La coda per esistere: il paradosso del turismo di massa in montagna

Tra funivie affollate e selfie di vetta, l’overtourism rivela un bisogno di appartenenza più che di libertà. In questo articolo Enrico Camanni ci lascia con una domanda: la montagna è ancora un luogo da vivere o solo uno sfondo per dimostrare che ci siamo stati?
Le lunghe code alla funivia del Seceda

Quest’estate abbiamo visto le folle incolonnate alla funivia del Seceda e ci siamo domandati: “Che vacanza è mai questa? Mica li obbligano a fare la coda!” Ma forse la domanda giusta era un’altra: “Perché sono tutti lì?” Non credo che l’eccesso di turismo sia da attribuire solo alla celebrazione collettiva delle ferie tra fine luglio e agosto, che sono poche settimane per troppa gente, e nemmeno alla passività degli officianti, o alla fretta, o alla monocromia dell’offerta. Sembra che i turisti contemporanei, che non possiamo più chiamare viaggiatori perché pretendono l’esperienza garantita e l’avventura programmata (due ossimori), cerchino più o meno consapevolmente proprio quelle code e quelle folle perché coda e folla sono una prova di appartenenza. Se seguo le persone famose, gli influencer, i visi del web e della televisione, in qualche modo assomiglio a loro. Esisto. Se un selfie in un posto sconosciuto non se lo fila nessuno, una foto davanti ai loghi di Venezia, del Seceda o delle Tre Cime dimostra che ci sono stato e dunque sono qualcuno. Pare che la vacanza, che dovrebbe significare assenza d’impegno e cambio di tempo, per una gran fetta di turisti sia un’altra forma di quotidianità: essere allineati per venire accettati.

Dunque, prima che un’indisponibilità di spazi (e un gran problema per gli operatori locali), l’overtourism è una questione di omologazione collettiva che a sua volta genera nuove frustrazioni. Ma c’è dell’altro. Dopo il Covid la montagna è sempre più frequentata, molti scoprono quanto è bello camminare, i sentieri si affollano e il caldo delle città spinge le persone in alto, in cerca di qualcos’altro. Se la montagna invernale soffre, quella estiva vola e anche questo genera overtourism, perché al legittimo desiderio di orizzonti spesso non corrisponde un’educazione alla montagna. Gli accessi sono facilitati, i modelli usurati e molti principianti ricorrono al faidate, ignorando che anche su un sentiero ci si può far male e soprattutto che non esistono solo i percorsi famosi e i paesaggi delle cartoline. La montagna è molto più grande della conoscenza di chi la frequenta, tanto che il CAI, nel prossimo futuro, avrà più la missione dell’educare che del portare in cima.