CAI Eagle Team sulla via Paolo VI alla Tofana di Rozes

Tofana di Rozes © Luca Galbiati - Archivio Sassbaloss

Nella seconda settimana di formazione del CAI Eagle Team, le due cordate formate da Alessandra Prato e Marco Cocito e da Riccardo Volpiano e Thomas Gianola (tutor) hanno salito la via Paolo VI alla Tofana di Rozes. Ancora una volta i giovani alpinisti hanno calcato una delle montagne che hanno fatto la storia del verticale in Dolomiti.

Enrico Rossaro descrive così la Tofana di Rozes nel libro Dolomiti di Cortina d’Ampezzo:

Chi all’alba di una serena giornata d’estate, si trovi già fuori dal limite alto dei boschi, sull’ampio sentiero che da Cianzopè porta al rifugio Cinque Torri, vede il cielo del Nord invaso da questa prodigiosa cattedrale di quasi mille metri di altezza, chiazzata di rosa tenue dai primi raggi del sole. La facciata, abbagliante, sembra uscire come d’incanto dalla penombra ovattata della valle, mentre gli uccelli del mattino ed il fruscio del Rio Costeana fanno sentire il profondo silenzio dell’alpe. Improvvisamente la parete si anima ed il sole di striscio fa vedere linee e volumi nuovi, scopre l’architettura intima dell’originale costruzione. Alla base, sotto le ghiaie, stanno ancora in ombra i due lunghi gradini paralleli, corrispondenti alle due grandi bancate calcaree, sulle quali poggiano otto lunghi pilastri, ognuno diverso dall’altro e divisi da lunghe fessure e camini verticali. Dietro si alza la parete vera e propria, scavata nel centro da un autentico anfiteatro che appare sospeso nel vuoto. In vetta il “timpano” finale. I quattro pilastri di destra evidenziano maggiormente i loro spigoli, mentre quelli di sinistra si arricchiscono di piccole guglie e strani torrioncini, che s’incontrano in una delle classiche vie di salita. Eccettuate le pareti sommitali e le chiazze lisce di qualche pilastro, la roccia diventa spugnosa, minutamente scolpita con nicchie, cenge, terrazze. Irresistibile invito per il rocciatore.

Le Tofane fanno parte delle Dolomiti di Fanis e sono il massiccio più imponente che si affaccia sulla conca Ampezzana. Si estende tra Passo Falzarego e la Val di Fanes. Tre sono le vette principali, la Tofana di Rozes alta 3225 m, la Tofana di Mezzo, che con i suoi 3244 m è la più elevata e infine la Tofana di Dentro, alta 3238 m, che è la più settentrionale e che è collegata alla Tofana di Mezzo da una bellissima cresta.

L’attività alpinistica si è concentrata principalmente sulla Tofana di Rozes, dove nel corso del tempo sono state tracciate delle linee magiche: dalla via Dimai aperta il 9 agosto 1901 dalle baronesse Ilone e Rolanda Von Eötvös colle guide Angelo Dimai, Agostino Verzi e Giovanni Siorpaes. I cinque attaccarono alle 8.30 e terminarono la salita alle 18.30. Un tempo che lascia a bocca aperta ancora oggi! Specie se si calcola che la cordata superò difficoltà di IV e IV+ con qualche breve passo di V.

E che dire dei suoi vertiginosi spigoli o della via della Tridentina, una delle due vie aperte da Walter Bonatti in Dolomiti.

Tofana di Rozes - Via Paolo VI - Marco Cocito in arrampicata © CAI - Open Circle

Sul fianco Est della parete Sud della Tofana si trova il Pilastro di Rozes, una “fiamma di pietra” come la definiscono Ivo Rabanser e Orietta Bonaldo nel libro Vie e vicende in Dolomiti (Versante Sud 2005).

La via Paolo VI venne salita da Lorenzo Lorenzi dai Pale, Albino Michielli Strobel, Bruno Menardi Gim, Carlo Gandini Carlin e Arturo Zardini Tamps dal 17 al 22 giugno 1963. In quel periodo le direttissime a goccia d’acqua occupavano le pagine delle riviste alpinistiche dell’epoca. Questa via però ha una caratteristica che ben la identifica: sale ricercando i punti deboli della parete mischiando l’arrampicata libera (provate a pensare alle attrezzature dell’epoca) all’artificiale. Gli apritori impiegarono ben 65 ore di arrampicata effettiva per superare l’intera parete, dimostrando una capacità di chiodatura eccezionale. Alcuni buchi vennero spessorati con dei tasselli in legno limitando al massimo l’impiego dei chiodi a pressione. 

La salita fu seguita e divulgata dai mezzi di comunicazione dell’epoca ed ebbe grande risonanza anche perché fu dedicata a Papa Paolo VI (Giovanni Battista Montini), che il giorno prima dell’inizio della scalata salì al soglio pontificio.

Tofana di Rozes - Via Paolo VI - Alessandra Prato © CAI - Open Circle

Al termine dell’impresa Albino Michielli Strobel in un’atmosfera gioiosa disse ai compagni di cordata: “adesso si toglieranno il cappello, ma vedrete che fra non molto tempo ce lo tireranno dietro… il cappello”. Ed è così che gli appassionati di storia dell’alpinismo non faranno fatica a ricordare Albert Frederick Mummery che, con un filo di maschilismo, affermò a fine Ottocento: "È stato spesso notato che tutte le montagne sembrano destinate a passare attraverso i tre stadi: un picco inaccessibile, la scalata più difficile delle Alpi, una giornata di relax per una signora.

La notizia dell’apertura della Paolo VI arrivò in fretta in Val Gardena: Ludwig Moroder e Cesare Danese partirono subito per effettuare la prima ripetizione. I due salirono lungo il canale cercando di guadagnare la cengia erbosa da dove ha inizio la parte più impegnativa della scalata, con l’intento di scrutare meglio la parete e lasciare del materiale. Danese si sporse su di un grosso masso, mentre stava avvisando l’amico di aver visto alcuni chiodi, il masso si rovesciò lateralmente facendolo precipitare sul ghiaione basale. Da quel tragico momento Moroder non ne volle più sapere di ripetere la via e la sua attività alpinistica subì un drastico ridimensionamento. La prima ripetizione arrivò il 30 e 31 ottobre dello stesso anno, ad opera di Franz Runggaldier e Rudi Comploi, anch’essi gardenesi. 

Tofana di Rozes - Via Paolo VI - Alessandra Prato e Marco Cicito lungo la via © CAI - Open Circle

Oggi la via è abbastanza ripetuta, anche perché una cordata preparata è in grado di superarla in libera (o quasi). Nella parte iniziale, l’itinerario supera una sequenza di placche grigie appoggiate. Raggiunta la cengia (S4), la parete s’impenna e la via sale districandosi tra strapiombi e tetti gialli per poi seguire una fessura camino ed aggirare l’ultima fascia di strapiombi. Alcune cordate evitano quest’ultima parte, uscendo più velocemente dalla vicina Costantini/Apollonio.
La via è chiodata e anche la gran parte delle soste, tuttavia le protezioni risentono dell’età e, specie sulle lunghezze più impegnative, vanno verificate.

Per approfondire

  • Dolomiti Orientali 1 - Parte 1 di Antonio Berti (CAI-TCI, 1971)
  • Vie e vicende in Dolomiti di Ivo Rabanser e Orietta Bonaldo (Versante sud, 2005)
  • Le mie scalate nelle Alpi e nel Caucaso di Albert F. Mummery (CDA Vivalnda, 2001 - ed edizioni precedenti)
Thomas Gianola, Marco Cocito, Alessandra Prato e Riccardo Volpiano al termine della via © Riccardo Volpiano