© Giorgio TideiNella vita di ognuno di noi ci sono date che diventano degli spartiacque, singoli istanti in cui il nostro personalissimo universo viene stravolto, nel bene o nel male. Per me, quella data è il 12 maggio del 2024. Esiste una versione di me antecedente alle 10 di mattina di quel giorno, e una versione successiva, quella che sta scrivendo queste parole. Per me, siamo due persone diverse.
Quella mattina mi trovavo a Ravenna, era una domenica di sole ed io ero circondata da sorrisi. La mia testa però, era altrove: Tom, il mio amato compagno - di vita e di cordata - stava scalando l’Ortles con un amico. Ci era già stato, sulla cima più alta dell’Alto Adige, uno dei tanti luoghi che poteva chiamare casa, ma questa volta era diversa: stava tentando l’ascesa (e la successiva discesa con gli sci) del canale Minnigerode. Ricordo perfettamente il momento in cui ho preso in mano il telefono che stava vibrando da qualche secondo: una chiamata in entrata da un numero sconosciuto, di domenica mattina, con Tom impegnato in un’alpinistica. Mentre la vita mi scorreva davanti agli occhi e lo stomaco si contorceva, ho risposto alla chiamata che mi avrebbe cambiato la vita per sempre: “Tom è precipitato” mi è stato comunicato. Tutto ciò che è successo nei giorni e nelle settimane successivi è un processo molto caotico ed estremamente vivido nella mia memoria, un alternarsi di fasi e di forme del dolore più lacerante che io abbia mai provato.
Ripensando ai primi mesi, nella tragedia, emerge un elemento di bellezza: il supporto, sconfinato, ricevuto da questa grande famiglia che è quella formata dalle persone che nella montagna e nella sua frequentazione identificano le proprie fondamenta. Il “popolo delle terre alte” si è stretto a me: amici e conoscenti hanno teso una rete umana molto resistente, pronta a tenermi in piedi anche nei momenti di mancamento più intensi, e persone (sconosciute) che avevano perso dei cari in montagna mi hanno scritto per darmi consigli, mostrarmi vicinanza. Queste ultime interazioni si sono dimostrate provvidenziali: proprio nel momento in cui tutto intorno a me aveva perso di senso, tornavo a sentirmi parte di una comunità di persone in grado di capire come mi sentissi, e di guidarmi in questo percorso. Così, cavalcando quest’onda, ho passato molto tempo a cercare storie simili alla mia. Prendendole un po’ come dei libretti di istruzioni, ho iniziato a un percorso di terapia psicologica con una persona che conosce bene il mondo della montagna, e qualche mese dopo mi sono ritrovata a scrivere io stessa alle persone che si trovavano a vivere il mio stesso inferno.
Un sostegno per chi resta
Da questa esperienza che si è rivelata tanto personale quanto universale, dopo un anno passato a segnarmi sull’agenda ogni giorno il numero di morti in montagna, insieme al Club Alpino Italiano, abbiamo deciso di creare uno spazio per fornire supporto a chiunque ne avesse bisogno. Per farlo, abbiamo dato vita a un progetto che si chiama “Oltre la vetta - un sostegno per chi resta” e si pone l’obiettivo di offrire supporto (psicologico e contenutistico) a chi si trova coinvolto in un vissuto traumatico per la perdita di una persona cara durante attività alpinistiche o escursionistiche in montagna. Il progetto nasce per aprire un dialogo su un tema complesso come la morte (e tutto quello che si lascia dietro) e per mettere a disposizione degli strumenti per chi, purtroppo, ha ricevuto la chiamata peggiore della propria vita. “Oltre la vetta” è nato, ufficialmente, pochi giorni fa, e punta a crescere insieme alla comunità di persone che lo riempiranno, un passo alla volta. Al momento, la piattaforma offre una serie di testimonianze legate a questo tema raccontate tramite un video-podcast e pagine di materiale informativo sul trauma e ciò che lo accompagna. Un elemento fondamentale del progetto è dato dalla rete di professionisti e professioniste della salute mentale con competenze specifiche nella gestione del lutto traumatico e interne al mondo dell’alpinismo, con le sue dinamiche relazionali, la cultura che lo attraversa e i rischi che comporta. Questa rete, oltre a essere costituita da professionisti che da oggi sono facilmente reperibili tramite il sito di “Oltre la vetta”, farà un percorso proprio all’interno del progetto: di dialogo, discussione e formazione, grazie anche al supporto di Psicologi per i Popoli, un’organizzazione di volontariato composta da professionisti della psicologia dell’emergenza e urgenza.
L’idea di fondo è semplice: tenerci la mano e sostenerci a vicenda quando la salita si fa più dura.