L'Africa dalla bici di Dario Franchi: una storia di sogni, amicizia e tenacia

A 19 anni sogna l'avventura e l'ignoto insieme all'amico d'infanzia e compagno di classe Oliver: insieme partono per l'Africa con una vecchia mountain bike. Scelgono di esplorare la parte occidentale. Il viaggio si interrompe dopo cinque mesi e dopo aver attraversato le montagne dell'Atlante, il deserto del Sahara, la Mauritania a bordo del treno del ferro e le tensioni geopolitiche degli Stati dell'Africa centrale. Un anno dopo, Dario riparte e conclude da solo la sua esplorazione
L'Atlante, foto di Oliver Kasper

Mentre parla, si sentono distintamente le "c" e le "g" strascicate, la carta d'identità di un toscano. È Dario Franchi, un ragazzo di 22 anni della provincia di Pistoia che ha attraversato l'Africa con la sua bici. Ha percorso più di 22,000 km con un dislivello di 150,000 m, lungo 20 paesi, tra la catena montuosa dell'Atlante, il deserto del Sahara, le montagne tra la Nigeria e il Camerun, la savana dell'Angola, il deserto della Namibia fino a Cape Aghulas in Sudafrica, il punto più a sud.

Un'avventura iniziata tra i banchi di scuola con l'amico Oliver Kaspar, mentre gli insegnanti spiegavano e loro, dall'ultima fila, sognavano di esplorare l'ignoto. La prima parte del viaggio è iniziata nel 2022, a 19 anni, ma dopo qualche mese è finita. Dario è ripartito da solo un anno dopo e oggi ci racconta quest'avventura.

 

Perché questo viaggio?

Perché con il mio amico Oliver, con cui ho fatto la prima parte del viaggio, volevano partire per un'avventura. Ci conosciamo da quando siamo piccoli e abbiamo sempre fatto viaggi intorno a casa in bici, scalate, notti in tenda nei boschi, bivacchi in montagna. Sempre esperienze di uno o due giorni. Alle superiori non eravamo molto attenti alle lezioni e dall'ultimo banco passavamo il tempo a fare progetti di esplorazioni. Ci siamo portati dietro tanta energia in 5 anni e appena è finita la scuola siamo partiti con i pochissimi soldi che avevamo, tutti investiti in questo progetto anche molto ambizioso. È nata così, forse come una cosa che rappresentava il contrario della scuola in quel momento.

 

Quando siete partiti?

A ottobre 2022.

 

Avevate anche stabilito una data di ritorno?

No, perché noi volevamo arrivare fino al punto più sud dell'Africa, ma poi ci siamo fermati alla Guinea Conakry per vari motivi: visti scaduti, bici rotte, frontiere chiuse, soldi finiti.

 

Quindi eravate voi due, le bici e la voglia di esplorare

Sì! Siamo partiti da Firenze e abbiamo attraversato l'Europa in bici: tutto molto facile. Dalla città di Almeria, in Spagna, ci siamo imbarcati e siamo arrivati a Nador, in Marocco. Abbiamo scelto una strada che passasse per l'entroterra, quasi vicino all'Algeria, non quella vicina all'Oceano Atlantico. 

 

E cos'avete fatto quando siete arrivati in Africa?

Abbiamo fatto una strada pazzesca: da Nador, sul mare, abbiamo pedalato su questa strada in leggerissima salita. Quasi non ci accorgevamo del dislivello. E poi ci siamo ritrovati a 2000 m circa!

 

Su che montagna siete saliti?

Sulla catena montuosa dell'Atlante. C'erano dei paesaggi lunari. Oliver e io eravamo abituati alle Alpi Apuane o agli Appennini, un tipo di paesaggio diverso da quello. La gente che abita lì è tanto ospitale e sono per lo più pastori, con macchine trasportate da asini, senza motorini.

 

E il paesaggio lunare?

Eravamo circondati da questa roccia di un rosso incredibile, che rendeva l'orizzonte affascinante. Una volta in cima, poi, sapevamo che ci sarebbe stata la discesa che ci avrebbe portato direttamente nel Sahara. Quel luogo lì era uno spartiacque tra il clima mediterraneo e quello desertico. Ci raggiungevano anche venti dal deserto che trasportavano sabbia.

Monti dell'Atlante, foto di Oliver Kasper

Com'erano le strade che attraversavate?

C'erano strade per la maggior parte asfaltate, anche perché sull'Atlante ci sono alcune città abbastanza grandi, tipo Midelt dove tra l'altro, si sono anche rotte le bici. Da qui lambivamo le cime innevate, alte anche tra i 3000 e i 4000 metri, dove però non siamo passati. 

 

Ci dicevi che le persone sull'Atlante sono state ospitali con voi

Super ospitali! Facevano a gara ad ospitarci a casa loro. Lì sono di religione musulmana e l'ospite è davvero sacro: noi chiedevamo di accamparci con la tenda e loro ci accoglievano in casa o chiamavano amici ben lieti di ospitarci. Ci facevano le feste! Abbiamo cenato con loro, anche se avevano poche cose da mangiare. Io e Oliver non ci aspettavamo tutto questo, anche perché era l'inizio del viaggio. È stato incredibile.

 

Cosa mangiavate alla loro tavola?

Tanto tajine, il loro piatto tipico – a base di carne, pollo o pesce in umido, cotto in un piatto di terracotta da cui prende il nome (ndr)poi pane marocchino, il tè, che te lo offrono anche mentre sei in strada, ti urlano da casa per invitarti a berlo. 

 

Com'erano le case sull'Atlante?

Quelle in cui siamo stati ospitati erano in cemento o di pietra: devono essere resistenti e reggere neve, pioggia e qualsiasi intemperia. Una dove abbiamo dormito era in costruzione. Ovviamente non potevamo aiutare perché l'ospite non deve stancarsi. Nei luoghi più poveri ci sono delle vere e proprie baraccopoli: abitazioni in lamiera, legna, qualche sasso, fine.

 

Che lingua parlavate?

Ci capivamo a gesti. Loro parlano il berbero, che è tipo arabo. 

 

Quando siete scesi dai monti?

Abbiamo pedalato per 8700 chilometri, facendo anche un tratto sul "treno del ferro", una locomotiva che collega le miniere di minerali ferrosi vicino Zouerat con Nouadibo, la seconda città più grande della Mauritania, che affaccia sull'Atlantico. Noi in bici siamo arrivati fino alla Guinea Conakry, dove poi ci siamo fermati. Come ti dicevo ci sono stati problemi. Forti tensioni geopolitiche, i confini erano chiusi e non sapevamo quanto avremmo dovuto aspettare: giorni, mesi o anni. L'anno prima c'era stato un golpe e mentre eravamo lì abbiamo assistito a sparatorie tra militari e ribelli. Qualcuno ci diceva che avevano provato ad uccidere l'allora presidente. Le bici si erano rotte e i soldi erano finiti; Oliver poi voleva tornare a casa per dedicarsi all'alpinismo, il suo sport. Si era reso conto che il viaggio era troppo lungo e impegnativo per lui.

 

Quindi?

Siamo ritornati in Italia dopo circa 5/6 mesi dall'inizio dell'avventura e io ho lavorato in un rifugio sulle Dolomiti in Valgardena per mettere da parte dei soldi. È stata un'esperienza figa, in un posto bellissimo e da lì sono ripartito per preparare la seconda parte del viaggio. Ho studiato molto di più anche perché ero solo e non potevo permettermi problemi. È un po' come in montagna, se scali in free solo oppure con la corda. Forse è un paragone un po' estremo però è così.

 

Quando sei ritornato in Africa, hai ripreso dal punto in cui vi eravate fermati?

No, sono partito dal Senegal, 1600/1700 km prima perché volevo vedere Gambia e Guinea Bissau, che prima avevamo saltato. E volevo attraversarle durante la stagione delle piogge, quando le strade si allagano completamente: sono arrivato in Costa d'Avorio un mese e mezzo dopo e le piogge sono finite. Poi ho continuato sempre lungo la costa occidentale, sono arrivato in Nigeria e non potevo attraversare la frontiera verso il Camerun, quindi sono passato per le montagne.

Dario Franchi

Dimmi di più

Il confine era chiuso a causa di tensioni geopolitiche e guerre. C'era però un passaggio aperto tra le montagne, che ho attraversato in modo sicuro, anche se non ho potuto mettere i timbri sul passaporto. Quando sono arrivato al confine sulle montagne, c'era una baracchina di 1m per 1m con una mappa del centro Africa. Io non avevo neanche il visto per entrare in Camerun, doveva arrivare nei giorni successivi ma mi hanno fatto passare lo stesso, senza timbri appunto! Il tipo era veramente simpatico e aveva con sè il suo vino di palma.

 

Cos'è?

In Africa lo bevevano parecchio, è un prodotto tipico. In realtà è più simile ad un succo che a quello che noi intendiamo per vino: sono i frutti fermentati della palma che creano alcool, ma al 3/4%, niente di più. Non ho mai bevuto niente che avesse un sapore simile. E così ho proseguito lungo la frontiera, su una pista molto tosta a livello tecnico. Dal punto di vista politico, a nessuno importava che io stessi lì, quindi è andato tutto bene.

 

Come sono le montagne tra la Nigeria e il Camerun?

Sono alte circa 2000 m, poi c'è un plateau per centinaia di km e un po' di saliscendi. Le pareti rocciose mi ricordavano le Dolomiti ma ero comunque vicino all'Equatore quindi a 2000 m c'erano le scimmie, alberi e ambienti tipici della foresta pluviale. È un posto incredibile e ho incontrato gente pazzesca, non molto abituata a vedere noi occidentali. Quando arrivavo nei villaggi di montagna, venivo circondato da decine di bambini e di persone che mi fissavano tutto il tempo. 

 

Anche loro sono stati ospitali con te?

Sì, tantissimo! Mi hanno offerto tutto perché non avevo contanti. Questo è successo a causa dell'inflazione: lì la valuta più grande, all'epoca, era pari a 0,45/0,50€ quindi per pagare servivano tantissime banconote ma dagli sportelli bancomat non riuscivo a ritirare. Inoltre i prezzi cambiano di giorno in giorno: ho conosciuto un ragazzo come me, la sua vita era basata sul guardare il prezzo del riso per capire se poteva mangiarlo o meno.

 

Sono successi episodi particolari mentre attraversavi quelle montagne?

Non particolarissimi ma una volta sono stato ospitato da un capovillaggio, che è l'equivalente del nostro sindaco, e lì lui è considerato un re e le persone del villaggio si inchinano in sua presenza. Mi ha ospitato a casa sua: gli ho chiesto dove lasciare la tenda e lui mi ha offerto due stanze della sua casa con una brandina. Ho dormito tranquillissimo.

 

Ti hanno fatto anche dei doni?

Sulle montagne in Nigeria un prete che mi ha ospitato mi ha regalato una bibbia tascabile. Per loro la religione è importantissima e anche se io non sono credente, è stato un bel momento. Non l'ho mai sfogliata ma la terrò sempre come un grande ricordo.

Mambila Hill, monte in Nigeria, di Dario Franchi

Come hai conosciuto questo prete?

In maniera del tutto casuale per strada. Lì in realtà è successo tutto per caso, che è la cosa bella. E i rapporti si creano in modo più veloce perché ci sono meno maschere, è tutto molto più sincero e bello.

 

Sei rimasto in contatto con qualcuno che hai conosciuto lì?

Mi scrivono in tantissimi ma io non riesco più neanche a collegare il numero di cellulare alla persona. 

 

Quanta varietà di paesaggi hai attraversato?

Tutta la prima parte è foresta tropicale. Tra Niger e Camerun c'erano le vere montagne. Poi sono tornato nella giungla vera e propria, fino in Congo. Dall'Angola inizia la savana e di nuovo la foresta tropicale. In Namibia invece c'è il deserto. Infine il Sudafrica è il riassunto di tutto quello che ho visto. Il punto più a sud, Cape Aghulas, ha un clima simile al nostro.

 

E quando ci sei arrivato, che hai pensato? 

Era il 24 marzo scorso e lì per lì non avevo metabolizzato. In realtà nemmeno adesso! È stata una grandissima soddisfazione, che mi rimarrà un po' per tutta la vita, perché questo era un mio grande sogno e l'avevo completato. È stato pazzesco anche perché ci sono stati momenti in cui non pensavo nemmeno di concluderlo per i tanti ostacoli da superare. 

 

Dopo la fine della traversata che hai fatto?

Sono rimasto qualche giorno in Sudafrica into the wild, mi sono rilassato. L'ho fatto anche per non passare subito da questa avventura di mesi a pedalare da solo in Africa, alla vita a casa mia in Italia, dove è tutto completamente diverso.

 

Con Oliver siete rimasti in contatto? 

Sì, siamo sempre stati in contatto, semplicemente adesso abbiamo degli obiettivi leggermente differenti entrambi. Siamo più che amici, quasi fratelli in questo momento.

 

Perché avete scelto quel tipo di itinerario, cioè sulla costa occidentale?

Perché volevamo un'avventura verso l'ignoto. Ci piaceva il fatto che che non sapevamo niente di quello che potesse aspettarci perché tutti gli avventurieri scelgono la parte est dell'Africa, quindi sulla via che abbiamo scelto noi sono passate pochissime persone. Volevamo andare il più lontano possibile da una cosa prevedibile.

Lungo il viaggio, Dario Franchi

Che bici hai usato, in entrambi i viaggi?

La prima era una semplice mountain bike. La seconda ha un telaio in titanio da mountain bike riadattato ad una bici gravel. È semplice, facile da aggiustare e resistente. L'ho assemblata con un telaista toscano con i pezzi che avevamo. Un modo per risparmiare. E poi l'abbiamo fatta in modo che fosse facile da aggiustare perché in Africa non è semplice trovare tutti i pezzi di ricambio.

 

Continuerei ad utilizzarla? 

Sì. Deve essere un po' sistemata perché adesso è bella provata, ecco, però poi la riutilizzerò.

 

Nuove avventure in programma?

Mi piacerebbe esplorare la Papua Nuova Guinea fino all'Amazzonia, la Groenlandia, l'Antartide: fare avventure e raccontarle.