I ghiacciai, dalla geodiversità alla biodiversità

Geodiversità e Biodiversità si possono prestare a due modalità di lettura, la prima più scientifica, la seconda più metaforica
Di Claudio Smiraglia Le due componenti del titolo attribuite ai ghiacciai alpini (“geodiversità” e “biodiversità”) si possono prestare a due modalità di lettura, la prima più scientifica, la seconda più metaforica. Nel primo caso ci si può interrogare su cosa significhi geodiversità in ambito glaciologico e chiederci se questa si stia modificando in relazione all’attuale cambiamento climatico. In questo contesto basterà sottolineare come l’ambiente glaciale e lo stesso ghiacciaio siano caratterizzati da una elevata geodiversità sostanzialmente geomorfologica (che comprende quindi le varie morfologie e i processi che le determinano). Chiunque abbia percorso un ghiacciaio durante l’estate, avrà sicuramente osservato la varietà di forme presenti sul ghiacciaio stesso e nelle immediate vicinanze (crepacci, seraccate, corsi d’acqua, “funghi” e coni detritici, cordoni morenici, laghetti superficiali e di contatto).

Il ghiacciaio cambia e si riduce la geodiversità

Nell’attuale fase di intenso regresso glaciale si sta assistendo ad un incremento della geodiversità in quanto si stanno moltiplicando le forme glaciali derivanti in gran parte dalla fusione; è altrettanto chiaro che se questo fenomeno non si arresterà, si arriverà all’estinzione di numerosissimi ghiacciai, del resto già in atto, e quindi alla riduzione della loro geodiversità.  D’altra parte il regresso glaciale lascia ampi spazi liberi per la colonizzazione ad opera di comunità vegetali ed animali, che innescano complessi processi di adattamento e reazione ai cambiamenti climatici. Non va infatti dimenticato che non solo le aree circostanti i ghiacciai sono ricche di biodiversità, ma anche la stessa superficie di un ghiacciaio, soprattutto se ricoperta da detrito, ospita numerosissime forme di vita (addirittura vere e proprie piccole foreste!). A questo si aggiunge che il ghiaccio stesso non è affatto sterile, ma ospita funghi, lieviti, batteri, virus. Ma, come si è accennato all’inizio di questa nota, il titolo può essere letto anche in chiave “metaforica”, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto biologico, ad esempio assimilando il ghiacciaio ad un organismo che reagisce ai cambiamenti climatici. 

L'adattamento ai cambiamenti climatici

Non è un approccio nuovo né in campo scientifico né soprattutto in campo letterario o genericamente artistico.  Valga come unico esempio “il corpo, già florido e ben nutrito, poi ridotto pelle e ossa dalla tisi” con cui Antonio Stoppani nel suo “Il Bel Paese” del 1876 descrive il Ghiacciaio dei Forni nella sua prima fase di regresso dopo i fasti della Piccola Età Glaciale.  Si potrebbe quindi applicare un approccio “glacio-ecologico” ai processi in atto negli ultimi decenni nel glacialismo alpino, impiegando quelle categorie ormai classiche utilizzate a livello floristico, ma non solo. Ci si riferisce in particolare ai processi di “migrazione”, di “rifugio”, di “adattamento”, di “estinzione”.

Migrazioni e ricerca di rifugio

Per quanto riguarda la migrazione e il rifugio, possiamo sicuramente affermare che i ghiacciai migrano e si rifugiano. Nelle condizioni climatiche di questi ultimi decenni i ghiacciai alpini stanno migrando a quote sempre più elevate proprio per rimettersi in equilibrio con quelle condizioni climatiche mutate e si stanno rifugiando in siti sempre più riparati (valloni, circhi). Il processo più evidente è il rapido ritrarsi dei settori inferiori (la fronte del ghiacciaio) a quote più elevate; valgano come unici esempi il Ghiacciaio del Lys sul Monte Rosa valdostano e il Ghiacciaio dei Forni sull’Ortles-Cevedale valtellinese. La quota frontale del primo è passata dai 2344 m di fine anni ’50 del secolo scorso ai 2650 del 2017; per il secondo si è passati per gli stessi periodi da 2320 m a 2525 m. Per quanto riguarda i processi di adattamento, osserviamo ghiacciai che riducono lunghezza, area, spessore e quindi volume.
Il ghiacciaio dei Forni come si presentava nel 2016 © Foto di Vilandre
Per limitarci ai ghiacciai italiani, ricordiamo che la loro superficie complessiva è passata dai 525 km2 della metà del secolo scorso ai 325 km2 del 2016.  Oltre a queste riduzioni dimensionali si assiste anche a un mutamento tipologico; si riduce il numero dei ghiacciai vallivi o, per usare una classificazione desueta, di I ordine, quelli cioè con una lingua che scende a bassa quota in una valle principale, rispetto ai ghiacciai montani o di II ordine (quelli localizzati sui versanti in circhi, valloni, depressioni). Sempre per limitarci alle Alpi Italiane, fra i numerosissimi esempi, si possono ricordare la Brenva in Valle d’Aosta, il Pisgana Ovest in Lombardia, il La Mare in Trentino, che con una vera e propria “amputazione” hanno abbandonato le loro lingue di fondovalle.  
Il ghiacciaio del Lys visto dalla Capanna Gnifetti

Si riducono gli spazi e si avvicina l'estinzione

Questi processi di adattamento vengono sostituiti o accompagnati da processi di mitigazione, volti a rallentare soprattutto la fusione estiva. E’ la trasformazione dal classico “ghiacciaio bianco” al “ghiacciaio nero”, certamente meno emblematico del paesaggio di alta montagna, un processo di autoprotezione che si concretizza in una copertura detritica della superficie del ghiacciaio. E’ una copertura derivante dalle frane sempre più frequenti che dalle pareti rocciose che racchiudono il ghiacciaio cadono sulla sua superficie e che tende ad avere estensione e spessore il più elevati possibile (raggiungendo in alcuni casi, come sul Ghiacciaio del Miage, oltre 1,5 m). E’ chiaro che, proprio come in campo biologico, questi processi sono efficaci in funzione della disponibilità di spazio e della velocità del mutamento. Quando gli spazi si riducono sempre più, come avviene man mano che la montagna diventa più elevata, e i ritmi di trasformazione aumentano rapidamente, come si verifica con le temperature degli ultimi decenni, tutto ciò diventa meno efficace, fino a lasciare spazio all’inevitabile ultimo processo, l’estinzione.