Honnold di fronte al suo obiettivo. Foto Netflix
Foto Netflix
Aalex Honnold con, alle spalle, il grattacielo che scaleràSecondo quanto riportato da diverse testate americane Alex Honnold, l’alpinista diventato celebre in tutto il mondo con il documentario Free Solo, si prepara a una nuova scalata, forse più spettacolare che tecnica. Nel 2026 tenterà di scalare il Taipei 101, il grattacielo più alto di Taiwan, senza corde né protezioni. L’ascensione sarà trasmessa in diretta streaming su Netflix in uno speciale dal titolo Skyscraper Live.
L’edificio, alto 508 metri con 101 piani, diventerà così il palcoscenico di una delle arrampicate urbane più estreme mai tentate. Brandon Riegg, vicepresidente di Netflix per i contenuti non fiction e sportivi, ha definito l’evento “uno spettacolo adrenalinico da cui sarà impossibile distogliere lo sguardo”.
Per la piattaforma streaming, lo show rappresenta un tassello della nuova strategia dedicata agli eventi live, già sperimentata con incontri di boxe, partite NFL e spettacoli di intrattenimento. Oltre a richiamare milioni di spettatori, questi format consentono alla piattaforma di attrarre investimenti pubblicitari, grazie alle pause dedicate agli sponsor.
Honnold, da parte sua, utilizzerà l’eco mediatica dell’evento anche per sostenere la sua fondazione, la Alex Honnold Foundation, impegnata nell’accesso all’energia solare nelle comunità meno servite. Dopo il successo planetario di Free Solo, che lo ha reso un’icona oltre il mondo dell’alpinismo, l’atleta californiano si rivolge ancora una volta a un pubblico globale, dimostrando come la pratica del free solo resti uno dei linguaggi più immediati e comprensibili.
Quale significato ha davvero questa salita?
È la domanda che resta, perché il gesto di salire senza corde un grattacielo in diretta non appartiene soltanto al registro tecnico dell’arrampicata: è al contempo una scelta personale estrema e un prodotto mediatico confezionato per catturare milioni di occhi. Se da un lato c’è la sfida individuale, la stessa che ha reso celebre Alex Honnold, dall’altro c’è la trasformazione del rischio in spettacolo, con tutto ciò che questo comporta in termini di narrazione, sponsorizzazioni e meccaniche televisive.
Fino a che punto l’alpinismo può convivere con l’intrattenimento senza snaturarsi? La risposta dipende da come si legge l’evento. Se lo si vede come vetrina per raccontare la disciplina, i suoi valori e le motivazioni dell’atleta, può aprire nuove porte: più visibilità per l’attività, più giovani che si avvicinano a questo mondo, nuove risorse per progetti sociali. Ma se la diretta diventa un prodotto dove il rischio è incentivato per l’audience con pause pubblicitarie, drammi costruiti e pressioni produttive, allora il confine con la mercificazione si assottiglia pericolosamente.
C’è una terza dimensione da considerare: la responsabilità collettiva. Non è solo questione di scelta personale dell’atleta, ma anche di come piattaforme, produttori e media raccontano l’azione. Serve chiarezza sulle finalità e rispetto per la comunità alpinistica che rischia di vedere i suoi codici ridotti a spettacolo. L’effetto emulativo è reale: chi guarda deve poter distinguere l’impresa consapevole dall’esibizione temeraria.
Ma un lato positivo esiste: parte dell’attenzione servirà a sostenere la Alex Honnold Foundation e i suoi progetti per l’energia solare, una causa concreta e meritevole. Ma la beneficenza non può essere usata come schermo etico che giustifica ogni scelta editoriale.