© Courtesy Velasco VitaliAffascinato dalla forza della natura, nella quale riconosce una vitalità che richiede un approccio votato al rispetto, Velasco Vitali si avvicina alla dimensione montana fin da giovane attraverso la lettura delle opere di Mario Rigoni Stern. Nato e cresciuto alla soglia della Valtellina, Vitali è fortemente legato al paesaggio delle Prealpi che sovrastano il Ramo di Lecco del Lago di Como, tanto da proporne frequenti richiami nella gran parte della propria produzione artistica. Attraverso un sapiente impiego di molteplici linguaggi espressivi, Vitali è un artista estremamente prolifico. Con la sua indagine, Vitali è capace di creare uno spazio di convivenza e contaminazione tra pittura e montagna. Per farlo, l’artista riflette sul concetto stesso di osservazione del paesaggio, trasformando la semplice ammirazione in una pratica a tratti meditativa.
Come ti sei avvicinato alla montagna?
In realtà, è stata la montagna ad avvicinarsi a me. Era il 28 luglio 1987 e, in conseguenza alle forti piogge alluvionali e all’innalzamento delle temperature, il versante dell’Alpe Zandilla che dà sulla Val Pola crollò, seppellendo di fatto il paesino di Sant'Antonio Morignone, poco lontano dal luogo in cui abito. In seguito, ho potuto riconoscere come quel crollo abbia avuto una rilevanza preponderante nella mia produzione artistica. Di fatto, la prima montagna che ha influenzato il mio lavoro è stata una montagna che non c’era più.
MA XXXI Olio su tela 2021 25x34cm © Courtesy Velasco VitaliQuali sono i tuoi ricordi di quei giorni?
Ricordo in particolare l’enorme lingua di detriti che formò lo sbarramento sul Fiume Adda, creando così un lago naturale gigantesco in direzione della sorgente del fiume. Il timore era che la forza delle acque potesse far cedere la muraglia detritica che si era formata, generando un effetto Vajont sulla città di Sondrio e sul resto della Valtellina. Questa tragedia fu una scossa anche politica e coinvolse tutta la nazione. Per la prima volta, infatti, venne allestita la copertura mediatica in diretta TV di un dramma provocato dalla forza della natura. Dopo che il problema rientrò, i media crearono un focus particolare sul tema della fragilità del territorio, che portò alla creazione di quello che allora veniva chiamato Ufficio di Sorveglianza del Territorio e che, successivamente, si istituzionalizzò in quella che oggi è la Protezione Civile.
Quale fu la tua risposta?
Iniziai subito a lavorare su quell’alluvione. Questo perché la Valtellina è un luogo per me pieno di ricordi e che mi sta molto a cuore; nel giro di 24/48 ore le piogge avevano procurato un disastro impressionante. La mia reazione fu quella di abbandonare subito le incisioni alle quali stavo lavorando e, come un pittore di guerra, presi la Vespa e andai in Valtellina a disegnare quello che vedevo. Ne uscirono immagini potentissime, di distruzione dovuta alle piogge violente, raccolte in una mostra dal titolo Paesaggio cancellato; un repertorio di quaranta dipinti, e centinaia di disegni e altri appunti. A guidare quei disegni c’era sicuramente anche la mia fascinazione per le sensazioni provocate dalla visione romantica. Quella visione atterrita di fronte alla potenza della natura. Fu in quel frangente che ne presi coscienza, riflettendo sul fatto che come uomini possiamo cementificare, provare a contenerla, ma quando la montagna decide di venir giù, viene giù.
MA XXV Olio su tela 2021 30x40cm © Courtesy Velasco VitaliLa montagna è un soggetto fragile? Come ti ci relazioni?
Per me, il concetto di fragilità implica una riflessione molto più vasta, ma che può certamente partire anche dalla montagna. Lo reputo un tema che ha a che fare con l’origine e la formazione terrestre e dal quale non si può prescindere. La montagna, dal canto suo, è chiaramente un elemento fragile, non fosse altro che per gravità, per via della quale prima o poi quello che è in cima scende a valle. È fondamentale che lo teniamo ben presente, perché è la regola che governa montagne, valli e fiumi. Recentemente, gli appunti presi in Val Pola sono tornati a essere esposti nella mostra “Listen Better”, che vuole essere un invito a mettersi in ascolto dell’ambiente. Questa è di fatto la base sulla quale ho poi costruito la mia ricerca, che si basa sulla precarietà del legame che si stabilisce tra noi e i luoghi che abitiamo, sulla nostra precarietà in contraddizione con quella della natura.
Che effetti ha avuto sulla tua produzione artistica?
Pur essendomi distaccato gradualmente da un approccio prettamente didascalico, negli anni, il progetto Paesaggio cancellato ha continuato ad affiorare e mostrarsi come una matrice fondativa, che si dipana per capitoli sempre diversi. Successivamente, ho anche utilizzato la montagna stessa come luogo della pittura. Ad esempio, nel 2007 in occasione di Sondrio Città Alpina, ho creato un intervento artistico in relazione all’architettura tipica della Valtellina con un innesto di elementi diversi tra cui pittura, scultura e installazione. Per dare corpo alla fantasia di un bivacco in cima al Pizzo Bernina con una vista panoramica a tutto tondo, ho ricostruito una stanza della pittura dove il soggetto è la montagna. Il bivacco era invaso da blocchi di lamiera che imitavano il ghiacciaio. Per il pubblico era quindi impossibile accedervi, se non con la testa, attraverso un paio di aperture. Così come in montagna, il visitatore era costretto a mantenere una certa distanza e un certo rispetto, in quel caso la pittura che rappresentava la montagna. La pittura era dunque una scusa per andare verso la montagna e viceversa.
MA III Olio su tela 2021 32,5x40cm © Courtesy Velasco VitaliParlando di distanza, trovi ci sia differenza nel modo in cui contempliamo le montagne, rispetto all’orizzonte o alla volta stellata?
Credo che osservando l’emisfero celeste molto è affidato all'immaginazione e ci tocca per forza immaginare qualcosa che non c’è. Guardare una montagna, invece, significa forzare la messa a fuoco. È un esercizio straordinario, che ti mantiene vicino al dato reale, dove la fantasia risulta più limitata, ancorata al presente ma comunque viva. Per me ha un fascino particolare, è come se ci fosse una legge naturale alla quale attenersi, e mi ricorda molto l’atteggiamento del MA.
In che senso?
Nel senso di MA in giapponese, che significa “invenzione” e identifica il concetto di intervallo, di distacco. Non è un atteggiamento ricercato, di ammirazione romantica, ma di contemplazione, e proprio come quest’ultima necessita di tempi brevi. Inoltre, proprio come nella meditazione, la mente non deve cedere ad alcun disturbo, bensì concedere alla vista di guidarla in una sorta di zoom ottico, al quale altrimenti non è possibile accedere. Da questa idea, è nata anche una raccolta di opere, realizzate durante il secondo lockdown, nella primavera del 2021, quando fuori nevicava moltissimo. Così, dalla finestra del mio studio, con lo sguardo indagavo il particolare di una valle, di un nevaio, il frammento di un pascolo, restituendo sulla tela qualcosa di apparentemente alterato rispetto a ciò che avevo davanti. Questo approccio alla contemplazione permette uno straordinario vantaggio, sia in termini di materia pittorica, sia per l’immaginazione che deve partire dalla realtà.
Veduta Olio su tela 2019 214x1084cm © Courtesy Velasco Vitali