Whymper e Croz verso l’ignoto: il sogno dell’Aiguille Verte

Nel giugno 1865 Edward Whymper e Michel Croz compiono la storica prima ascensione delle Grandes Jorasses, tappa decisiva nella loro corsa verso le grandi vette del Monte Bianco. Tra nebbie e ghiacci si apre un nuovo tempo per l’alpinismo.
Edward Whymper

Alla fine di giugno del 1865 Edward Whymper ha Michel Croz tutto per sé e intende approfittarne. Il 23 giugno sono insieme sulla cima del Mont de la Saxe, proprio in faccia al Monte Bianco. Studiano le bianche e inviolate Grandes Jorasses, che a loro volta, come nelle scatole cinesi, dovranno servire da trampolino per la seducente Aiguille Verte in terra francese. L’appetito viene mangiando e nel 1865 Whymper ha una fame da lupo.

 

Sulla futura Punta Whymper

Partono a mezzanotte dall’albergo Bertolini di Courmayeur, superano Entrèves senza fare rumore, galoppano sul sentiero della Val Ferret, affrontano il pendio meridionale delle Grandes Jorasses e alle quattro del mattino sono già sulla seraccata dove il ghiaccio si stringe tra le rocce, frantumandosi: “Era impossibile tracciarvi preventivamente un itinerario, ma sotto l’abile direzione di Croz traversammo quel passo difficile. Oltrepassatolo volammo ad ali tese e all’una pomeridiana toccammo la vetta delle Grandes Jorasses. Una violenta tempesta si era scatenata nelle regioni alte; nubi tempestose sferzate dal vento s’accumulavano attorno alle vette e ci avvolgevano con turbini di nebbia; separati dal resto dell’universo, potevamo crederci sospesi tra il cielo e la terra che scorgevamo a tratti senza sapere bene a quali dei due appartenessimo”.

Hanno scalato la futura Punta Whymper, 4184 metri, senza raggiungere la vetta più alta, la Walker, e soprattutto senza vedere l’Aiguille Verte per colpa della nebbia. Pazienza.

 

Secondo tentativo all’Aiguille Verte

Ripartono in quattro: Almer, Biener, Croz e Whymper. Per passare sul versante di Chamonix scelgono il Col Dolent, sperando che sia una veloce alternativa al solito Colle del Gigante. Corrono come al solito e alle otto di mattina del 26 giugno sono già in alto sul ghiacciaio, e presto sul colle. C’è un canalone anche dall’altra parte, ma è brutto da paura. Allora Whymper tira fuori il quadernetto da disegno e lascia che le guide fatichino per lui. In fondo è tranquillo perché ha ingaggiato i due migliori professionisti presenti sulla piazza: Christian Almer e Michel Croz. “Legato saldamente alla nostra buona corda di Manilla di sessanta metri, Croz scese fino all’ultimo metro senza cessare un istante di scalinare. Dopo due ore di faticoso lavoro, poté infine ancorarsi a una roccia. Si slegò, tirammo su la corda e scese a sua volta Biener. V’era ora abbastanza posto vicino ad Almer perché io potessi raggiungerlo e gettare uno sguardo sul versante. Per la prima volta nella mia vita contemplai dall’alto in basso una parete di trecento metri inclinata a cinquanta gradi e formata interamente da una crosta di ghiaccio vivo”. Dopo quattro ore di equilibrismi, preghiere e probabili bestemmie in dialetti diversi, raggiungono la prima roccia su cui è possibile sedere; dopo altre due ore saltano la crepaccia terminale e si trovano in cima all’immenso ghiacciaio d’Argentière, uno dei più severi delle Alpi. Alle dieci di sera sono a Chamonix, dove brindano con Champagne d’annata. Whymper si addormenta sulla poltrona dell’hotel con il calice ancora nella mano.