Filo Sureste del Cerro Torre: il racconto della ripetizione di Ratti, Beltrami e Chasseur

Le Guide Alpine Ratti, Beltrami e Chasseur firmano la prima ripetizione italiana della "ex" Via del Compressore. A raccontarci questa nuova avventura patagonica è Francesco Ratti.

Nel cuore della Patagonia, lungo lo spigolo sud-est del Cerro Torre, corre una via dalla storia celebre e al contempo controversa. È la “ex” Via del Compressore, la cui apertura, realizzata da Cesare Maestri nel 1970, è stata a lungo oggetto di dibattito nel mondo dell'alpinismo, a causa dell’utilizzo di un compressore pneumatico – da cui il nome dello storico itinerario – per piazzare centinaia di chiodi, che per decenni hanno consentito di superare le sezioni più difficili in artificiale facile (A0). Nel 2012 gli americani Hayden Kennedy e Jason Kruk sono entrati a gamba tesa nel dibattito patagonico, rimuovendo circa 120 chiodi di Maestri durante la loro discesa, restituendo in tal modo al Filo Sureste le sue difficoltà estreme. Un’iniziativa che ha portato a giudizi sia positivi che negativi. A seguito della "ripulitura", la via ha visto poche ripetizioni. La prima è stata realizzata nel 2012 da David Lama e Peter Ortner. Primo italiano a ripetere la “ex” Via del Compressore, è stato invece nel 2016 Matteo Della Bordella, in cordata con lo svizzero Sylvan Schupbach. Agli inizi di dicembre, approfittando di una fortunata finestra meteo, gli alpinisti e Guide Alpine Alessandro Beltrami, Manuel Chasseur e Francesco Ratti hanno compiuto la prima ripetizione totalmente italiana del Filo Sureste, realizzando un progetto nato come un sogno: “Cerro Torre Dreaming”. Abbiamo contattato oltreoceano Francesco Ratti per farci raccontare a caldo questa emozionante esperienza patagonica.

 

Partiamo dall’origine del progetto “Cerro Torre Dreaming”: perché, tra tutte le cime patagoniche, avete puntato al Cerro Torre e in particolare al Filo Sureste? Come e quando è nata l’idea?

Il Cerro Torre era una cima che a me mancava nella lista degli obiettivi e da anni sognavo di salire l’ex Via del Compressore. Questo sogno è rimasto a lungo nel cassetto, speravo di poterlo realizzare in uno dei miei viaggi in Patagonia ma alla fine non ho mai avuto l’occasione per provarci. Parlandone con Alessandro Beltrami, ho scoperto che anche lui era venuto qui due anni fa con la stessa idea in testa e non era riuscito a realizzare il proposito, per cui abbiamo pensato di venire appositamente per provarci insieme. A noi si è poi aggiunto Manuel Chasseur, alla sua prima esperienza patagonica. A differenza di altre stagioni, in cui sono arrivato qui senza progetti unici in mente, questa volta c’era un obiettivo ben preciso.

 

Ci racconti come vi siete conosciuti?

Alessandro e Manuel sono due ragazzi che hanno svolto i corsi da Guida Alpina in Valle d’Aosta. Sono diventati Guide quest’anno e io, in qualità di istruttore, ho avuto modo di conoscerli bene durante la loro formazione. Al termine del corso, ci siamo trovati a parlare del Cerro Torre e del desiderio condiviso di provare la Via del Compressore e così è nato questo trio, composto da un vecchietto, che sono io, e due giovani (ride). Per prepararci alla spedizione abbiamo realizzato un po’ di salite insieme, per conoscerci meglio. 

 

Vi aspettavate di trovare una finestra meteo che consentisse in così breve tempo dal vostro arrivo di portare a termine l’impresa? 

Diciamo che, essendo partiti con una idea precisa in testa, ci siamo detti “alla prima finestra meteo ottimale dobbiamo farci trovare pronti”. Una finestra che speravamo arrivasse quanto prima, ma si sa, in Patagonia il “quando” è sempre un’incertezza. Quando siamo arrivati, pochi giorni prima della finestra meteo che abbiamo poi sfruttato, non era sicuro che fosse sufficientemente lunga e bella da consentirci di realizzare i nostri propositi. Ma ci abbiamo creduto. Abbiamo preparato il materiale e lo abbiamo portato fino al Campo, insomma eravamo pronti. Poi è andata bene, tutte le stelle sono sembrate allinearsi e quella finestra si è rivelata buona come speravamo. E quello che era inizialmente un sogno mio, e separatamente di Ale, è diventato un sogno collettivo, realizzato in cordata.

 

Siete partiti fiduciosi di realizzare la ripetizione o vi sareste accontentati anche di non raggiungere la vetta?

Quando parti per una salita, speri sempre di portarla a termine e arrivare in cima. Sono tanti i fattori che entrano in gioco, dalle difficoltà tecniche al meteo. Se per ragioni di sicurezza ci fossimo dovuti trovare nella necessità di tornare indietro, ci saremmo sicuramente sentiti delusi ma non avremmo potuto fare altrimenti. Quando si affrontano salite così complesse, si è consapevoli che ci possano essere imprevisti, anche errori personali, magari di valutazione delle tempistiche, che possono impedire di raggiungere l’obiettivo. Diciamo che non ci si accontenta di non raggiungere la cima, ma si è obbligati ad accettarlo. Se avessimo dovuto scegliere tra la cima e la vita, avremmo scelto la vita. 

 

Ci racconti un po’ questi 3 giorni di salita?

Siamo partiti in direzione della parete nel primo giorno di questa fortunata finestra di bel tempo, con l’intenzione di dedicare poi 3 giorni alla salita. Abbiamo aspettato quindi un giorno prima di iniziare a salire, per lasciare al sole il tempo di ripulire la parete dalla neve. A voler essere sinceri, non si è poi rivelata una scelta grandiosa. Rolando Garibotti, con cui eravamo in contatto per ricevere aggiornamenti meteo, ci ha infatti informati del fatto che per l’ultimo giorno della finestra, il quarto, si prevedeva meteo un po’ incerto. Per cui abbiamo dovuto rivedere i piani e accelerare, per raggiungere la cima il terzo giorno e non il quarto, come inizialmente ipotizzato.

Fortunatamente abbiamo trovato delle condizioni ottimali: roccia pulita e neve che congelava bene la notte. Il secondo giorno siamo riusciti ad andare spediti, direttamente dal Campo “Noruegos” alle Ice Towers, saltando un bivacco che avevamo pensato di fare al Colle della Pazienza. In tarda serata abbiamo allestito il bivacco alle Ice Towers e, così facendo, il terzo giorno siamo riusciti ad arrivare in cima senza troppa fretta.

 

Ci racconti qualche aneddoto di questa salita?

Ce ne sarebbero tanti! Ve ne racconto uno del secondo, lunghissimo, giorno. Quando siamo arrivati alle Ice Towers, non avendo mai percorso prima la via, ci siamo ritrovati a cercare un punto idoneo per bivaccare, che sembrava non arrivare mai. Siamo andati avanti a dire “guarda, lì pare che spiana un po’” e invece niente, sempre questi pendii di neve dura, ripidi, senza un posto in cui sedersi. Alle 23 ci siamo fermati, abbiamo impiegato 2 ore a tagliare il ghiaccio con le piccozze per ricavare una piazzola, e praticamente ci siamo seduti nei sacchi a pelo che ormai era l’una di notte. Però è stato bellissimo, avevamo una vista stupenda di fronte!

 

Qual è stata la parte più impegnativa della via?

I tiri sono tutti belli ma la parte più impegnativa e al contempo emozionante, è sicuramente quella finale. Dalle Ice Towers per arrivare alla headwall c’è un tiro che è un camino di ghiaccio verticale, strettissimo, che per passarci devi togliere lo zaino. Poi esci dal camino e ti trovi a dover affrontare i tiri della headwall, lungo i quali sono stati tolti i chiodi di Maestri. Tiri molto tecnici, belli ma che richiedono il massimo impegno. 

 

Cosa avete pensato una volta in cima? 

Raggiungere la cima del Cerro Torre, una montagna mitica, comporta emozioni fortissime. Ci siamo abbracciati, eravamo felicissimi, quasi commossi dall’aver realizzato uno di quei sogni che nella vita ti dici “chissà se sarò mai in grado di farlo?”. C’è una frase che ha condiviso Alessandro, che sintetizza bene le nostre sensazioni: “Lì sopra non hai voglia di esultare. Hai solo la sensazione di aver sfiorato qualcosa più grande di te”. 

 

Che valore assume questa avventura nella tua carriera alpinistica, possiamo considerarla parte della top 10? 

Sicuramente è una tra le più belle che abbia realizzato, quindi la mettiamo in top 10. A livello di soddisfazione personale, anche in top 3. Sapere di essere la prima cordata totalmente italiana ad aver effettuato la ripetizione della Via del Compressore dopo la schiodatura, aggiunge valore all’esperienza.

 

Dal momento che ci stai abituando alle tue fughe estive in Patagonia, ci sono altri sogni patagonici nel cassetto per i prossimi anni?

Adesso ci godiamo questo sogno appena realizzato, poi vedremo. Di montagne da salire ce ne sono ancora tante qui in Patagonia, in futuro non escludo di tornare con nuovi obiettivi. Ad esempio, aprire una via lunga su una di queste vette. È un’idea che necessita di forte motivazione, per cui per ora la lasciamo lì da parte.

 

E per i prossimi mesi invece, c’è qualche progetto che bolle in pentola? 

Ho qualche idea in mente. Posso dirvi che mi piacerebbe portare avanti un progetto di ampio respiro sulle montagne di casa, sulle Alpi. Magari ne riparliamo tra qualche mese!