© Elena Bergamin
Ogni sera, guardando il profilo del Monte Civetta illuminato dalla calda luce del tramonto, probabilmente Elena Bergamin, classe 1997, sa in cuor suo di aver fatto la scelta giusta. Mollare gli studi a Milano, la famiglia nel Varesotto e imbarcarsi in una fantastica avventura: gestire il Rifugio Sasso Bianco (nell'Agordino, 1840 metri di quota, Dolomiti Bellunesi). Dopo quattro stagioni al lavoro con i proprietari, Michele e Luciana, dal 2023 è lei in prima persona - con l'aiuto di un team affiatato - a mandare avanti la struttura.
Cosa l’ha spinta a scegliere di gestire un rifugio di montagna oltre - lo diamo per scontato - alla passione per la montagna stessa?
È stato quasi un processo naturale avendo già lavorato al Rifugio Sasso Bianco per 4 anni durante la stagione estiva con i gestori precedenti. Non solo la passione per la montagna, ma proprio l’amore e l’affezione a quello specifico posto mi hanno spinto a decidere di prenderlo in gestione, non sopportando l’idea che potesse rimanere chiuso. Inoltre, negli anni si è creato un bellissimo legame con i proprietari del rifugio, tornare lì è per me un po’ come tornare a casa. Oltre a questo, un rifugio per sua natura è una struttura ricettiva ed abilita le persone ad accedere ad un luogo di montagna che altrimenti sarebbe inospitale; essendo per me il Rifugio Sasso Bianco uno dei posti più belli del mondo, i prati e le montagne che lo circondano meritano di essere valorizzati e custoditi rendendoli accessibili in modo sostenibile e responsabile. Il rifugio, nella mia ottica, quindi, deve avere questo ruolo: rendere accessibile e accogliente un luogo di montagna garantendone il rispetto dell’ambiente che lo ospita. La mia passione unita a questa visione mi hanno spinto a decidere di superare le mie insicurezze e paure riguardo il gestire un’attività e decidere di prendere in gestione il Rifugio Sasso Bianco.
Quali difficoltà ha dovuto affrontare? Quale la più grossa?
Devo dire che mi posso ritenere davvero fortunata poiché sia dalla mia famiglia che dal gruppo di persone che mi circonda sono stata aiutata e supportata in questa mia esperienza. Le principali difficoltà, soprattutto all’inizio, sono state gestire tutta la parte burocratica: non sono cose che ti insegnano all’Università, ci sono tante variabili da considerare e diverse azioni da dover fare per tempo prima di iniziare la stagione. Ripensando alla prima stagione un’altra difficoltà che mi viene in mente riguarda l’inizio, ovvero il riuscire a stimare in modo corretto i rifornimenti da fare: noi scendiamo una sola volta alla settimana, e non ci sono fornitori che arrivano al Rifugio essendo accessibile solo a piedi. Quindi se manca qualcosa non puoi fare una chiamata al fornitore o un salto al supermercato. Devi imparare ad arrangiarti con quello che hai e programmare in modo corretto ciò che ti serve. Inoltre, una grossa difficoltà di un rifugio come il mio è quella che vivi con le persone con cui lavori e non si scende mai durante la stagione. Bisogna essere bravi a creare un ambiente dinamico, accogliente e tranquillo per permettere a tutte le persone di stare bene ed essere allineate sull’obiettivo per cui si è lì!
Si è mai pentita di aver fatto questa scelta?
Neanche un giorno, neanche per un secondo. Quando i turisti mi chiedevano: “Sei così giovane, non ti pesa stare qui?”, la mia risposta è sempre stata: “Come può pesarmi se tutte le mattine ho questa vista qui?”. Penso che l’amore per quel posto, l’affetto per le persone che mi hanno affidato la struttura da gestire e la mia passione per la causa mi abbiano permesso di mettere sempre il 100% in ciò che stavo facendo, permettendomi di affrontare difficoltà e problemi in modo costruttivo, cercando sempre una soluzione e mai abbattendomi. Mi sono sempre sentita nel posto giusto al momento giusto.
Si è mai sentita isolata, vivendo per lunghi periodi an rifugio e ''fuori dal mondo''?
Devo dire che la stagione è molto dinamica ed intensa. Raramente sei davvero solo: sono i turisti e la gente locale che popolano il rifugio, gli incontri e le chiacchiere che fai con chi passa di lì ti permette di non sentirti isolato, ma sempre esposto a nuovi stimoli e punti di vista. Per assurdo, il rifugio anche se fisicamente isolato, è invece un punto d’incontro e di ritrovo. Ci sono state, però, delle settimane nelle quali è stato brutto tempo per diversi giorni consecutivi, ed essendo raggiungibile solo a piedi, non sono arrivati turisti. Bisogna essere capaci di stare da soli con sé stessi. Anche se in realtà in rifugio c’è sempre qualcosa da sistemare e da fare. Quindi, difficilmente ti trovi ad essere fermo a riflettere sull’essere solo. Il concetto invece di “fuori dal mondo” penso che sia molto interessante da analizzare. Stare in rifugio ti fa sentire fuori dal mondo, ma in un modo positivo. La gestione dell’attività nel concreto richiede di essere sempre attivo su diverse mansioni distogliendoti completamente da altre; ad esempio; per me ha significato chiudere il pc che invece prima a casa usavo tutti i giorni e mi ha portata anche a non utilizzare il telefono più di tanto. Questo penso riesca a far apprezzare un diverso modo di stare in contatto con il mondo, con le informazioni, l’attualità e i propri affetti. Questo stare “fuori dal mondo” è un qualcosa che aiuta ad imporsi nuovi ritmi, sfruttare nuove possibilità e vedere da un diverso punto di vista quello che prima poteva essere considerato “normalità”.
La più grande soddisfazione da quando gestisce il rifugio?
Sicuramente veder scendere le persone con il sorriso e poi vederle anche tornare nel corso della stagione. È gratificante sapere che il tuo lavoro è riconosciuto e le persone stanno bene nel tuo rifugio, tanto da tornarci per rivivere quell’esperienza semplice di contatto ed immersione nella natura. E ovviamente, essendo molto giovane, chiusa la prima stagione, penso che la più grande soddisfazione a livello personale sia di avercela fatta a gestire il rifugio con ottimi risultati ed avere centrato il mio obiettivo: creare un luogo accogliente ed in comunione sia con il territorio che lo ospita sia con la comunità locale che vive questi territori da anni.
Il rapporto con i clienti quanto è importante? Cosa offre loro e cosa chiede?
Il rapporto con il cliente è fondamentale, come detto. In primo luogo è colui che porta sempre nuovi stimoli al rifugio inteso come luogo d’incontro. Ho sempre visto il rifugio come un grande aggregatore dove puoi trovare compagnia ma allo stesso tempo i tuoi spazi e tranquillità. Come gestore tu sei sempre lì, fermo, ad aspettare la gente che arrivi, che porti con sé la sua storia. Inoltre, è bello pensare di poter offrire un po’ di quell’esperienza che noi viviamo tutti i giorni lavorandoci: l’essere a stretto contatto con la natura, con dei ritmi molto più rilassati dettati dal luogo in cui si è e non da ciò che deve essere fatto. Diciamo che al cliente non si chiede niente, ma si cerca più di coinvolgerlo e farlo immergere nell’atmosfera che in modo naturale il rifugio crea, ovvero il non poter pretendere di avere tutte le comodità che si hanno in città, il doversi adattare a certe situazioni considerate ostili come il non avere l’acqua calda o la corrente a tutte le ore, oppure ad avere rispetto della natura circostante. Diciamo che il rifugio non chiede in modo diretto niente, ma per suoi “limiti” intrinsechi, ha un ruolo educativo verso chi lo frequenta.
E cosa chiede ai suoi collaboratori?
Passione e dedizione alla causa. Questa domanda è molto difficile, perché fare la stagione in rifugio dove vivi e lavori non è solo, appunto, un lavoro. Bisogna avere molta dedizione alla causa ed essere capaci di entrare nell’ottica di quella che è la vita in rifugio. Bisogna fare un po’ di tutto: servire ai tavoli, lavare piatti, spaccare legna, raccogliere fieno, rifare i letti e lavare i bagni. La lista delle attività a cui ti devi adattare e devi imparare potrebbe essere infinita, ma penso che la cosa più importante sia proprio essere la capacità di prendersi cura del rifugio, un piccolo gioiello in mezzo alle montagne, sia come struttura che come ambiente per renderlo accogliente e curato.
Cosa consiglierebbe a chi volesse diventate gestore di un rifugio di montagna?
Trovare un posto che si ama e non farlo per guadagnare soldi perché i sacrifici sono tanti e la passione deve essere altrettanta. Inoltre, selezionare un team di persone che sposi la causa per riuscire a creare un ambiente fertile e stimolante dove le risorse possono imparare sempre cose nuove e sentirsi apprezzate per il proprio lavoro, nonostante la fatica (spesso sia fisica che mentale) e la grandissima capacità di adattamento richiesta.
Perché il rifugio di montagna è un luogo magico?
Nel mio immaginario il rifugio è un luogo magico perché è un luogo isolato, per alcuni aspetti fermo nel tempo, immerso nella natura e allo stesso tempo un posto dinamico e d’incontro. Il rifugio resta sempre lì, arroccato, isolato ma aperto, pronto ad accogliere ed essere un luogo dove persone e idee si intrecciano e si mettono in comunione. Penso, poi, sia inutile dire che è un luogo magico perché permette di evadere dai ritmi forzati della città e passare del tempo a contatto con la Natura. Insegna a far fatica per raggiungere un obiettivo e non sempre avere ciò che si vuole quando si vuole.
Una parola che le viene in mente per definire il suo rifugio?
Emozionante. La vista dal rifugio è mozzafiato, i ricordi legati a questo sono tutti positivi e spero che siano belli come i miei anche quelli dei turisti che passano dal rifugio. Ricordi pieni di emozioni e stupore di come un posto così isolato e solitario possa essere invece ricco di esperienze e gioia.
© Elena Bergamin