 Lupi nel Parco delle Foreste Casentinesi - Foto ©Graziano Capaccioli
Lupi nel Parco delle Foreste Casentinesi - Foto ©Graziano Capaccioli.jpg) Il Direttore Andrea Gennai - Foto Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi
Il Direttore Andrea Gennai - Foto Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi Lupi nel Parco delle Foreste Casentinesi - Foto ©Graziano Capaccioli
Lupi nel Parco delle Foreste Casentinesi - Foto ©Graziano Capaccioli-.jpg) Bramito - Foto ©Graziano Capaccioli
Bramito - Foto ©Graziano Capaccioli Lupi nel Parco delle Foreste Casentinesi - Foto ©Graziano Capaccioli
Lupi nel Parco delle Foreste Casentinesi - Foto ©Graziano Capaccioli Lupo nel Parco delle Foreste Casentinesi - Foto ©Graziano Capaccioli
Lupo nel Parco delle Foreste Casentinesi - Foto ©Graziano Capaccioli.jpg) Cervo nel Parco delle Foreste Casentinesi - Foto ©Graziano Capaccioli
Cervo nel Parco delle Foreste Casentinesi - Foto ©Graziano Capaccioli Lupo nel Parco delle Foreste Casentinesi - Foto ©Graziano Capaccioli
Lupo nel Parco delle Foreste Casentinesi - Foto ©Graziano Capaccioli Lupo nel Parco delle Foreste Casentinesi - Foto ©Graziano Capaccioli
Lupo nel Parco delle Foreste Casentinesi - Foto ©Graziano CapaccioliNel cuore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, stanno per ripartire le sessioni aperte al pubblico di Wolf Howling, una tecnica di monitoraggio del lupo, basata sulla naturale tendenza della specie a rispondere agli ululati. Una esperienza di citizen science in grado di regalare emozioni e conoscenze. 
Nel periodo tra novembre e gennaio, il Parco dà la possibilità ai cittadini di partecipare a uscite notturne, con l'accompagnamento di guide abilitate, durante le quali vengono emessi ululati registrati per poi procedere all'ascolto delle risposte, che giungono dai lupi presenti sul territorio. Occasioni in cui non si è semplici spettatori ma protagonisti di una attività di ricerca scientifica. Abbiamo chiesto al Direttore del Parco Andrea Gennai, di raccontarci quando e per quali motivazioni l'Ente abbia deciso di aprire al pubblico questa attività di monitoraggio, chiarendoci in cosa consista la tecnica e quali siano i benefici educativi (e gli eventuali rischi) di questa strategia di "gestione partecipativa".
 
Direttore, può spiegarci in cosa consiste la tecnica del Wolf Howling?
All’interno del nostro Parco, il Wolf Howling rappresenta una delle diverse tecniche che utilizziamo per monitorare il lupo, quali l’analisi del DNA da campioni fecali, fototrappolaggio, telemetria, etc. Un monitoraggio che conduciamo in maniera intensa da lungo tempo. La tecnica si basa sulla tendenza che la specie ha nel rispondere agli ululati. Prevede pertanto una emissione di ululati registrati e l’ascolto delle risposte dei lupi presenti sul territorio. Queste risposte diventano base per la raccolta e la elaborazione di una serie di dati, relativi alla popolazione del lupo nel Parco. Annualmente viene definito un calendario di sessioni di Wolf Howling, in collaborazione oggi con i Carabinieri Forestali, in passato con il Corpo Forestale dello Stato, in quanto l’attività veniva svolta inizialmente proprio dal CFS per conto del Parco. Alcune delle date identificate, vengono aperte al pubblico.
 
Quando e perché il Parco ha iniziato a dare al pubblico la possibilità di partecipare al Wolf Howling?
Abbiamo iniziato nel 2016, un momento in cui il lupo era considerato specie di massima tutela, quindi risultava quasi un taboo l’idea di aprire al pubblico le attività di monitoraggio. Nel corso degli ultimi decenni però, la popolazione del lupo nel Parco, più in generale in Italia, è cresciuta in maniera significativa, per cui le cautele possono un po' diminuire. Aprire al pubblico è una scelta che si basa su esperienze già condotte all’estero, di cui è disponibile ampia bibliografia, e posso dirvi che la richiesta è arrivata dal pubblico stesso. Sapendo che nel Parco si conducessero attività di Wolf Howling, molti studenti ci chiedevano di partecipare, per cui abbiamo provveduto a effettuare una attenta valutazione dei benefici e rischi, constatando che il rapporto sia decisamente positivo. Questo perché, se fai vivere una esperienza diretta ai visitatori, il messaggio che vuoi trasmettere arriva in maniera più forte, rispetto che se racconti qualcosa in un’aula. Il Wolf Howling aperto al pubblico non è da leggersi come turismo esperienziale né strettamente come citizen science, per noi è una ricerca di una modalità educativa e di sensibilizzazione che si fonda sulla emotività.
Voglio chiarire un punto, non siamo portatori dell’idea che il lupo sia un animale sacro, rispetto ad altre specie. Siamo portatori di una idea scientifica, del fatto che le specie a rischio vanno tutelate e condotte in una situazione di non rischio. Il lupo finora ha avuto questo bisogno, oggi il suo stato di conservazione è migliorato e i dati che raccogliamo iniziano a servire per gestirlo, per fare prevenzione. Far partecipare le persone al monitoraggio, consente di spiegare questa realtà. Il messaggio con cui vorremmo che andassero via è: "noi dobbiamo avere paura del lupo e il lupo deve avere paura di noi”. Solo in questo modo si assicura una convivenza sana tra le due specie.
 
Il beneficio è dunque di carattere educativo, quali sono invece i rischi? È una attività che può arrecare disturbo alla specie?
Nel Wolf Howling aperto al pubblico deleghiamo le Guide, accompagnate dai clienti, a svolgere una parte del monitoraggio scientifico. La presenza delle persone non è da considerarsi potenziale causa di disturbo dei branchi, perché quasi mai il gruppo si trova nelle vicinanze dei lupi. Il lupo sente l’ululato anche a chilometri di distanza. Ci sono casi in cui il branco risponde da una tale distanza che l’orecchio umano, lì nel punto di emissione, non è in grado di percepire la risposta. I punti in cui le Guide conducono i gruppi non vengono scelti in base a dove si trovano i lupi, anche perché il lupo si sposta molto, ma in quanto punti panoramici, da cui il suono può espandersi, coprendo grandi distanze. Quindi se ho un gruppo di 20 persone (numero massimo di visitatori per singola sessione, ndr) e qualcuno ridacchia, magari si può dare fastidio ad altre specie ma non al lupo. 
I rischi potenziali sono invece due. Il primo è che i partecipanti potrebbero imparare la tecnica e andare a ripeterla in autonomia, fuori contesto. Però, posso essere sincero? Non credo che debbano venire da noi per imparare il fatto che i lupi rispondono agli ululati. Non stiamo svelando misteri! Il secondo è che, nel caso di risposta da parte di lupi da una certa direzione, potrebbe esserci chi decida di andare poi a cercarli in quel punto. Però anche in questo caso, parliamo di una eventualità remota. Dovremmo essere di fronte a dei bracconieri, che decidono di partecipare a tutte le sessioni di monitoraggio per farsi una idea di dove si distribuiscano i lupi. Questo perché durante la singola uscita, abbiamo modo di sapere in quell’istante preciso dove siano i lupi, ma non è che il lupo risponde dalla tana, si sposta sul territorio. 
 
Il Wolf Howling è una tecnica di monitoraggio che può essere svolta solo in un determinato periodo dell’anno?
Oggi diamo la possibilità al pubblico di partecipare in due momenti specifici dell’anno: in concomitanza con il censimento dei cervi a fine estate, e poi nel periodo tra novembre e gennaio. Ma il monitoraggio scientifico, che conduciamo in maniera non pubblica, copre molti mesi dell’anno. A fine estate si è infatti superato quello che è il periodo in cui il Wolf Howling potrebbe arrecare disturbo alla specie, ovvero quando gli animali si trovano in tana perché stanno per partorire, e successivamente quando i nuovi nati escono dalla tana ma sono ancora troppo piccoli per partecipare alla caccia. In queste fasi, gli adulti lasciano temporaneamente i cuccioli in un posto sicuro, detto rendez-vous, e vanno a caccia. I piccoli sanno che devono stare lì e aspettarne il ritorno. Emettere ululati diventerebbe causa di disturbo, in quanto potrebbero essere interpretati dai genitori come presenza di un branco rivale. Il rendez-vous non verrebbe più considerato sicuro e pertanto sarebbero costretti a spostare i piccoli in un altro posto.  Superata questa fase, i lupi iniziano a muoversi sul territorio. Non si tratta di animali con una tana cui fanno ritorno giornalmente. Una notte magari dormono in un punto e una notte in un altro.
 
C’è una ragione precisa per cui le attività aperte al pubblico si concentrano in due finestre temporali?
La prima finestra di monitoraggio aperta al pubblico coincide con il censimento del cervo. La ragione è che si tratta di un’occasione straordinaria. Per farvi capire, nelle sessioni di monitoraggio scientifico non aperte al pubblico, vi sono generalmente 3 pattuglie, una impegnata nella emissione di ululati e due nell’ascolto a distanza. Nella stagione del bramito, si ha modo di creare e sfruttare una rete di ascolto molto più ampia. Durante il censimento del cervo ci sono pattuglie, composte da 2 o 3 censitori, distribuite su circa 300 punti di ascolto del bramito, a copertura di circa 24.000 ettari di Parco, quasi ¾ della superficie totale. I censitori vanno nel punto a loro attribuito e vi restano per circa 3 ore a notte, dalle 20 alle 23. Alle 22.45, si parte con il Wolf Howling: da circa una ventina di questi 300 punti vengono lanciati gli ululati registrati. Come dicevamo, chi si trova nel punto di emissione non è sempre detto che riesca a sentire la risposta eventuale. Sia perché nel momento in cui sto emettendo, ho le orecchie intasate, sia perché magari i lupi rispondono da molto lontano. Avere una rete di ascolto così estesa, amplifica la capacità di rilevare le risposte. L’emissione viene ripetuta due volte. Tra l’una e l’altra c’è la pausa destinata all’ascolto degli ululati. Il fatto che la rete copra ampia parte del Parco ci consente di stimare quanti branchi abbiano risposto, un dato che non equivale a quanti siano presenti, perché non è detto che rispondano tutti. E consente anche di capire se nei branchi vi siano dei giovani dell’anno, perché emettono dei vocalizzi diversi dagli adulti. È un dato interessante, perché ci dice se il branco si è riprodotto durante l’anno. Il secondo periodo di apertura al pubblico, tra novembre e gennaio, non vi nascondo che abbia una utilità economica oltre che scientifica. Richiamando turisti che vogliano provare l’esperienza del Wolf Howling, diamo la possibilità alle Guide, e anche alle strutture ricettive, di lavorare in bassa stagione.
 
Perché queste escursioni risultino utili a livello scientifico, le Guide devono seguire dei percorsi di formazione?
Si tratta di Guide Ambientali Escursionistiche selezionate dal Parco secondo una serie di criteri, anche di fiducia, nel senso che devono avere uno stretto rapporto col territorio. Per partecipare al Wolf Howling è prevista una formazione specifica, che prevede l’insegnamento della tecnica, gli errori da evitare, cosa comunicare ai turisti e come funziona la logistica. Dallo scorso anno abbiamo creato il marchio del Parco e introdotto le “Guide consigliate dal Parco”. Quest’anno, nella scelta dei professionisti cui affidare le uscite di Wolf Howling, abbiamo dato priorità a chi fosse “consigliato”. Dal prossimo anno sarà un elemento vincolante. 
 
La richiesta di partecipazione è ampia? Chi sono e da dove provengono i partecipanti?
Devo dire che c’è una buona risposta e la tipologia di partecipanti è varia: si spazia dallo studente o appassionato della materia alle famiglie con bimbi. Non è una attività che attira al momento un turismo straniero, ma tra gli italiani possiamo dire di avere una affluenza da tutto il Paese. 
 
Si tratta di una attività aperta al pubblico anche in altre aree protette italiane?
Fare un censimento capillare di chi svolga Wolf Howling aperto al pubblico in Italia non è facile, però sulla base di quanto pubblicizzato in maniera ufficiale dagli Enti, il nostro credo sia l’unico caso.
 
Sulla base del monitoraggio del lupo, quanti esemplari stimate che siano presenti nel Parco?
A livello italiano il lupo lo ritroviamo ormai ovunque, anche alle porte di Firenze e a Roma. Parchi come il nostro si sono dimostrati da subito dei paradisi per la riespansione della specie, grazie alla presenza di un alto numero di ungulati e la tranquillità offerta dalle aree protette. Per cui siamo stati tra i luoghi in cui si è raggiunta per prima una densità di saturazione, rispetto al cibo disponibile. Stimiamo una presenza media durante l’anno di 100-120 lupi, divisi in una quindicina di branchi, di dimensioni variabili tra 2 e 8 componenti. 
 
Allevatori e lupi riescono a convivere nel vostro Parco?
Per garantire una convivenza pacifica tra allevatori e lupi, è essenziale capire quali siano i mezzi necessari e creare il clima sociale di accettazione di questi mezzi. Sul fronte del pascolo bovino, abbiamo allevamenti di vacche di razza romagnola e chianina, che reagiscono nei confronti del lupo come gli animali selvatici: si schierano a raggiera attorno ai vitellini da proteggere e il lupo se ne va. Unica regola che abbiamo dovuto inserire, per evitare le predazioni, è di tenere le vacche a partorire in stalla e farle uscire solo dopo una decina di giorni dal parto, perché abbiamo notato che necessitino di alcuni giorni per sviluppare un legame con il vitello ed essere dunque portate poi a difenderlo. 
Sul fronte pascolo di capre e pecore, le soluzioni adottate sono diverse, in primis i cani da guardiania, che hanno un “problema”: mangiano tanto, per cui bisogna convincere l’allevatore a tenerli. Per risolvere la questione abbiamo avviato un programma che prevede di poter fornire agli allevatori – del Parco e di parte dell’area di confine - sia cani selezionati, grazie a un accordo con associazioni che si occupano di selezione, sia mangime, grazie a una sponsorizzazione della Fondazione Capellino. Aggiungiamo che a questi cani viene fornita assistenza da parte della veterinaria del Parco. Attraverso queste misure abbiamo abbattuto fortemente i contrasti col lupo, e stiamo anche lavorando sul campo della innovazione. Ad esempio, catturiamo un lupo per singolo branco nelle zone pascolive, gli mettiamo il radiocollare, così da poter seguire il branco, e avendo definito dei recinti virtuali attorno agli ovini, se il branco entra nel recinto, abbiamo modo di inviare un alert all’allevatore, direttamente sul suo smartphone. In questo modo siamo passati, in una decina di anni, da 20 predazioni a un dato che oscilla oggi tra 0 e 1. Fuori dal Parco il problema non è risolto, c’è ancora diffidenza, la Regione non ha la forza di andare a parlare con ogni allevatore, noi invece siamo diventati amici dei nostri allevatori. 
 
Ritiene che partecipare a una sessione di Wolf Howling possa avere un effetto positivo sulla percezione del lupo?
Assolutamente sì. In termini più ampi, il Wolf Howling, insieme ad altre attività che apriamo al pubblico, come lo stesso censimento al bramito, si colloca in un programma che io chiamo “gestione partecipativa”, ovvero attività aperte a studenti tirocinanti e turisti, importanti per far comprendere alle persone cosa fa un Parco, motivare il perché prendiamo uno stipendio, evidenziare le difficoltà del nostro lavoro. È un mezzo utile per far capire alle persone che il Parco è anche loro. Nei Parchi degli USA può capitare di notare cartelli con su scritto “This is yours”, questo è tuo. Se installassimo simili cartelli nei Parchi italiani, rischieremmo di vedere la gente che va via con sacchi di terriccio o legna. In Italia dobbiamo cercare di instillare un senso di appartenenza, portare le persone a percepire le aree protette come valore e patrimonio da proteggere insieme.