Alla scoperta della GTA con Marika Ciaccia

Mille chilometri, sessantamila metri di dislivello, due mesi di cammino: da luglio a settembre a piedi sulle Alpi del Piemonte, lungo la Grande Traversata Alpina, che incrocia il Sentiero Italia CAI e la Via Alpina. L'intervista a Marika Ciaccia.
Marika Ciaccia al Passo d'Orgials. © Archivio Marika Ciaccia

Quattro magliette, quattro paia di calzini, un nuovo paio di scarpe da trekking, bacchette e uno zaino da 12 chilogrammi: è partita così Marika Ciaccia, guida escursionistica ambientale, per la Grande Traversata delle Alpi (GTA), in collaborazione con il Club Alpino Italiano. Ha mosso il primo passo di questo viaggio  il 7 luglio dal lago Vannino in Alta Val Formazza, e l'ultimo l'ha fatto il 4 settembre entrando a Ceriale, in Liguria.

Nei suoi piani, il viaggio è iniziato già un anno prima, quando l'ha organizzato raccogliendo le informazioni e preparando l'itinerario. Un'avventura fatta di deviazioni e alluvioni, ma anche  paesaggi rigogliosi, escursionisti amici, incontri con le tradizioni delle comunità locali e la voglia di raccontare l'ambiente ed educare al suo rispetto.

 

Marika, come nasce l'idea di questo viaggio? 

La GTA attraversa il Piemonte da nord a sud e termina in Liguria, toccano alcuni luoghi significativi per la mia vita da escursionista che volevo ripercorrere. Nella parte settentrionale della GTA ho iniziato a fare trekking, mentre nel tragitto che costeggia la Valsesia sono diventata guida escursionistica ambientale. Il tratto che attraversa le Alpi Marittime invece non lo conoscevo, e rappresentava tutto quello che dovevo ancora scoprire.

 

Quando sei partita per la GTA? 

Sono partita il 7 luglio dal lago Vannino in Alta Val Formazza e sono arrivata il 4 settembre a Ceriale, in Liguria. Ho dovuto saltare la prima tappa – dal Passo del Gries al confine con la Svizzera, al lago Vannino; a terra c'era un metro e ottanta di neve e ha piovuto tutto il giorno. La notte dormivo nei rifugi, alcuni collaborano con il Cai: ho pensato che fosse una buona occasione per raccontarne la storia.

 

Hai realizzato questa traversata con il contributo del Cai. Comm'è stata questa collaborazione? 

Ho conosciuto il presidente Antonio Montani durante alcuni eventi ai quali eravamo ospiti. Gli ho presentato il mio progetto e lui ha ritenuto che fosse importante parlare e mostrare questa parte del nostro territorio italiano. La collaborazione mi ha permesso di sostenere questo lungo viaggio. E poi c'è stato il Cai Giovani, che mi ha dato una grande energia e ricondivideva sempre i miei post su Instagram.

 

Hai usato molto i social durante la GTA?

Comunicare attraverso i social era alla base del progetto: volevo raccontare il percorso, il territorio, le storie delle persone, così il mio viaggio diventava quello di tutti. E ho ricevuto un grande supporto: molti mi avvisavano delle alluvioni improvvise, delle frane e mi suggerivano percorsi alternativi.

 

Alluvioni improvvise e frane: un'estate dal meteo avverso… 

Quest'anno il tempo è stato anomalo. I temporali e le grandinate sono stati molto più intensi ed improvvisi rispetto al passato e spesso le previsioni meteo non riuscivano a segnalare i cambi repentini. Per i rifugisti è stata dura: c'erano poche persone sui sentieri e per molti la stagione è stata in perdita.

 

In che modo queste condizioni climatiche hanno inciso sulla tua esperienza? 

Ho dovuto fare delle deviazioni, molte già in fase di organizzazione. Volevo percorrere una variante della GTA fino a Macugnaga ma un'alluvione ha sommerso la città e quindi ho fatto il tracciato originale. Un'altra volta, scendendo dall'Alpe Veglia, dovevo andare a Varzo, ma anche lì l'alluvione ha portato via sentieri e asfalto. Un ragazzo che mi segue sui social mi ha suggerito di fare il Sentiero dei Fiori, un percorso bellissimo ma fuori dalla GTA, con cui sono arrivata a San Domenico. Anche la tratta per Noasca era deviata a causa di una frana. La pioggia ha causato tanti danni, ma tutta quell'abbondanza d'acqua ha reso la natura più rigogliosa, i paesaggi erano verdi e fioriti, i torrenti sempre pieni. La natura trova sempre un suo equilibrio.

Alba dal rifugio Garelli © Archivio Marika Ciaccia

Quanti chilometri hai fatto?

Ho fatto circa 1000 chilometri con sessantamila metri di dislivello, principalmente negativo. Ogni giorno facevo due o tre passi, scavalcavo le montagne e poi scendevo. Ho raggiunto un'altitudine massima di 2800 metri, minima di 200 metri. I dislivelli sono stati una delle sfide più ardue di questo percorso. Ancora oggi, quando mi piego, sento le ginocchia indolenzite! Oltre che tanto ripide, le montagne piemontesi sono anche selvagge, hanno valli strette e altissime. L'ambiente è molto vario e ricco, e non è così frequentato come le Dolomiti – a Cuneo ho visto le Piccole Dolomiti, montagne in roccia dolomia più piccole di quelle che si trovano in Trentino – quindi c'è tanto silenzio, un cosa rara.

 

La GTA incrocia il Sentiero Italia CAI e la via Alpina. Com'erano i percorsi che hai attraversato? 

In Piemonte i tre sentieri si intersecano quasi del tutto. I percorsi erano strade di alta montagna, pietraie e tanti sentieri sconnessi. Verso la valle c'erano anche mulattiere. La segnaletica era ottima, a volte si perdeva dove l'erba era molto alta o dove passavano i pascoli. C'è stato anche qualche passaggio su asfalto, in paesini come Susa.

 

Hai attraversato anche il parco nazionale del Gran Paradiso. Hai incontrato qualche stambecco? 

Lì per assurdo no, in effetti ero disperata per questo! Hanno iniziato a mostrarsi sulle Alpi Marittime. Ho incontrato anche il gipeto e i grifoni, i camosci, le volpi, gli scoiattoli, tracce di lupo. Poi ho visto tante orchidee, stelle alpine, tanti tipi di genziana e di genepy, di cui ho bevuto ottimi liquori nei rifugi.

 

Hai mangiato anche prodotti tipici nei rifugi? 

Sì e ho mangiato sempre molto bene. In Piemonte sono famosi i ravioli del plin e i più buoni li ho mangiati al rifugio Le Montagnard a Balme. I menù proposti sono sia a base di carne, sia vegetariani e per celiaci – nei rifugi un po' più spartani bisogna chiamare e comunicare questa esigenza.

 

Le valli piemontesi sono molto varie sia nei panorami sia nella cultura. Hai avuto modo di conoscere le tradizioni delle comunità locali?

Sono passata in Val Germanasca – una valle storicamente abitata dalla comunità valdese – dove c'era un mio amico, Luca Garrou, che mi ha ospitato a Ghigo di Prali. Lui è di religione valdese, mi ha raccontato la storia della comunità, mi ha fatto vedere le vecchie scuole dei paesi. Insieme abbiamo visitato anche l'Ecomuseo delle miniere di talco, dove veniva estratto un talco purissimo, un'eccellenza a livello mondiale. Quando sono passata ad Alagna Valsesia, ho visto le bellissime case di tradizione Walser che si conservano ancora oggi. In Valle Maira  ho conosciuto alcune tradizioni dei popoli occitani, che hanno una loro bandiera e una loro lingua. Ad Elva c'è anche il Museo di Pels – o museo dei capelli – dove sono esposte le parrucche che venivano fatte dalle donne della città e poi vendute all'estero. All'Alpe Sella di Baranca ho anche visitato i ruderi di Villa Aprilia, teatro di uno scontro tra fascisti e partigiani durante la Seconda Guerra mondiale. Mi ha fatto da guida Davide Bracchi, che organizza camminate partigiane di commemorazione in quei territori, simboli della resistenza.

Ruderi di Villa Aprilia © Archivio Marika Ciaccia

Un territorio in cui si incrociano tante culture, ma anche di confine, perché la GTA lambisce la Svizzera e la Francia. Hai incontrato anche escursionisti stranieri? 

Ho incontrato soprattutto tedeschi. In Germania la GTA è molto famosa, i tedeschi pensano di averla inventata loro, ma è un progetto italiano nato alla fine degli anni 70 dopo il successo della Grande Traversée des Alpes in Francia. C'erano anche francesi e svizzeri. Gli italiani li ho trovati soprattutto nel weekend: salivano ai rifugi a mangiare e tornavano indietro. Dovremmo valorizzare di più il percorso, ad oggi non c'è neanche un sito ben fatto da cui prendere informazioni.

 

Hai fatto amicizia con gli escursionisti che hai incontrato

Con uno in particolare, il mitico Johannes, uno psicologo tedesco in pensione. Ci siamo affezionali perché io lo aiutavo con l'italiano nei rifugi, gli spiegavo le nostre tradizioni e lui, da psicologo, mi ha aiutato a gestire il panico che provo quando ho le vertigini.

 

A parte i momenti in cui avevi le vertigini, hai vissuto bene questo viaggio? 

Prima di partire ero molto ansiosa: venivo da un periodo di esposizione mediatica e non riuscivo più ad andare in montagna quanto volevo. Se non fossi riuscita a finire la GTA la delusione sarebbe stata molto grande. Dopo i primi tempi in cui ero stanca e un po' scoraggiata, mi sono abituata alla fatica e ho trovato grande energia. Il corpo si è tonificato, sono diventata più veloce e la pelle dei piedi si è ispessita. Quando avevo il ciclo, invece, dovevo fermarmi perché ero molto stanca e avevo bisogno di recuperare.

 

La tua condizione fisica in qualche modo ha influito durante il viaggio

In passato ho avuto una trombosi venosa profonda, che è un difetto congenito, quindi non guarirà mai. La circolazione sanguigna è compromessa in una gamba e camminare aiuta, ma se lo faccio troppo a lungo rischio delle infiammazioni. Negli anni ho imparato a conviverci e per evitare problemi durante la GTA ho ascoltato molto il mio corpo: facevo pause più lunghe e docce fredde per sgonfiare la gamba. In qualche modo ho imparato a conviverci e a non lasciare che questa condizione mi limiti.

 

Prima di partire hai detto che uno dei tuoi obiettivi era sensibilizzare il pubblico sulle questioni ecologiche e sulle pratiche di conservazione delle risorse naturali: in che modo hai fatto questa cosa?

Il vero lavoro di sensibilizzazione inizia adesso, pubblicherò articoli sul mio blog, video su YouTube, scriverò anche un libro in cui approfondirò queste questioni. Durante la GTA ho raccontato in diretta quello che vedevo e alcune cose mi hanno deluso. Per esempio su alcune croci di vetta, davanti ad un paesaggio paradisiaco, c'erano mozziconi di sigaretta a terra, che ho trovato anche nei parchi, lungo i sentieri. Bisogna fare un grande lavoro di educazione ambientale in Italia, a partire da chi lavora sulle Alpi. Mi è capitato di incontrare un rifugista che aveva esposto delle vipere morte che lui stesso diceva orgoglioso di aver catturato e ucciso. Lui si trovava anche in un'area protetta, quindi gli animali non dovrebbe toccarli. Sempre lui non voleva darmi la password del wifi perché non ero una cliente, ma fuori c'era un'alluvione e io dovevo caricare le tracce gps. Questo atteggiamento, sia verso la natura sia verso le persone, è contrario allo spirito di rispetto e solidarietà che dovrebbe esserci in montagna.