Incontri d'alpinismo. Lucia Capovilla, arrampicare è valorizzare le diversità

La scalatrice veneziana, campionessa mondiale di paraclimbing, si è trasferita ad Arco due anni fa. «Amo le vie lunghe e aiutare la gente a trovare la forza per superare le difficoltà»
© Maxime Naegely

Lucia Capovilla è una scalatrice veneziana classe '93, pluricampionessa mondiale di paraclimbing: dalla nascita è senza l'avambraccio sinistro. Lavora come infermiera e formatrice: ha saputo trasformare la sua esperienza personale in competenze che mette al servizio delle scuole e degli adulti che vogliono crescere nella capacità di affrontare la vita e le sue sfide. Anche i video di Lucia - recentemente è uscito Leggera, ma consiglio anche i TEDx I limiti sono solo dentro di noi. Vive ad Arco, dove ha potuto realizzare pienamente il suo sogno di arrampicare quotidianamente in un ambiente «meraviglioso» come lei stessa lo ha definito.

 

Da quanto ti sei trasferita in Trentino?

Vivo ad Arco da due anni: ero venuta per scalare, la prima volta sono stata a San Paolo, e ho fatto la Via Helena (una delle tante vie di Grill, ndr). Qui mi ricarico totalmente, per un po' ci ho vissuto anche in furgone, agli inizi. È stato bello, perché dormivo ogni notte in un posto diverso, in mezzo alla natura. C'era da gestire la quotidianità di ricaricare l'acqua, la corrente, ma venendo da Venezia, dove l'arrampicata è solo plastica, ho trovato tanta bellezza e opportunità di scalare all'aperto.

 

Come hai iniziato a scalare?

Ho iniziato a Venezia nel 2015, quando un gruppo di amici mi ha chiesto di provare. Avevo già tentato alle medie, ma al tempo avevo provato con la protesi e con la corda dall'alto, non era stata una gran esperienza, mi sentivo tirata su. Nel 2015 è stato tutto diverso, avevo fatto anche un percorso di crescita personale nel frattempo. Ho iniziato in una palestra indoor.

 

Cosa ti ha conquistato?

Mi è piaciuto fin da subito che utilizzi tutto il corpo. Mi dà soddisfazione perché riesco a compensare, lavoro sulla coordinazione, trovo il mio metodo. La scalata, quando ti senti bene, è un po' come danzare.

 

La parte agonistica è stata importante?

Ho iniziato subito con le gare, mi hanno portato fin dal principio con loro e mi hanno buttato dentro a questo mondo. Ho fatto tantissima palestra, a Venezia è difficile uscire e andare a scalare outdoor. Almeno fino a quando non ho preso la patente, all'università, le mie possibilità erano ridotte.

Sulla parete di Pezol, Arco © Archivio Lucia Capovilla

Quale arrampicata ti piace di più?

Ora ho tanti allenamenti, scalo sei giorni su sette, ma per me arrampicare fuori è il massimo. In falesia non vado quasi mai, non mi fa impazzire: spesso c'è molta gente, fai fatica a trovare il tuo spazio, non mi piace quando devi stare ad aspettare per fare un tiro, il troppo rumore. E anche dal punto di vista tecnico, lavoro già tanto in palestra, quindi punto alle vie lunghe. Sono un viaggio, mi toccano di più la mente.

 

Quali salite ti sono rimaste più nel cuore?

Un'arrampicata che mi è rimasta molto dentro è stata il Campanil Basso, soprattutto per le sensazioni che provavo mentre scalavo. Ho fatto la Via Fehrmann in alternato, è stato bello, c'era anche da integrare, è stata un'esperienza completa. Un'altra salita importante è stata il Pilastro Gabrielli (a Mandrea, una delle pietre miliari dell'arrampicata in Valle del Sarca, ndr).

 

Come funziona il paraclimbing?

Il paraclimbing è diviso in tre categorie: ciechi, amputati e neurologici, quelle persone che hanno un deficit di coordinazione o forza. Nella mia categoria c'è una ulteriore divisione tra amputati di gambe o braccia. Io arrampico con un tutore che mi protegge, devi lavorare sugli altri muscoli per compensare: parte della sfida è proprio quello. Nelle gare c'è un bell'ambiente, un forte spirito cooperativo: è la parte che mi piace di più.

 

Dove senti che hai maggiore bisogno di migliorare?

Da crescere ce n'è sempre. L'arrampicata non è solo un gesto, ci sono muscoli da sviluppare ma non basta fare trazioni. Scalare è un sistema e ogni volta che fai un passo in avanti in una direzione, poi devi riequilibrare lavorando sul resto. Magari diventi più forte e allora a quel punto c'è da lavorare su altro.

 

Che grado hai? Hai una buona capacità di lettura della via?

Adesso lavoro il 7a, ma nel mio caso il grado varia molto a seconda della tipologia di via. A grandi linee, su placca posso trovarmi meglio che su uno strapiombo, ma poi dipende sempre dalla via, dagli appigli come quantità e tipologia, così come dagli appoggi ovviamente. Posso fare un 6b a vista se è il tiro che fa per me, ma in questo caso parlare di grado non ha senso più di tanto. Sulla lettura della via è un discorso complesso: leggere bene non significa solo avere memoria di mani e piedi, ma avere anche il gesto. Si può sempre fare meglio.

 

Progetti di scalata?

Sicuramente mi piacerebbe arrampicare in Sardegna o a Gaeta, nella montagna spaccata. Ma non è così semplice viaggiare, anche perché d'inverno sono più presa dagli allenamenti, dallo stress delle gare. In estate sono più tranquilla, ma poi bisogna anche riuscire a incastrare tutto.

 

Hai portato la tua esperienza anche ai climber?

Parlare con gli scalatori può diventare più semplice che con altri: una volta che gli dici quello che fai, anche come grado, iniziano a vederti in modo diverso. Diventano più ricettivi, si interessano maggiormente e diventa funzionale alla comunicazione.

Lucia in gara © Riccardo Avola