Le montagne senza fine di Francesco Tomè

Il giovane fiorentino parte il 20 giugno con il progetto "Endless Peaks", la traversata di corsa dell'arco alpino in 60 giorni lungo il Sentiero Italia, che diventerà un film con il sostegno del CAI. Ma non è tutto: ha appena pubblicato un libro e diretto un film sulla restanza.
Francesco Tomè ritratto da Guido Signori.

Se vogliamo credere alla regola (così rassicurante, in un paese sempre più vecchio) che vuole i giovani come un’indolente massa di gente senza ambizioni né sogni fuori da quelli previsti dal cliché, Francesco Tomè rappresenta una rivitalizzante eccezione. Fiorentino di 25 anni, ha ereditato dal padre la passione per la fotografia e frequenta infatti l’Accademia di Belle Arti di Milano, dove si sta specializzando in cinema, che è la sua passione, ma non certo l’unica. 

Chi lo segue da un po’ sa che ama la montagna e che ha già dato prova, con l’ancor più giovane Francesco Bruschi, di progetti alpinistici notevoli, diventati documentari: nel 2020 Alpi Apuane – Terre selvagge, ovvero la traversata delle Apuane da nord a sud a piedi e per vette, e nel 2021 From Florence to Mont Blanc, dove invece i due hanno raggiunto la cima più alta d’Europa partendo in bici da casa: Tomè aveva 19 anni, Bruschi 16. Per questo lo scorso gennaio il Consiglio regionale della Toscana ha consegnato loro una targa di riconoscimentoper il coraggio e la determinazione nello sfidare le vette più alte superando i propri limiti”. Immaginiamo l’orgoglio di mamma e papà, avvocato lei, insegnante di musica lui.

 

Endless Peaks

Bruschi e Tomè si sono conosciuti al CAI di Firenze, frequentando l’Alpinismo Giovanile. “Mio padre, socio CAI da 40 anni, mi ha iscritto che avevo 13 anni”, spiega Tomè, “Non ci sarei andato, ma dopo poche escursioni anche la sveglia alle 6 era meno dura”. Poi, come accade spesso, crescendo sono cambiate tante cose: “Dopo aver salito il Monte Bianco il passaggio successivo sarebbe stato quello di approfondire la tecnica alpinistica. Ho iniziato un corso CAI di A1 e ho capito che l’arrampicata non faceva per me, in montagna bisogna stare bene, e a me piace proprio tanto sudare in salita. Non chiedetemi perché, mi sento bene a correre e a correre in montagna, coprendo grandi distanze”.

E arriviamo allora al progetto “Endless Peaks”: una traversata dell’arco alpino da Vrata, in Croazia, al Colle di Cadibona, in provincia di Savona, quella Bocchetta di Altare dove le Alpi diventano Appennini. Sui manuali di scuola è in quei due estremi che si fissano i confini est e ovest delle Alpi. Guardando ai numeri, parliamo di 2.500 km e 165.000 metri di dislivello in 60 giorni, quasi interamente lungo il Sentiero Italia. Partenza 20 giugno

Se fosse una gara, sarebbe un endurance trail, come si chiamano gli ultratrail che superano, anche di molto, i 320 km di lunghezza e i 10.000 metri di dislivello. Invece qui l’aspetto performativo non è quello prioritario. L’impresa diventerà anche un film, che il CAI, molto sensibile verso i giovani che abbiano voglia di mettersi in gioco seriamente con la montagna (a proposito, sono in corso le selezioni per la seconda edizione dell’Eagle Team), ha deciso di sostenere. La regia sarà di Andrea Bandinelli per Crimp Films di Arco, gli stessi che seguono Stefano Ghisolfi e sua sorella Claudia, per esempio.

In montagna da sempre. Foto Francesco Tomè

Francesco Tomè, come ci si prepara a correre per 60 giorni?

Sogno questo progetto da due anni e mezzo, da quando ho pensato che sarebbe stato bello unire tutte le Alpi in un’unica corsa. Cercando in rete ho scoperto l’impresa di David Orr, un canadese che ha corso dall’Etna al Monte Bianco, percorrendo il Sentiero Italia sugli Appennini. Vive proprio qui in Toscana e quindi l’ho cercato per chiedergli informazioni, mi ha ispirato molto. Con i ragazzi del mio team di corsa ho allora iniziato la preparazione tecnica, con la guida di Giovanni Zorn, presidente di Mugello Outdoor (organizzatore dell’ultratrail del Mugello, nda): corse molto lunghe lavorando sulla resistenza più che sulla potenza. Alleno il corpo, ma anche la mente a tenere questo ritmo. 

 

La testa cosa ti dice?

Temo le infiammazioni, perché ogni giorno in media corro 40km con 3.000 metri circa di dislivello. Mi fa un po’ impressione anche il dislivello, a pensarci, sono pur sempre 165.000 metri, spero di non mollare, perché la testa fa tanto. Però è anche vero che ho 25 anni, mi alleno da due anni, l’allenamento ce l’ho e tutti mi dicono di stare tranquillo. Ho 60 giorni davanti a me e così sembrano un muro, se invece ragiono per tappe è molto più fattibile. L’importante sarà proprio viversela tappa dopo tappa, guardandomi intorno, godendomi la bellezza delle Alpi e i paesaggi che cambieranno ogni giorno. E poi dovrò solo correre, non come a casa, che oltre all’allenamento c’è lo studio, le presentazioni del libro e del documentario e l’organizzazione del progetto.

 

Come sei organizzato?

Mi porterò solo lo zaino piccolo da 20 litri, con il sacco-lenzuolo e una dotazione di minima per ripararmi dal freddo e dalla pioggia. Dormirò in rifugio, ma ogni tanto scenderò in un campeggio a valle, dove mi incontrerò con amici e parenti che ho organizzato a turni, in base alle varie disponibilità, per fare i cambi di materiale. Ho coinvolto 25 persone, fra cui il mio babbo (parola-spia inequivocabile sull’origine toscana, nda), mio fratello, la mia fidanzata, i miei amici più cari e quelli che corrono con me, il mio allenatore, il fisioterapista, un bel team insomma. Mi dà tanta forza sapere che ogni tanto vedrò qualcuno per me significativo con cui condividere la mia esperienza. La logistica è davvero impegnativa. 

 

Correrai tutti i giorni?

Sì, perché quando il corpo umano si abitua a fare un certo tipo di sforzo fermarsi è peggio. L’uomo è l’animale che si adatta più velocemente ai cambiamenti e quindi le prime due settimane saranno quelle decisive, in cui sentirò più dolore e più fatica, poi dovrebbe andare meglio. Vorrei allungare le tappe il più possibile all’inizio, per diminuirle verso la fine.

 

Qual è il senso per te di fare tutto questo?

Lo faccio intanto perché mi piace tantissimo sentire il mio corpo come una macchina che funziona perfettamente, mi affascina pensare a quello che può fare un corpo umano se usato bene. Poi il gusto di vedermi le Alpi per intero, e giorno dopo giorno vedere cambiare la morfologia, le rocce, l’ambiente, gli animali, i colori, tutto non stop in due mesi belli compressi. Sarà anche una sfida un po’ fuori dal comune, ma non mi interessa essere un superuomo, semplicemente far vedere anche a me stesso che posso fare cose grandi e belle. 

 

E poi ci sarà il documentario.

Per me è fondamentale. Le riprese le farò un po’ io, raccontando in prima persona come se fosse un diario, e un po’ i ragazzi di Crimp Films che verranno in punti strategici, anche con il drone. Contribuirò anche io con la mia visione. Pubblicherò anche qualche reel ma non ogni giorno, perché in realtà non sono molto un tipo da social, per me non ha tanto senso fare dei video da 20 secondi che non dicono niente, preferisco un post ogni tanto ma più “pesante”. Penso che sia bello far vedere a chi non è mai stato in montagna e non ha mai provato esperienze del genere cosa vuol dire fare queste cose, cosa vuol dire passare del tempo in montagna, e fare sport, perché secondo me la corsa è una cosa che unisce, che fa stare bene e consente di condividere momenti molto profondi con gli altri. E se più persone lo sapessero, ci sarebbero meno problemi, fisici e psicologici.

La copertina del libro.

Un film e un libro sulla restanza

Tutto questo potrebbe essere già abbastanza, ma Tomè non sembra capace di fare solo una cosa per volta. Non ha mai smesso, in fondo, di essere il bambino vivace che alle elementari faticava a stare fermo al banco. A gennaio ha diretto il documentario La Restanza. Storie di montagna fra Toscana ed Emilia (53’, Italia 2025) che poi lo scorso maggio è diventato anche un libro, La Restanza: dedizione alla propria terra. Storie di gente che resta fra Toscana ed Emilia (pp. 88, 25 euro, Libreria Editrice Fiorentina 2025).

 

Come si incastra “Endless Peaks” con il progetto di film e libro sulla restanza?

Le foto pubblicate nel libro in realtà le ho fatte per prime, per l’esame di fotografia a Brera: l’idea era quella di girare per i paesi della Toscana e dell’Emilia-Romagna fotografando i volti di chi sceglie di restare nei paesi, nonostante le difficoltà evidenti che ci sono in questi posti a causa della poca cura che ci mette la politica. Il bisogno di tirarne fuori un documentario è venuto dopo. 

 

Il riferimento esplicito è all’antropologo Vito Teti, che ha teorizzato la “restanza”, la capacità di resistere nel restare. Cosa ti ha colpito nelle zone in cui sei andato?

Ho realizzato 8 interviste a persone più e meno giovani, sia sulle Apuane che sull’Appennino, c’è la studentessa di 16 anni che racconta quanto sia bello stare lì, ma anche difficile se vuole uscire in centro con gli amici, il pastore, il politico – l’assessore alla cultura della zona di Porretta Terme, vicino a Lizzano in Belvedere, nell’Appennino Tosco-Romagnolo. Volevo raccontare, in un’ora di documentario, la realtà nel modo più crudo possibile, lontano dalla classica immagine romantica sulle bellezze della montagna. Ci sono anche quelle, ma la realtà è che in questi posti lo spopolamento evidente crea parecchi problemi. Non è la politica delle case a 1 euro a risolverli, se poi d’inverno nessuno ti spala la neve dalle strade, se la scuola dei bambini è lontana 40 minuti di macchina, come il supermercato, se un treno per arrivare a Firenze o a Lucca, che sono i centri più grandi, ci mette due ore e ce ne sono solo cinque in tutto il giorno. 

 

Nel film affermi che restare è un verbo che riguarda il futuro: “Resta ciò che sopravvive al passato”. È il messaggio che troviamo anche nel libro?

Il libro è soprattutto fotografico, ma nel testo che accompagna le immagini si parla proprio di questo. Le serate che sto facendo in giro con il film e il libro sono tutte sold out, vediamo dove arrivo, ma il messaggio che voglio dare è positivo, nonostante viviamo un momento storico difficile: prima c’è stato il covid, ora ci sono le guerre, il cambiamento climatico, anche se qualcuno non ci crede. Io sto ai fatti e vedo estati sempre più calde e ghiacciai venire giù. Fa un po’ paura a volte.

 

L’impegno sul territorio lo avevi già dimostrato fondando l’associazione “Apuane libere”. Qual è il tuo punto di vista?

I miei compagni di “Apuane libere”, come Gianluca Briccolani con cui l’ho fondata, mi sostengono anche con questa nuova traversata, io attaccherò qualche adesivo nei vari rifugi, e indosserò le magliette con il logo, per far conoscere altrove ciò che succede sulle Apuane. Noi non abbiamo mai sostenuto che i cavatori se ne debbano andare via tutti, ma promuoviamo un modo diverso di convivere con la montagna: si possono costruire musei, sistemare i sentieri per incentivare il turismo escursionistico, sviluppare gli agriturismi e sostenere l’agricoltura, ripulendo le Apuane dai tanti rifiuti. Ci sono mille modi per vivere la montagna in maniera sostenibile. Altrimenti cosa rimarrà fra 50 anni? I miei mi hanno sempre sensibilizzato su questi temi. Mi hanno sempre detto: se c’è una porta aperta entraci e guarda cosa c’è. Conosci persone. Fai esperienze.

Tomè in montagna. Foto Isaac Biglioli