in chiaro fin da subito la prostrazione verso la natura:
“Sei grande. Eterno co ’l sole l’iride
de’ tuoi colori consola gli uomini,
sorride natura a l’idea
giovin perpetüa ne le tue forme.”
Il poema scorre, tra storia antica e contemporanea, ricordando Venezia, Vecellio e Pietro Calvi e nominando le Marmarole, il Pelmo e l’Antelao.
Rimango solo, accanto al rifugio ancora chiuso, in silenzio ma scaldato del sole, ad ammirare le crode che mi stanno attorno.
Il tempo scorre e non voglio scendere.
Il tempo scorre e non voglio pensare.